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Transparent ovvero l’ essere tra(n)sparenti: la genitorialità transgender dalla psicologia alle serie TV

Rispetto alla genitorialità omosessuale, quella transgender è poco studiata: cosa sappiamo riguardo all’essere 'trans-parent', ossia 'genitori trans'? %%page%%

Di Valentina Venturelli

Pubblicato il 13 Nov. 2015

Aggiornato il 05 Ago. 2022 17:46

Valentina Venturelli – OPEN SCHOOL Studi Cognitivi Modena

Transparent è prima di tutto un gioco di parole: ‘transparent‘ (dall’inglese) significa ‘trasparente’ ma non solo, esso contemporaneamente è la fusione di ‘trans‘, parola gergale per indicare una persona transgender e ‘parent‘, vocabolo inglese per ‘genitore’.

Con il termine Transgender ci si riferisce all’ampio spettro di individui che si identificano in modo transitorio o persistente con un genere diverso da quello assegnato alla nascita (APA, 2015).

Il titolo di questa serie tv statunitense asserisce fin da principio quale argomento viene trattato nella trama, dando voce ad una realtà più diffusa e più largamente accettata rispetto al passato, ma osservata comunque con sospetto e stigma: una realtà che coniuga l’identità transgender con l’identità di ruolo di genitore.

La serie televisiva, prodotta da Amazon, ideata e diretta da Jill Soloway, tesse un intricato intreccio di narrazioni personali legate ai componenti della famiglia Pfefferman. Filo conduttore della trama è la storia di Morton, capofamiglia e docente di scienze politiche in pensione, e del suo percorso di scoperta e rivelazione di sè come Maura.

La serie tv, vincitrice di due Golden Globes come ‘Miglior serie televisiva’ e ‘Miglior attore in una serie televisiva’ a Jeffrey Tambor nella parte di Maura, cattura con freschezza e genuinità le caratteristiche del modo Transgender e si focalizza in particolare sui rapporti e sulle dinamiche che si sviluppano tra i personaggi e sulla loro connotazione psicologica. La lente di ingrandimento non è posta solo su Maura, ma lascia spazio anche alle storie di vita dei figli e dell’ex moglie. La complessità del coming out si intreccia con le difficoltà e incomprensioni legate all’accettazione di Maura da parte dei figli (Sarah, Josh e Ali) e dell’ex-moglie (Shelly), nonché alle problematicità individuali dei singoli.

L’intento dichiarato dall’autrice è quello di usare la serie tv per esplorare il concetto di identità di genere, partendo dalla propria biografia personale. Soloway, infatti, è stata ispirata dal coming out transgender del padre. La produzione ha cercato di abbattere i preconcetti culturali impiegando il più alto numero possibile (più di 80) di transgenders e come segno di lotta alla discriminazione, tutti bagni dei set sono stati resi neutri dal punto di vista del genere (Internet Movie Database [IMDb], 2014).

Obiettivo di questo articolo è, in primis, tentare di chiarire al lettore l’ingente numero di termini utilizzati per riferirsi al sesso e al genere e secondariamente analizzare la bibliografia più recente riguardo all’essere ‘trans-parent’, ossia genitori transgender.

Il termine transgender è un termine ombrello che descrive un vasto numero di persone che sperimentano e/o esprimono il loro genere in modo non eteronormativo, cioè in modo differente –a volte non tradizionale- da come la maggior parte delle persone si aspetta sulla base delle norme socio-culturali di appartenenza. Transgender è spesso usato come categoria inclusiva per un ampio spettro di identità che includono: transessuali, (..) drag queens e drag kings, male-to-female (MtF), female-to male (FtM), cross-dresser, gender benders, gender variant, gender non conforming e persone di genere ambiguo (Bilodeau & Renn, 2005).

