expand_lessAPRI WIDGET

Le radici comuni dell’ansia – Ciottoli di Psicopatologia Generale Nr. 4

I disturbi d’ansia si distinguono per lo scopo minacciato mentre sono identici per tre caratteristiche dell’evento temuto: probabilità, gravità e controllo. %%page%%

Di Roberto Lorenzini

Pubblicato il 15 Feb. 2016

L’ansia è tipicamente umana necessitando di un sistema cognitivo in grado di fare previsioni a medio e lungo termine. Per il breve termine e il presente immediato si parla di paura più legata al dato percettivo.

CIOTTOLI DI PSICOPATOLOGIA GENERALE (RUBRICA) – LEGGI L’INTRODUZIONE

 

L’ansia è tipicamente umana necessitando di un sistema cognitivo in grado di fare previsioni a medio e lungo termine. Per il breve termine e il presente immediato si parla di paura più legata al dato percettivo. I vari disturbi d’ansia si distinguono per la categoria di eventi che vengono temuti e, dunque in altre parole per lo scopo minacciato e sono invece identici per tre caratteristiche relative proprio all’evento temuto:

  • La sovrastima della sua probabilità
  • La sovrastima della sua gravità
  • La sovrastima della possibilità di controllo su di esso.

Trattandosi di tre errori di valutazioni probabilistiche si potrebbe dedurne che sarebbe utile più che una psicoterapia un corso di statistica. Purtroppo tali errori si fondano su specifici bias cognitivi in cui cadono anche esperti matematici in quanto eredità genetica, errori sistematici che si sono rivelati utili per salvare la pelle ai nostri antenati. Il compito che ci si può porre è quello di evidenziarli rendendoli consapevoli in modo da arginarne gli effetti e talvolta correggerli. Inoltre, come già proposto in altri ciottoli, utilizzarli biecamente a vantaggio del lavoro terapeutico.

Kahneman argomenta in modo scientificamente solidissimo (soprattutto pag 45 e pg 453 e seg.) come il comportamento umano sia il prodotto della collaborazione, non sempre facile, tra due modi di funzionare che chiama sistema 1 e sistema 2 e che per semplicità di esposizione chiamerò intuizione e raziocinio. In estrema sintesi possiamo dire che l’intuizione è automatica, intuitiva, rapida, efficiente, in genere guida l’azione e ci azzecca soprattutto per questioni che riguardano la sopravvivenza, distingue il normale dall’eccezione di fronte alla quale ne genera subito una interpretazione causale attraverso l’invenzione di una storia plausibile che fornisca soluzioni praticabili immediate.

Il raziocinio invece è il punto di vista da cui prendiamo decisioni, la voce narrante del nostro dialogo interno, ciò a cui ci riferiamo quando diciamo io, orienta volontariamente l’attenzione e corregge le proposte dell’intuizione. La sua attivazione è faticosa e comporta dispendio di energie.

Nel suggerire possibili tecniche è utile distinguere gli interventi sui primi due punti comuni da quelli sul terzo punto che è particolarmente presente nel DOC dove la sovrastima del possibile controllo sull’evento temuto genera un ulteriore circolo vizioso secondo cui se è possibile , è anche doveroso e colpevole non farlo che è esso stesso (essere colpevole) l’evento temuto dagli ossessivi. Partiamo proprio dai suggerimenti specifici per gli ossessivi. In loro è presente una sorta di ipertrofia funzionale del raziocinio. Il sistema 2, per non essere colpevole di negligenza, riesamina senza sosta i prodotti dell’intuizione e siccome non accetta margini di incertezza, non vuole lasciare la minima probabilità al dubbio, si impegna in un lavorio incessante che tuttavia assorbe molte risorse ed è incompatibile con altri lavori. Poiché l’autocontrollo volontario diminuisce necessariamente quando si è sotto sforzo mentale e persino fisico, in presenza di compulsioni impegnarsi in un qualsiasi lavoro fisico o mentale è di grande aiuto.

