Questo articolo è stato pubblicato da Giovanni Maria Ruggiero su Linkiesta il 02/01/2016
Come sarà il 2016? L’obiettivo non sarà solo eliminare ogni aggressione, ma ogni minima ambiguità, ogni micro-aggressione. Micro-aggressione è la parola-chiave da imparare per il 2016.
Come sarà il 2016? Nel bene e nel male sarà più corretto –non solo politicamente- e socialmente civile del 2015. Si va in quella direzione. In una società differenziata in cui sempre più culture convivono e sono condannate a interagire, diventerà sempre più essenziale evitare ogni motivo di conflitto.
La società ci chiederà di diventare ogni giorno più controllati e attenti a ogni minima inappropriatezza verbale. L’obiettivo non è solo eliminare ogni aggressione, ma ogni minima ambiguità, ogni micro-aggressione. Micro-aggressione è la parola-chiave da imparare per il 2016. Ancora non è arrivata tra noi, ma circola ormai da anni nell’anglofonia, dove l’appropriatezza civile informa di sé ogni rapporto sociale.
Micro-aggressioni è un termine coniato dallo psicologo Chester M. Pierce negli anni ’70 e indica tutte le frasi, espressioni e comportamenti che posseggono, anche solo potenzialmente, un significato svalutativo verso gruppi di persone definiti dall’etnia, dall’orientamento sessuale, religioso o culturale (Pierce, 1977; Sue, 2007).
È un termine, micro-aggressioni, particolarmente utile per comprendere a fondo il suo parente stretto concettuale, il politicamente corretto. Il politicamente corretto esprime il giusto bisogno di rapporti sociali costruiti sull’irripetibilità dell’individuo libero e autonomo, in cui non si è prigionieri di alcun clan e gruppo sociale e in cui non si è etichettati semplicisticamente in base all’etnia, alla religione o alla preferenza sessuale.
L’alta faccia della medaglia è quel micro che rivela che questo bisogno, per realizzarsi è costretto a incarnarsi in un’ossessiva attenzione a qualunque micro-manifestazione che potenzialmente abbia un significato svalutativo, anche indiretto.
Questa pagina dell’ APA, ovvero la American Psychological Association riporta una particolareggiata casistica e nomenclatura, in qualche modo il moderno corrispettivo del rigido galateo di epoche passate. Non ci sono solo le micro-aggressioni, ma anche i micro-assalti, i micro-insulti e le micro-invalidazioni. I micro-assalti sono le azioni o insulti più coscienti e intenzionali, come gli epiteti razziali o l’uso della svastica. E su questi casi siamo tutti d’accordo. I micro-insulti sono più subdoli. Sono le comunicazioni verbali e non verbali che sottilmente trasmettono maleducazione e insensibilità e sviliscono il retroterra culturale di una persona. Le micro-invalidazioni sono le comunicazioni che sottilmente escludono o negano i pensieri, i sentimenti o le esperienze di una persona.
Questa tendenza molto probabilmente prenderà piede sempre di più anche da noi. Anche da noi ci sarà sempre più attenzione alle micro-aggressioni, malgrado millenni di abitudine italiana a una comicità aggressiva e feroce, dai fescennini degli antichi romani alla commedia dell’arte.
Malgrado qualche eccesso, la tendenza alla correttezza è positiva, è espressione della benedetta tendenza umana a diminuire sempre di più la violenza e l’aggressività. Lo dimostra lo psicologo Steven Pinker in un bel libro: ‘Il declino della violenza’ (Pinker, 2013).
Anche perché il fronte opposto sembra indebolirsi ogni anno che passa. Tutti i tentativi di proporre alternative al politicamente corretto, ovvero delle zone franche di scorrettezza, sembrano non riuscire a governare una irrimediabile tendenza alla deriva becera. Alcuni tentano di cavarsela avvolgendo le loro irriverenze con un velo di cultura. L’operazione per un po’ riesce, ma la necessità di doversi continuamente distinguere dalle forme più popolari e pecorecce di scorrettezza politica, che siano la Lega Nord in Italia o Donald Trump in USA, finiscono per condannare queste forme di scorrettezza politica al velleitarismo e al logoramento, nonché a una strana forma di snobismo rovesciato.