Una persona MtF una persona di sesso biologico alla nascita maschile e sesso psicologico femminile, che ha compiuto la transizione al genere femminile; mentre FtM è una persona di sesso biologico femminile e sesso psicologico maschile, che ha compiuto la transizione al genere maschile. Cross-dresser è il termine preferibilmente utilizzato rispetto a ‘travestito’, che possiede una connotazione dispregiativa, ed indica una persona che usa indossare abbigliamento, trucco ed accessori che la società considera appartenenti al sesso opposto. Si stima che una percentuale compresa tra lo 0,25 e l’1 % della popolazione USA sia transessuale (National Center for transgender Equality, 2014).

Rispetto all’abbondanza di lavori sul coming out omosessuale, il coming out come transgender rimane un fenomeno molto meno studiato.

Uno studio di Bilodeau e Renn (2005) suggerisce che lo sviluppo dell’identità e dell’orientamento sessuale delle persone transgender possa essere assimilabile al processo descritto da D’Augelli per lo sviluppo dell’identità e dell’orientamento sessuale in gay, lesbiche e bisessuali. Tale modello modello, che copre l’intero life-span, si compone di 6 processi identitari relativamente indipendenti l’uno dall’altro e interattivi. Egli identifica:

  • Esito dell’identità eterosessuale
  • Sviluppo di un’identità personale gay/lesbica/bisessuale
  • Sviluppo di un’identità sociale gay/lesbica/bisessuale
  • Svelamento della propria identità gay/lesbica/bisessuale ai propri genitori
  • Sviluppo di una relazione intima gay/lesbica/bisessuale
  • Entrata nella comunità gay/lesbica/bisessuale.

Uno studio di Zimman (2009) sulle narrative utilizzate nel coming out transgender mostra come esse differiscono in modo significativo da quelle di gay e lesbiche. Egli denuncia, inoltre, che per molti autori il focus della ricerca verte sulla questione dell’orientamento sessuale rendendo in tal modo silenziosa la lettera T nell’acronimo LGBT (abbraviazione di Lesbian, Gay, Bisexual and Transgender).

Siamo indiscutibilmente ancora lontani dalla piena comprensione del coming out transgender, ma possiamo ipotizzare che esso differisca dal coming out omosessuale primariamente perché si possono identificare due diversi momenti per uscire allo scoperto: prima e dopo la transizione. Con il termine transizione, facciamo riferimento al processo attraverso il quale alcune persone transgender passano quando decidono di vivere secondo il genere con cui esse si identificano diversamente da quello assegnato alla nascita. Questo processo può includere o meno la terapia ormonale sostitutiva, la chirurgia di riassegnazione sessuale e altre cure mediche (HRC, 2014).

Rispetto alle coppie di genitori gay o coppie lesbiche, la genitorialità di transgender, transessuali e genderqueer (genderqueer è una persona che non si riconosce nel binarismo di genere uomo/donna e può identificarsi come un’appartenente a una sorta di terzo genere (qualcosa di altro), identificarsi con entrambi i generi, con nessuno dei due oppure con una combinazione di entrambi. Molti genderqueer si identificano anche come transgender) è ancora un’area poco studiata.

Nonostante numerosi studi non abbiano evidenziato differenze nelle capacità genitoriali di persone LGBT confrontate con genitori eteronormativi, ci sono molti stereotipi e miti da sfatare.  Lo studio di Istar Lev (2010) ha voluto sfidare le basi stesse della ricerca esistente sulle famiglie LGBTQ (la lettera Q sta per Queer) asserendo che essa ha minimizzato la complessità dello sviluppo dell’identità di genere e dell’orientamento sessuale nei figli di tali coppie. Secondo gli studiosi, la ricerca stessa sarebbe guidata da assunzioni eteronormative, che presuppongono un outcome meno positivo qualora i figli di genitori LGBTQ si identifichino come gay o transgender. Tale studio vuole evidenziare l’enorme pressione sociale a cui i genitori LGBTQ sono sottoposti: cioè crescere figli eterosessuali e gender conformi. Le recenti ricerche rivelano che quando i figli mostrano comportamenti non conformi al genere, i genitori LGBT sperimentano senso di colpa e fallimento, come se crescere figli eteronormativi potesse in un certo senso far dimenticare della non conformità dei genitori. I figli di genitori LGBT sono meno rigidi riguardo al genere a all’esplorazione sessuale, ma non sembrano riportare tassi d’incidenza di disforia di genere diversi rispetto ai figli di genitori non LGBT.

