È un disturbo del comportamento motivato che, soprattutto in soggetti predisposti, s’instaura progressivamente, anche se non obbligatoriamente, attraverso stadi subentranti, che sfumano l’uno nell’altro e che sono caratterizzati da cambiamenti neuropatologici e comportamenti culminanti, nella fase finale, in una ricerca e consumo compulsivo di sostanza psicoattiva.
Con il termine “droga”, dal punto di vista farmacologico, si fa riferimento a qualsiasi sostanza, sintetica o naturale, chimicamente pura o meno, la cui assunzione provoca una modificazione della coscienza, della percezione, dell’umore (Galimberti, 2007). Di fronte a un fenomeno così poco comprensibile e controllabile il contesto sociale ha sempre cercato di racchiuderlo in significati attribuiti attraverso rituali o norme da cui derivarne il senso, la legitimizzazione o la delegittimazione (Loi e Tarantini, 2006).
L’uso di sostanze per alterare lo stato di coscienza è rintracciabile in diverse culture già dal 4000 a.c.: i Sumeri indicavano il papavero da oppio come pianta della gioia, dimostrando così come le antiche popolazioni della Mesopotamia conoscevano bene le proprietà euforizzanti del succo di tale pianta. Nell’800, con lo sviluppo della cultura scientifica, tutti i significati legati ai contesti religiosi e sciamanici sono stati trasformati e deprivati della magia: la droga, che mediava l’incontro mistico con il sacro, si trasforma nella ricerca individuale dell’illusione (Testoni e Frigerio, 2002).
Negli anni ’70 esplodono le lotte politiche, in nome della libertà d’espressione, sia mentale che fisica. “Sesso, droga e Rock’n’Roll”, mai definizione fu più adatta per riassumere gli anni ’70: sono gli anni della trasgressione, della rivoluzione femminile, della supremazia delle ideologie politiche. E’ il decennio dei cosiddetti figli dei fiori, quelli che vestivano con pantaloni a zampa di elefante, maglie coloratissime e con i capelli imprescindibilmente lunghi. Il movimento pacifista degli Hippie fa strage di consensi tra i giovani e diviene il marchio di fabbrica di un’intera generazione, sempre pronta a dire ‘no’ a qualsiasi imposizione o sopruso. Ma il fenomeno come quello hippy, diffusosi dall’America all’Europa, comunque si connotava più con la trasgressione che non della protesta pacifista e come tale si è disperso a favore dell’uso di droghe come fenomeno individuale (Loi e Tarantini, 2006)
In questi ultimi anni si è sempre più consolidata l’idea della tossicodipendenza come malattia, attraverso la possibilità di definire in maniera adeguata un quadro clinico e un quadro patogenetico: ne conosciamo il meccanismo biologico e gli aspetti comportamentali e psicologici, come la relazione tra la persona e l’oggetto che viene impiegato per trarre piacere, o le modalità con cui in generale il soggetto gestisce le gratificazioni della sua vita. Tutto ciò ci consente di dire che uno degli aspetti propri della tossicodipendenza è quello di essere anche una patologia, nonostante il problema abbia altre valenze di ordine politico, economico, esistenziale, che vanno al di là della pura malattia.
L’addiction, nella sua accezione moderna, è definita come un disturbo mentale ad andamento cronico recidivante, che si sviluppa in seguito a complesse variabili biologiche e ambientali. Caratteristica dell’addiction è una modalità compulsiva e discontrollata di assunzione di sostanze nonostante le conseguenze sfavorevoli. Tale termine comprende i concetti di tolleranza e di dipendenza, ma anche altri aspetti che la caratterizzano: la preoccupazione per l’acquisizione della droga e l’uso compulsivo, l’intenso desiderio della sostanza (craving), la perdita di controllo, il forte rischio di ricadute e il diniego della propria condizione di dipendenza. Il comportamento recidivante, invece, è una conseguenza dell’addiction e intende la possibilità di ricaduta nell’uso della sostanza dopo un periodo più o meno lungo di disintossicazione. Le sostanze, per essere in grado di generare abuso e dipendenza, devono avere tre caratteristiche di base: liking, cioè piacevoli, funzionali ai bisogni fisici della persona, capaci di dare tolleranza, astinenza e craving (Clerici, Carta e Cazzullo, CI, 1986).
