Gli episodi che si susseguono sembrano rappresentare i tasselli di una società in crisi in cui il lontano, l’evanescente, l’astratto stanno rubando il posto al vicino, al tangibile, alla realtà materiale; in cui le nostre autocelebrazioni venate di narcisismo ingombrano paradossalmente una realtà sempre più inconsistente e virtuale; in cui tutto è in corso, ma non qui e quindi finisce per attraversarci senza riguardarci davvero.
Il protagonista del romanzo è Giulio, 35 anni, sociologo ricercatore non meglio definito che studia e categorizza – insieme al suo amico antagonista, nonché inguaribile ottimista Ricky – l’esultanza dei calciatori dopo il gol; ha una compagna, Agnese, egofono-dipendente e sta cercando di vendere il capannone del padre ebanista ancora pieno di legni pregiati, ma ormai fermo da tempo. Giulio vive in una pianura indefinita, chiamata Capannonia, dove il nostro eroe sconsolato si sente fuori posto e in cui perdersi[blockquote style=”1″] sarebbe al tempo una vertiginosa certezza e un’entusiasmante liberazione[/blockquote], ma invece sono le strade che percorre da una vita, ma che non riconosce più.
Gli episodi che si susseguono sembrano rappresentare i tasselli di una società in crisi in cui il lontano, l’evanescente, l’astratto stanno rubando il posto al vicino, al tangibile, alla realtà materiale; in cui le nostre autocelebrazioni venate di narcisismo ingombrano paradossalmente una realtà sempre più inconsistente e virtuale; in cui tutto è in corso, ma non qui e quindi finisce per attraversarci senza riguardarci davvero.
Ognuno è un pronome indefinito che sembra voler sgonfiare l’enorme bolla narcisistica che ingombra il nostro tempo e che sembra spogliare ciascuno del proprio ‘Io’ rendendolo anonimo e silenzioso.
E così vediamo il nostro eroe assistere ad un immobile avanzare di opinioni foriere di sterili polemiche riguardo la morte di un cinghiale; recuperare Agnese al pronto soccorso perché investita da un ciclista che non ha visto, perché anche lei affetta dalla sindrome dello sguardo basso; fare un lavoro tanto precario quanto inutile, emblema di quanto il narcisismo possa essere ospite indiscusso del nostro presente; soffrire allo stesso tempo la distanza degli altri esseri umani oscurati dalla tecnologia e la costante presenza dei loro ‘Io’ decantati senza misura attraverso parole e immagini.
Fortunatamente, vediamo Giulio anche disgustarsi dell’autismo digitale che pervade il nostro oggi, perdersi e interrogarsi; e alla fine non accontentarsi di una realtà piena di continue interferenze, con cui non si è più davvero in contatto. Sembra necessario, tanto al protagonista quanto al lettore, spegnere le luci, abbassare i volumi e ingannare il tempo per recuperare un ritmo interiore che ci permetta di disegnare la strada da percorrere, quella più autentica.
Giunto alla fine saprà rispondere al suo interrogativo sul perché continuano a costruire le rotonde:
perché il nostro destino è sbagliare strada[/blockquote], il nostro destino è perdersi e ri-orientarsi, ma senza l’aiuto di una voce artificiale, che renderebbe la strada intrapresa un illusorio autoinganno.
Ognuno potrebbe: ‘ognuno’ è un pronome indefinito che sembra voler sgonfiare l’enorme bolla narcisistica che ingombra il nostro tempo e che sembra spogliare ciascuno del proprio ‘Io’ rendendolo anonimo e silenzioso. ‘Potrebbe’ è una forma verbale che entra in punta di piedi, che lascia sospesa un’occasione, quella di poter fare qualcosa per migliorare, qualsiasi cosa. Certo, anche questa rimane un’opinione.
D’altronde oggi chi non ne ha una?!