Ancora molta strada si deve fare per raggiungere l’equità e sfidare l’eterosessismo, ossia il sistema ideologico che nega, denigra e stigmatizza qualsiasi forma di comportamento, identità, relazione o comunità non- eterosessista (Herek, 1995). Decentrandosi dall’eterosessismo come norma, cambierebbe la natura stessa della discussione riguardo lo sviluppo sessuale e dell’identità di genere.

Uno studio Australiano di Chapman et al. (2012), il primo ad aver incluso nel campione famiglie in cui un genitore è transessuale, ha indagato il rapporto che esiste tra essere un genitore LGBT e l’accesso e la fruizione di cure per i propri figli.

L’omofobia, termine utilizzato per intendere le reazioni affettive ed emotive di ansietà, avversione, disgusto, rabbia e paura che gli eterosessuali possono provare nel confronto con le persone omosessuali (Pietrantoni, 1999) e la transfobia, ossia le stesse reazioni affettive di cui sopra nei confronti delle persone transgender, si sono rivelate le maggiori barriere per l’accesso a cure di qualità nel sistema sanitario per le persone LGBT. Non sorprende, dunque, la riluttanza di tali famiglie nel fornire informazioni riguardo al proprio orientamento sessuale e/o alla propria identità di genere. Molti genitori LGBT sono restii a fare coming out davanti alle figure sanitarie perché hanno riportato esperienze negative e sono preoccupati di eventuali atteggiamenti discriminatori. Così come devono fronteggiare l’esterno, i genitori LGBT possono avere a che fare anche con la loro stessa omofobia e/o transfobia interiorizzata, che può portare a sentimenti di vergogna, ostilità, autodenigrazione e ansia. (Chapman, Wardrop et all, 2012).

Sesso biologico alla nascita (maschile, femminile o intersessuale) e identità di genere, sono componenti distinte del sé: l’identità di genere non necessariamente segue nel corso dello sviluppo la direzione del sesso biologico. L’identità di genere si differenzia anche dal concetto di ruolo di genere, un costrutto socio-culturale, che coinvolge l’adattamento alle categorie socialmente costruite di maschile e femminile (es: giocare con le bambole è da femmina e giocare con le macchinine è da maschi). Sesso biologico, identità di genere e ruoli di genere interagiscono in modo complesso e ognuno di essi risulta indipendente dall’orientamento sessuale, ossia dalla direzione dell’attrazione sessuale ed affettiva (su di un continuum che va dal polo eterosessuale al polo omosessuale, che comprende anche l’orientamento bisessuale e/o il pansessualismo).

Siamo ancora lontani da una vera depatologizzazione delle realtà transgender. Il tema delle identità transgender è ancora dominato da una prospettiva medica e psichiatrica: la cui letteratura si focalizza primariamente su una costruzione binaria dell’identità di genere e propone una correzione della devianza di genere attraverso la riassegnazione sessuale al genere appropriato.

Una sezione dedicata al Disturbo dell’Identità di Genere (DIG) appare per la prima volta nel 1980 nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-III), e successivamente altre 4 edizioni hanno mantenuto e ampliato tale categoria diagnostica. Per quanto riguarda il DSM-V, in realtà, sembra che l’unico cambiamento sia nominale: la nosografia è cambiata da DIG a Disforia di Genere, ma sembra permanere l’idea che una persona transgender in viaggio verso la transizione ne debba soddisfare i criteri. Ma siamo davvero davanti ad uno sviluppo atipico di tipo psicopatologico o no?