Ad esempio di fronte alle compulsioni covert può essere utile attivarsi in compiti come la progettazione di un evento o eseguire esercizi matematici a mente o anche giocare con l’immaginazione a sudoku o realmente a scassaquindici (sempre che ancora esistano quei quadratini di plastica per giocarvi). Ancora, siccome il sistema del raziocinio è attivo quando non ci sono emergenze in corso che decretano l’assoluta priorità dell’intuizione può essere utile esporsi, anche solo in immaginazione, a delle minacce. E’ un po’ come dire che di fronte a stringenti emergenze reali il rimuginio e il dubbio sono un lusso che non ci si può permettere. Non si ha notizia di alcun ossessivo perito in un incendio perché attardatosi a mettere in ordine o a rilavarsi le mani (personalmente ho descritto il caso di un gravissimo ossessivo guarito in seguito all’incendio del suo negozio con un danno di 3 milioni di euro che attribuì a me, ma questa è un’altra storia).

Viene anche in mente il modo adeguato con cui gli ipocondriaci, anche gravi, fronteggiano malattie reali. Certamente però non possiamo trasformarci in piromani o untori per guarire i nostri pazienti. Un potente sostegno ai vissuti di responsabilità e di colpa sono l’insieme dei bias che ci fanno da un lato sovrastimare la causalità e dall’altro sottostimare il caso e la fortuna. Il vissuto di impotenza che si sperimenta nello scoprire l’importanza del caso e del fortuito e dunque la scarsa influenza che abbiamo nel determinare l’andamento delle cose, è un vero sollievo per l’ossessivo che in effetti mostra una riduzione sintomatologica nelle situazioni manifestamente al di fuori del suo controllo.

Per convincerlo di ciò, è importante che comprenda a fondo il concetto di regressione verso la media (effetto su cui anche i terapeuti dovrebbero riflettere prima di prendersi i meriti dei miglioramenti o le colpe dei peggioramenti). In realtà la maggior parte delle cose avviene fuori da ogni nostro controllo. A tal proposito può essere utile costruire in seduta una torta delle cause (cosa diversa dalla torta delle probabilità che riguarda invece gli esiti) in cui il terapeuta imponga la presenza di una porzione denominata caso e ne fornisca diversi esempi prima di farne stimare al paziente il peso percentuale.

Altrettanto si può far narrare una storia al paziente che anticipi gli eventi futuri che appariranno lineari e quasi necessari per poi suggerire una serie di accadimenti positivi e negativi che potrebbero drasticamente alterare il corso previsto delle cose. A tal fine si possono anche ricordare una lunga serie di eventi storici assolutamente non previsti che hanno deviato l’andamento che il buon senso suggeriva e si può chiedere al paziente di andare a ricercare simili evenienze nella vita sua o della propria famiglia. Anche la storia famigliare più banale è costellata da eventi (lutti, fallimenti, incontri, malattie, vincite, opportunità) che hanno rappresentato punti di svolta.

Tornando proprio ai suoi specifici temi ossessivi per i quali chiede continue e mai sufficienti rassicurazioni si può, al contrario, con un pizzico di sadismo, suggerirgli tutta una serie di fatti possibili che vanificherebbero le sue strategie di prevenzione allo scopo di spingerlo verso l’accettazione del rischio per il semplice motivo che non può essere altrimenti. Se da un lato lo si guida per mano verso l’evento temuto (per convincerlo che non è in suo potere e dunque dovere prevenirlo) si tratta poi, una volta giuntivi, di decatastrofizzarlo.

Ridimensionare la sovrastima della gravità dell’evento (che riguarda il secondo punto della nostra triade) è l’operazione decisiva in tutti i disturbi d’ansia. Decisamente più dell’intervento sulla sovrastima della probabilità (riguardante il primo punto) che resta comunque sul versante della rassicurazione e non può mai garantire che ciò che si teme non si verificherà davvero.