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Da un punto di vista neurobiologico, le modificazioni psicopatologiche e comportamentali che si osservano nell’addiction sono spiegate sulla base del modello della brain reward, dal momento che le sostanze di abuso produco effetti di rewarding (ritenuti euforizzanti e positivi dal consumatore) e di reinforcing (i comportamenti associati all’uso di sostanze vengono reiterati nel tempo). Per assumere un ruolo di sostanza di abuso, una molecola deve essere dotata di capacità dopaminergiche, cioè deve saper interferire, in modo più o meno diretto, sul tono dopaminergico del sistema di gratificazione, tramite un’azione diretta (recettoriale) o indiretta (attraverso meccanismi di reuptake pre e/o post sinaptici) (Kandel, Kessler e Margulies, 1978) : le diverse sostanze di abuso presentano differenti meccanismi d’azione, ma tutte producono effetti sui circuiti della gratificazione dove determinano una attivazione della trasmissione dopaminergica, dando così luogo a comuni effetti funzionali dopo somministrazione acuta o cronica.
È un disturbo del comportamento motivato che, soprattutto in soggetti predisposti, s’instaura progressivamente, anche se non obbligatoriamente, attraverso stadi subentranti, che sfumano l’uno nell’altro e che sono caratterizzati da cambiamenti neuropatologici e comportamenti culminanti, nella fase finale, in una ricerca e consumo compulsivo di sostanza psicoattiva. Le prime assunzioni determinano una sensazione di piacere legata alla stimolazione dei recettori mu degli oppioidi e la stimolazione di dopamina con interessamento nel nucleo accumbens, amigdala, corteccia prefrontale (CPF) e striatodorsale (gangli della base). In tal modo si realizza un apprendimento incentivo (per rinforzo), patologico perché non finalizzato a rinforzare comportamenti adattativi di base, quali ad esempio la ricerca del cibo, di attività sessuali, di interazioni sociali, etc.
Inizia un processo di plasticità neuronale che porterà a una modificazione del fenotipo neuronale che si verifica in seguito alle assunzioni ripetute di sostanze d’abuso (Scott e Koob, 2010; White, 2002). Proseguendo l’uso, l’attivazione dei sistemi contro-opponenti diviene fondamentale nel generare il passaggio dal “io voglio” al “io devo”: se in una prima fase si ha la percezione di scegliere una sostanza per il puro piacere che provoca, in sua seconda fase la sua assunzione diviene quasi una necessità. Lo spostamento verso il polo disforico negativo dell’affettività condiziona il rischio di ricadute (sollievo temporaneo indotto da droghe) e l’evoluzione verso l’addiction (Nestler, 2002; 2004.).
Con il progredire della dipendenza il comportamento di ricerca e assunzione di sostanza inizialmente sostenuta da un rinforzo positivo, sono memorizzati come comportamenti svincolati dall’obiettivo, pertanto difficili da controllare. Il paziente vede le sue funzioni di decision making pesantemente compromesse (Lucchini, 2014). Tuttavia, per comprendere la complessità dell’addiction è fondamentale analizzare il contesto attuale e riflettere sulla possibilità di nuove prospettive di cura che tengano conto, oltre agli aspetti neurobiologici, di come la tossicodipendenza sia un fenomeno in continua evoluzione.
In Italia, mentre inizialmente era l’eroina a suscitare il massimo interesse sul problema droga, con gli anni ‘90, unitamente all’incremento dell’uso di cocaina, fu l’avvento delle droghe sintetiche a modificare profondamente il panorama della dipendenza da sostanze. Anche l’interesse del mondo scientifico iniziò ad allargarsi nei confronti di tutte le droghe: a presentarsi agli operatori dei servizi per le dipendenze erano sempre più giovani e giovanissimi che poco avevano a che fare con i soggetti tossicodipendenti con cui fino allora si era abituati a trattare. Erano i consumatori delle cosiddette nuove droghe, le droghe sintetiche, per loro a nulla sarebbero serviti i farmaci utilizzati nel recupero degli eroinomani. Non solo. Le condizioni economiche, sociali e lavorative di questi soggetti non erano sovrapponibili alla media degli utenti tradizionali: erano giovani, spesso studenti, provenienti da famiglie tra loro diversissime.
