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Il tatuaggio: trasgressione, conformismo o semplice voglia di “lasciare il segno”?

Il tatuaggio pare diventata un’autentica moda, non più una trasgressione ma bensì un omologarsi all’altro, rendersi simile, un “conformismo” - Psicologia

Di Chiara Carlucci

Pubblicato il 23 Apr. 2015

È un qualcosa di personale, a cui si attribuisce un senso, indelebile e che viene a far parte della persona stessa. Qualcosa che resta, a cui si attribuisce un’importanza e che non si vuol dimenticare. Un ornamento sul nostro corpo che in un certo senso lo rende unico, con un significato personale in più.

Cos’è il tatuaggio? Un incisione. Un marchio. Qualcosa che non nasce con noi, ma che di proposito ci facciamo stampare sul nostro corpo. E sono davvero tante le persone che al giorno d’oggi posseggono almeno un tatuaggio. Ma è da tener presente che il tatuaggio ha origini antichissime. La parola “Tattoo” deriva dal Taitiano “Tattua” che significa “segnare”. Sono stati i polinesiani a contribuire all’evoluzione del tatuaggio nel mondo (Argenziano, Farro, 2004). Essi associavano quest’arte di decorazione del corpo alle loro credenze sociali e religiose. Ma è da tener presente che i tatuaggi hanno significati differenti a seconda delle varie culture. Ai tempi dei romani venivano utilizzati per riconoscere i fuorilegge e gli schiavi. I marinari li utilizzavano invece come testimonianza dei propri viaggi e delle proprie avventure. Insomma tempi addietro i tatuaggi avevano un significato autentico, una certa utilità.

Al giorno d’oggi invece cosa vogliono significare questi disegni, simboli, scritte incise sulle pelle da ago e inchiostro e che permangono tutta la vita? Ragioniamoci anche relativamente all’età: ricerche dell’ISTAT mettono in luce che l’incisione del primo tatuaggio avviene in media in quella fascia di età che va dai 26 ai 35 anni (52% della popolazione italiana). Ma un buon 30% riguarda soggetti di età inferiore. Tali dati saltano all’occhio per un principale motivo: molti soggetti di età poco più che adolescenziale esibiscono già almeno un tattoo. Alcuni anni fa il tatuaggio rappresentava in qualche modo una personalità deviante. E tutt’ora molte persone osservano i soggetti caratterizzati dai tattoo con occhio critico. Come se quei simboli rappresentassero un segno di trasgressione, qualcosa da cui in un certo senso occorre tenersi alla larga.

Ma perché? Negli anni 70 – 80, con la nascita del movimento Punk, il tatuaggio aveva in effetti assunto un certo significato di ribellione, ed era circoscritto appunto solo a certe categorie di persone, quali galeotti, prostitute e criminali (Castellani, 2005); e anche ai nostri giorni molti soggetti si fanno tatuare solo per possedere un elemento di identificazione e contrapposizione. Ma ciò riguarda una minoranza di persone.

Perché è opportuno riflettere su un’altra cosa, che paradossalmente introduce un concetto in un certo senso opposto a quello appena esposto. Il tatuaggio pare diventata un’autentica moda. È talmente frequente incontrare gente tatuata che ormai la cosa non salta più neanche all’occhio; non si fa nemmeno più particolare caso a quei bizzarri disegni scritti sul corpo. Come se facessero parte integrante della persona stessa, quando in realtà così non è. Si tratta di un’incisione volontaria, messa in atto per un determinato e personale motivo (Millner, Eichold, 2001).
Una moda appunto. Ce l’hanno in tanti e quindi piacerebbe averlo anche a me.

Non una trasgressione allora, non un qualcosa che devia dalla normalità, ma bensì l’esatto contrario: un omologarsi all’altro, rendersi simile, un “conformismo”. Ebbene sì, ciò non è da escludere se si tiene presente che ad incidersi un tatuaggio sono molti soggetti di giovane età, ventenni, poco più che adolescenti. A quest’età assume una rilevante importanza l’integrazione nel gruppo di coetanei, l’essere accettati, il sentirsi parte di un gruppo. Il tatuaggio è una moda tra i giovani d’oggi, e piace. Viene percepito un simbolo di bellezza, una decorazione. E tali convinzioni spingono la persona ad averlo, battendo anche i motivi che potrebbero in qualche modo frenarla dal farselo incidere, ossia che si tratta di un segno indelebile, e il non trascurabile fatto che viene creato mediante una tecnica a dir poco dolorosa. Un “autolesionismo” in un certo senso. Potrebbe sembrare assurdo, ma recenti ricerche hanno messo in luce che dietro comportamenti autolesivi, con un particolare riferimento alla creazione piercing e tatuaggi, vi sia un desiderio di approvazione da parte degli amici e dei pari (Novara e all. 2010).

Proprio questo bisogno di omologazione adolescenziale ha spinto una buona parte di medici a mettere in atto una serie di strategie preventive, in modo da poter mettere in guardia i giovani verso le pratiche di incisione dei tattoo poco sicure, e al contempo informarli sui possibili rischi che essi potrebbero comportare (Gold e all, 2015). È da sottolineare che sono in molti i soggetti pentiti del proprio tatuaggio, e molti di essi raccontano proprio di aver fatto “la sciocchezza” in giovane età, senza valutare adeguatamente le conseguenze.

Ma è pure vero che il tatuaggio è un “simbolo”, ossia un qualcosa che ha un significato. Ed infatti molte persone così lo concepiscono. È un qualcosa di personale, a cui si attribuisce un senso, indelebile e che viene a far parte della persona stessa. Qualcosa che resta, a cui si attribuisce un’importanza e che non si vuol dimenticare. Un ornamento sul nostro corpo che in un certo senso lo rende unico, con un significato personale in più.

E tornando al concetto in precedenza sopra esposto, relativo al fatto che il tatuaggio in alcuni casi rappresenta trasgressione e ribellione, è da sottolineare che ai giorni odierni ciò potrebbe essere relativo solo per gli occhi di chi osserva la persona tatuata. Mentre chi possiede l’incisione attribuisce al proprio tatto un significato in qualche modo positivo, semplicemente per il fatto che quel disegno sulla pelle è stato realizzato solo grazie alla pura volontà di chi lo indossa.

[blockquote style=”1″]Come seguendo i contorni di un ricamo, l’ago penetra nella carne lasciando dietro di sé un segno indelebile [/blockquote]

Flori, 2009

 

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