Fin qui tutto bene. Tuttavia quando andiamo a vedere gli esempi concreti riportati dal testo dell’APA la linea a favore della correttezza politica mostra anch’essa delle crepe. Gli esempi sono abbastanza inquietanti. Secondo l’APA chiedere a un afro-americano come ha ottenuto il suo lavoro è un micro-insulto, perché insinua che lo abbia ottenuto attraverso una affirmative action. E chiedere a un asiatico-americano dove sia nato è una micro-invalidazione, perché trasmette il messaggio che essi siano stranieri perpetui. Nel dicembre 2014 Jeannie Suk ha scritto sul New Yorker che gli studenti di legge a Harvard chiedono di essere avvertiti dell’eventualità che a lezione si parli della legislazione penale dei casi di stupro per non correre il rischio di subire ricordi traumatici.
Secondo i due sociologi Bradley Campbell e Jason Manning il politicamente corretto coincide con un vero e proprio cambio di paradigma morale, forse il terzo grande cambiamento socio-morale dell’umanità in epoca storica.
Il primo paradigma fu quello dell’onore e della reputazione, in cui ogni individuo poteva e doveva rispondere con la violenza a ogni attacco al proprio rango sociale. Questo paradigma ha dominato le età guerriere e nobiliari ed è entrato definitivamente in crisi con la modernità. Tuttavia il processo di deterioramento di questa visione morale era già iniziato da millenni con la comparsa dei grandi sistemi di pensiero religioso e morale dell’età assiale, ovvero dal VI secolo A.C. in poi. Questi sistemi comprendono il profetismo ebraico, la filosofia greca, il cristianesimo e anche il buddismo, tutti fenomeni storici non a caso disprezzati dal superomismo di Nietzsche (con la parziale eccezione del buddismo, di cui Nietzsche non colse la natura anti-eroica e anti-aristocratica).
Nell’età moderna, con il sorgere dello Stato di Diritto a seguito delle grandi rivoluzioni inglese, americana e francese il paradigma dell’onore (honor) è sostituito da quello della dignità (dignity). L’individuo è un cittadino fornito di diritti e intrinsecamente fornito di dignità personale inalienabile da qualunque offesa. Il cittadino, a differenza del guerriero e del nobile, non dedica energie a custodire il suo onore e a vendicare col sangue offese perpetrate al suo rango.
Il terzo paradigma è quello attuale del politicamente corretto. In questo paradigma la sensibilità a qualunque offesa è di nuovo elevata, un po’ come nel primo paradigma, quello dell’onore. È curioso osservare come anche il paradigma dell’onore fosse sensibilissimo a ogni micro-offesa e che ogni sgarro era lavabile con il sangue. La letteratura è piena di questi esempi, dal conflitto d’onore tra Achille e Agamennone alle vicende del puntiglio nei Promessi Sposi, vero poema della vacuità dell’onore: da Fra Cristoforo che in giovinezza e prima di farsi frate duella per un problema di precedenza in strada a Don Rodrigo che perseguita Renzo e Lucia per conservare l’onore messo in pericolo in una futile scommessa.
Tuttavia il politicamente corretto rovescia sia la direzione delle micro-aggressioni che le modalità di soddisfazione. Nel mondo dell’onore sono le classi dominanti a essere sensibilissime alle offese e la soddisfazione avviene per impegno personale: il duello. Nel politicamente corretto invece è il soggetto debole a essere sensibile a ogni possibile offesa e la soddisfazione avviene in maniera impersonale, ricorrendo alla legge.
Formulato in questa maniera, il politicamente corretto non è esente da rischi. Non a caso Campbell e Manning lo chiamano paradigma della victimhood, ovvero del vittimismo, termine non esattamente lusinghiero. Chi ne ha sottolineato questi rischi è Jonathan Haidt, un filosofo che da anni di occupa di dilemmi morali. Egli è stato tra i primi a notare come la victimhood, pur discendendo dalla dignity, ha singolari punti di contatto con il paradigma dell’honor.
Forse questa è una delle chiavi con le quali possiamo rispondere a uno dei più singolari paradossi dell’età contemporanea: come è possibile che Nietzche, il cantore della morale guerriera e aristocratica dell’onore e della sopraffazione sia anche diventato un ispiratore del pensiero progressista? E come altresì sia possibile che questo pensiero progressista possa a volte essere tentato di ripudiare il cristianesimo, che è una religione della vittima? Forse per questi intrecci confusi tra onore arcaico e moderna senibilità alle micro-aggressioni.
Haidt, con le sue riflessioni sui tre paradigmi delineati da Campbell e Manning, ci avverte sui rischi di questo innesto di ipersensibilità arcaica all’offesa nella modernità. La nuova cultura morale del vittimismo può favorire il logoramento della capacità individuale di gestire i piccoli problemi interpersonali della quotidianità. Si crea una società di conflitti morali costanti e intensi, in cui le persone competono per ottenere i vantaggi della condizione di vittime e/o difensori delle vittime.