Ma come si fa a decatastrofizzare il mostro? Varie strategie sono utilizzabili a seconda dell’interlocutore. In primo luogo gran parte di ciò che stimiamo terribile è tale perché lo conosciamo poco e dunque altro non è che paura dell’ignoto. In questo caso si deve esplorare prima in immaginazione e poi anche concretamente le situazioni temute (la efficacissima tecnica dell’esposizione). Questa costruzione di scenari che sostituiscano il vuoto predittivo può essere aiutata dall’osservazione di altri soggetti che vivono quella realtà e di come se la cavano e dal ricordo di situazioni analoghe vissute in passato dal soggetto stesso. Altre volte il paziente ci dice che teme una certa cosa ‘proprio perché l’ha sperimentata ed è stata intollerabile‘.

Gli si può far notare che se è lì a raccontarvela evidentemente è riuscito a tollerarla, ma si rischia di scivolare in un braccio di ferro su ciò che è o meno tollerabile, e sulla qualità della vita. Semmai si possono sottolineare i costi quantunque diluiti del tentativo di azzerare il rischio di tale evenienza e della comunque sostanziale impossibilità. Più utile è mostrargli che quella esperienza non potrà ripetersi perché lui non è più lo stesso. Ad esempio condividono il nome ‘perdita e abbandono’ ma sono esperienze diverse l’essere lasciati con estranei in una colonia a cinque anni e/o rimanere orfano di entrambi i genitori nella fanciullezza, dall’essere mollato dalla fidanzata, per quanto gnocca, a trent’anni.

L’impatto emotivo è il prodotto dell’incontro tra un evento stressante e la vulnerabilità individuale che col tempo si modifica. Mi imbarazza ammetterlo ma è la versione ben detta del ‘ci si abitua a tutto‘. Insomma pur appartenendo alla stessa categoria i fatti non sono mai identici e bisogna evitare una over-inclusion per cui una stazione ferroviaria è assimilata ad una bara che viene calata nel gelido terreno (sempre di partenze e distacchi si tratta, mha!) e il soggetto stesso non è mai identico anche a motivo della precedente esperienza.

L’obiettivo del lavoro di decatastrofizzazione o, come preferisco definirlo con Jung, ‘costruzione dell’Ombra‘ deve mirare semplicemente a pensare all’evento come tollerabile ancorché sgradevole, non preferito e da evitare per quanto possibile.

Un ulteriore tecnica di decatastrofizzazione è quella che chiamo ‘frammentazione’. Il soggetto quando ci dice che una certa cosa è intollerabile spesso la immagina come una nebulosa indistinta dai confini incerti. Può essere molto utile con il laddering down cercare di fargli precisare esattamente quali aspetti concreti della faccenda ritenga inaffrontabili. Se ogni singolo elemento costitutivo viene valutato superabile perché la somma dovrebbe non esserlo?

Per personale esperienza suggerisco che quando una scalinata sembra inaffrontabile bisogna tralasciare l’insieme e concentrarsi su ogni singolo gradino. Fatto il primo il secondo diventa a sua volta il primo e fatto il novecentonovantanovesimo anche il millesimo sarà il primo. Fuor di metafora, cosa esattamente vuol dire essere soli e quale aspetto della solitudine è intollerabile? Si tratta di un vero e proprio lavoro di ridefinizione e ristrutturazione cognitiva.

Non posso esimermi dall’occuparmi del più scontato degli interventi ovvero quello sul primo punto della triade, la sovrastima della probabilità. Si tratta sostanzialmente della tanto richiesta rassicurazione. Non mi piace molto per vari motivi. E’ quello che già fanno parenti e amici quando dicono ‘vedrai che non succederà!‘, ‘ma a che vai a pensare!, è impossibile, non può succedere, non è mai capitato, ecc, ecc‘. A ben guardare contiene un fondo di falsità che potrebbe minare l’autorevolezza del terapeuta (come fa a garantire certe cose che magari esulano il suo campo?). Ostacola il lavoro di decatastrofizzazione e accettazione del rischio perché l’evento temuto continua ad essere escluso dal campo del possibile.

