Le correlazioni più significative sono state trovate perlopiù nelle donne con quattro o più tatuaggi, e conducono a risvolti sorprendenti – perfino paradossali: le donne con almeno quattro tatuaggi hanno riportato i più alti livelli di autostima del campione; allo stesso tempo, però, hanno espresso i più alti livelli di depressione e le più alte frequenze di tentati suicidi!
Al giorno d’oggi il tatuaggio ed il gesto del tatuarsi hanno assunto molteplici motivi e scopi e sono dunque di difficile inquadramento per le scienze sociali. Se storicamente il tatuaggio è stato simbolo di una cultura e tradizione legate a diversi comportamenti antisociali come l’uso di droghe, la frequente adozione di condotte violente e più in generale l’indugiare in attività illecite, oggi il gesto del tatuarsi non è più compiuto (solo) dal poco di buono temuto da tutte le madri, ma anche dall’attore di Hollywood, dal calciatore famoso e, in definitiva, da chiunque si rispecchi nella cultura pop di questo inizio di millennio.
Alla ricerca psicologica spetta dunque l’arduo compito di districarsi in mezzo alla multiforme natura del corpo tatuato e di cercare sentieri sicuri che conducano ad una più chiara comprensione del fenomeno. E’ quello che fa, da anni, Jerome Koch, ricercatore della Texas Tech University che ha recentemente prodotto un nuovo studio che verrà pubblicato sul Journal of Social Science nel 2016. Se negli studi precedenti lo stesso Koch aveva rilevato una forte correlazione tra i comportamenti antisociali e le persone con quattro o più tatuaggi, in questo studio ha rovesciato la sua domanda, andando ad indagare la relazione tra il gesto del tatuarsi e il benessere psicofisico: 2394 studenti (tatuati e non) tra i 18 e i 20 anni hanno compilato alcune scale di autovalutazione sulla qualità della propria vita.
Le correlazioni più significative sono state trovate perlopiù nelle donne con quattro o più tatuaggi, e conducono a risvolti sorprendenti – perfino paradossali: le donne con almeno quattro tatuaggi hanno riportato i più alti livelli di autostima del campione; allo stesso tempo, però, hanno espresso i più alti livelli di depressione e le più alte frequenze di tentati suicidi!
Come spiegare questi risultati inaspettati? Si può presumere che la frequente ideazione suicidaria possa esser direttamente causata dall’abuso di sostanze e di condotte illecite e devianti che frequentemente sono correlate con il numero di tatuaggi, ma ci sembra un modo troppo semplicistico di inquadrare il problema. Lo stesso Jerome Koch, infatti, prova a fornirci una spiegazione più ambiziosa, basandosi anche sulle sue precedenti ricerche.
Le donne hanno con il proprio corpo un legame ben più profondo di quello degli uomini, sia per il modo in cui la sessualità le investe fin dalla pubertà, sia per la condizione di maternità in se stessa e sia purtroppo per l’estrema attenzione che la società oggi rivolge al corpo della donna (basti pensare alle mille diete esistenti, alla chirurgia plastica o all’immagine ipersessualizzata della donna nei media). E’ plausibile, dunque, che la donna trasformi – più dell’uomo – questa consapevolezza nei confronti del proprio corpo in un suo punto di forza: spesso le donne che hanno subìto una mastectomia adornano il seno perduto con un disegno tatuato sulla pelle; analogamente, le donne vittime di abusi sessuali ricorrono non di rado al piercing genitale.
E’ un modo, tutto femminile, di riappropriarsi del corpo rubato, del corpo smarrito, strappatogli via. Secondo Koch, infatti, il tatuaggio sta acquisendo sempre più una funzione ricostituente per il corpo della donna: attraverso il tatuaggio la donna può ri-costituire insieme il proprio corpo frammentato, diviso, segnato da un bisturi, da una violenza sessuale o perfino da una perdita che non è più necessariamente fisica, ma può anche essere semplicemente emotiva. E’ interessante, a tal proposito, notare come alcune ricerche precedenti dimostrino che le donne sono molto più inclini degli uomini a farsi togliere un tatuaggio, come gesto di distanziamento, dissociazione da un passato che non vogliono più: stando al presente studio, dunque, sembra che talvolta l’aggiunta di un tatuaggio possa svolgere la stessa funzione della sua cancellazione.
In conclusione, l’intuizione di Koch è senza dubbio acuta e sembra spiegare – seppur in via speculativa – i sorprendenti risultati del presente studio: il tatuaggio diventa il segno di una ri-presa di potere del proprio corpo, in risposta a perdite e violazioni subìte (fisiche o simboliche). La donna con molti tatuaggi può, dunque, aver deciso di utilizzare il proprio corpo come strategia di coping, come strumento per recuperare e rafforzare il senso di Sè – banalmente, la sua autostima. Tale gesto, però, può sopperire alla sofferenza causata dall’oggetto perduto solo parzialmente, come dimostrano i tentativi di suicidio e gli alti livelli di depressione. Il tatuaggio, e così il corpo, infatti, non possono bastare da soli a salvarci dal dolore per la perdita, da quel senso di frammentazione che consegue a qualsiasi trauma o lutto: è necessario innanzitutto cercare, e quindi donare un significato a ciò che abbiamo perduto, un significato in cui sia possibile, per noi stessi, tornare a riconoscerci.