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Oltre alla novità chimica delle sostanze sintetiche, si potrebbe espandere l’aggettivo nuove droghe e far riferimento alle differenze rispetto agli stili precedenti di consumo, oltre che al tipo di sostanza. L’aggettivo “nuovo” pone l’accento sulle trasformazioni in atto nel rapporto che gli adolescenti e i giovani hanno con le droghe (Picone Stella, 2002; Di Blasi, 2004; Leoni e Ponticelli, 2003): un innalzamento nei livelli di consumo che va interpretato non solo come un effettivo aumento, ma anche come un atteggiamento di maggiore accettazione ed una maggiore disponibilità ad ammettere l’esistenza del fenomeno (Leoni e Ponticelli, 2003; Buzzi, Cavalli e De Lillo, 2002).
L’indagine IARD del 2002 (cit. in Buzzi, Cavalli e De Lillo, 2002) spiega come la contiguità agli stupefacenti da parte dei giovani intervistati si configura sempre più come un fenomeno di consumo e non come una espressione di devianza. L’utilizzo di sostanze stupefacenti sembra rispondere più ad un desiderio di presenza nel mondo: in un sistema che corre a velocità vertiginose, in cui si perdono i riferimenti, non si è in grado di progettare il proprio futuro, in cui la cultura dell’aiuto a superare il proprio limite è particolarmente diffusa, le droghe rispondono ad un bisogno di identità che non viene soddisfatto altrove. I giovani con i livelli di contiguità più eleva paiono dunque essere i più fragili dal punto di vista psicologico e progettuale, ragazzi che non hanno niente da perdere, ma che non trovano nemmeno nulla da cercare né nulla attorno a cui organizzare la propria identità e il proprio senso.
Questo nuovo atteggiamento verso l’uso di sostanze potrebbe riflettere anche un importante cambiamento che caratterizza la nostra epoca: molti dei fenomeni osservati nei tossicodipendenti, quali la profonda insicurezza, le difficoltà di identificazione, la mancanza di autonomia, lo scarso sviluppo del sentimento di stima di sé, trovano la loro origine e il loro senso proprio nella specificità della struttura familiare (Cancrini, 1982; Cancrini e Barboni, 1985). Alcuni punti critici che bilanciano il rapporto tra disfunzionalità familiare ed esito problematico nella tossicodipendenza sono: una relazione fusionale, ossia un atteggiamento protettivo che tende generalmente a bloccare i processi di esplorazione verso l’esterno del figlio; le separazioni impossibili, che difendono i figli dall’angoscia di separazione e di differenziazione (Toscani, 1988); quelli che Bowlby (1988) definiva i “legami transgenerazionali”, che fanno pensare che il processo di crescita nei genitori non sia stato sufficientemente sviluppato e facilitato all’interno della propria famiglia di origine, per cui allevare un figlio nella dipendenza risulta l’unica via percorribile perché l’unica conosciuta.
Altro fenomeno esistente è quello del poliabuso. Questa condotta è caratterizzata da un uso concomitante in un individuo di due o più sostanze che non necessariamente implicano lo sviluppo di dipendenza: generalmente nel poliabuso il soggetto assume varie classi di sostanze senza che ne divenga dipendente contemporaneamente a tutte o, in alternativa, sviluppa una dipendenza per una sola sostanza. Tuttavia, il poliabuso porta a conseguenze importanti: aumenta il rischio di problemi sanitari (infezioni, disturbi di organo e apparato); produce una risposta peggiore al trattamento (maggiori tassi di drop out e minore ritenzione in trattamento); causa una maggiore gravità e minori tassi di risposta clinica ai trattamenti nella psicopatologia in comorbidità; aumenta il rischio di insorgenza di disturbi psicopatologici associati. In Italia il 60% dei consumatori ha caratteristiche di poli-assuntore; il 93% dei consumatori di eroina utilizza contemporaneamente alcol; il 96% dei consumatori di cocaina utilizza anche alcol; il 92% dei consumatori di THC utilizza anche alcol (Indagine ESPAD e IPSAD, 2007-2008, cfr. Hibell et al., 2012).
Infine, la comorbilità psichiatrica associata al comportamento tossicomanico è sempre più complessa (Regier et al. 1990; Serio, 2004; Clerici et al.,1991; Kessler et al.,1996; Serio, 2004; Regier et al., 1998; Weaver et al., 2000; Cantor-Graae et al., 2001; Hasin et al., 2007; Merikangas et al., 1998; Schneider et al., 2001; Marsden et al., 2000): richiede un trattamento individualizzato e la creazione di servizi integrati.
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BIBLIOGRAFIA:
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