Crea una dipendenza dalla fonte di rassicurazione appesantendo la relazione. Di contro possiamo pensare che è giusto rendere consapevole il paziente degli errori di ragionamento che commette, si tratta pur sempre di bias che generano sofferenza, aiutandolo ad autocorregersi senza affidarsi all’autorevolezza di una fonte esterna. L’intuizione finalizzata alla sopravvivenza indirizza selettivamente l’attenzione e la memoria alla ricerca delle minacce. Più ne trova, più per il bias della disponibilità, sembra probabile l’evento temuto.

Il suggerimento non può essere semplicemente quello di distrarsi rinunciando alla mission stessa dell’intuizione. Occorre piuttosto concentrarsi su una lista di situazioni scoperte in seduta in cui l’evento temuto non si è verificato e gli esiti sono stati favorevoli. Ancora si può sfruttare l’effetto alone confirmatorio. Si tratta di arricchire le situazioni temute con valutazioni positive condensate in aggettivi (del resto persino un orologio rotto fa l’ora perfetta due volte al giorno: qualcosa di buono la si può sempre trovare) e poi partire da essi nel riportarle alla mente. La domanda iniziale è ‘proviamo a scoprire quel poco che ci potrebbe essere di buono o qualche piccolo vantaggio della situazione solitudine….. malattia invalidante…..povertà economica…..perdita del lavoro……ecc, ecc’ .

Di fronte ad una domanda complessa che richiederebbe attente e complesse valutazioni il sistema intuitivo per non restare senza soluzioni si affretta a tradurla in una più semplice. Ad esempio la domanda ‘Quanto Mario avrà successo nella vita?‘ A cui praticamente non c’è risposta viene tradotta in ‘Quanto è bravo oggi Mario?’ che ovviamente è tutt’altra cosa. Egualmente la domanda dell’ansioso ‘Quanto è probabile l’evento X?‘ diventa facilmente ‘Quanto temo l’evento X?‘ che ovviamente è tutt’altra faccenda e scambia la gravità per la probabilità.

Non è difficile insegnare il ragionamento sottostante il calcolo delle probabilità multiple per cui in una successione di eventi in cui ciascuno ne presuppone un altro, la probabilità dell’evento finale è il prodotto di tutte le probabilità dei passaggi precedenti e dunque, in genere, infinitesimale. Per fare un esempio. Se c’è il 50% di probabilità che nevichi e il 50% che la neve ghiacci e il 50% che io scivoli sul ghiaccio cadendo e il 50% che cadendo mi rompa una gamba provate a calcolare la probabilità della mia frattura. Non è il ricorrente 50% ma solo il 6,25% ed in genere per gli eventi temuti dagli ossessivi i passaggi sono molti molti di più.

Kaneman mostra come siamo molto più portati a ragionamenti induttivi che deduttivi per cui, soprattutto quando siamo preoccupati dalle minacce, non ci rassicurano molto le statistiche generali e restiamo concentrati su singoli casi confermatori. Per questo è importante l’uso in terapia di aneddoti positivi, meglio ancora se trovati direttamente dal paziente.

Infine lo strumento principe contro la sovrastima della probabilità che in condizioni di minaccia fa sovrastimare gli eventi rari è indubbiamente la torta delle probabilità in cui di fronte ad un elemento che fa temere l’approssimarsi dell’evento temuto fino a darlo per certo si chiede di elencare tutte le altre possibilità che potrebbero spiegarlo e poi si chiede di attribuire a ciascuno la probabilità tenendo conto delle cosiddette probabilità a priori, ovvero della sua evenienza nella popolazione generale

 

RUBRICA CIOTTOLI DI PSICOPATOLOGIA GENERALE

Si parla di:
Categorie
CONSIGLIATO DALLA REDAZIONE
Il controllo come scopo ultimo? Ossessività e anima moderna - Immagine: 54120782
Il controllo come scopo ultimo? Ossessività e anima moderna

Tutto è controllato perché tutto ha uno scopo. Scopi da perseguire ossessivamente, in una girandola controllante in cui tutto è al vaglio della quantità.

ARTICOLI CORRELATI
WordPress Ads
cancel