Si auspica che come avvenuto per l’omosessualità, anche le diverse realtà abbracciate dallo spettro delle identità transgender, vengano riconosciute come sfumature ed accezioni di una concezione del genere non più binaria, divisa tra maschile e femminile, ma fluida.

Citazioni da Transparent:

  • Episodio 1, ‘Rivelazioni’

Maura al gruppo di auto-mutuo aiuto: La settimana scorsa mi ero imposto di dirlo ai ragazzi, ma non ce l’ho fatta. Non era ancora il momento giusto, capite? Ma lo farò. E succederà presto. Voglio promettervelo. [alza la mano] Ve lo prometto!

  • Episodio 3, ‘Donne’

Maura: Credo che il prossimo a cui lo dirò sarà Josh. […] Pensi che sia pronto? Sarah: No, non si è mai pronti. È come partorire. Hai presente? Un bel giorno il bambino nasce e tu prendi coscienza.

  • Episodio 2, ‘Cambiamenti’

Maura: Quando avevo cinque anni io se-sentivo che c’era qualcosa che non andava. Non sono riuscito a parlare con nessuno del mio lato femminile..era un periodo diverso sai..del tutto diverso[…]così ho dovuto tenere tutti i sentimenti dentro di me…[…]
Sarah: Scusa, ma io non…Scusa papà, ma io non sto capendo…Potresti aiutarmi a venirne fuori? Stai… Mi stai dicendo che ti sei vestito da donna per tutta la vita?
Maura: No, amore. Per tutta la mia vita..per tutta la mia vita mi sono travestito da uomo! Io sono così.

  • Episodio 10, ‘La famiglia’

Maura: Alla scuola elementare di Westlake c’era la signora Painter e io stavo nella fila delle bimbe e mi sembrava giusto […] e, ehm lei mi ha fatto cambiare fila, dovevo stare con i maschietti. È stato allora che ho scoperto di avere qualcosa di…diverso. 

  • Episodio 2, ‘Cambiamenti’

Maura: Ho fatto, come posso dire…tutta la trafila ebraica. A partire dal gioco delle sedie, che poi arrivi a venticinque anni e poi, santo cielo, scegli l-la tipa che ti sta più vicino! Poi abbiamo fatto tre figli, due case diverse e ho avuto una valanga di animali e poi..è finita la commedia.

  • Episodio 5, ‘Rivelazioni atto secondo’

Maura: Prendi anche delle pastiglie?
Divina: No, non più. Prima prendevo queste: Premarin.
Maura: Oh, Premarin. Fa vedere.
Divina: Sì.
Maura: Ma… se le prendo?
Divina: Non ti succede niente! Sono estrogeni, non eroina, tesoro! [Maura ingoia una pastiglia] Allora?
Maura: Mi si sta già gonfiando il seno.

  • Episodio 5, ‘Rivelazioni atto secondo’ [Mort, vestito da donna, incontra un vecchio amico]

Maura: Gary.
Gary: Gesù Cristo! Morty?
Maura: È passato un po’ dalle partite di squash, vero?
Gary: Puoi giurarlo. Che sarebbe quello che hai addosso?
Maura: Oh, be’… Questo è… Qualcuno la chiama collana. Ehm, e questo è… Io credo che si chiami scialle. Un anello.
Gary: Anche lo smalto sulle unghie…

  • Episodio 5, ‘Rivelazioni atto secondo’

Josh: Ehi, stavo cercando di dire che papà è un cazzo di travestito!
Sarah: Quella non è la parola giusta! Ok? È un trans!
Shelly: Ah, quello. Certo che lo so. Pensate che sia una stupida?
Ali: Ommioddio.
Josh: Tu lo sai?! Lo sapevi?!
Shelly: Era il suo… vizietto. Il suo vizietto personale. Tutti ne hanno uno. Questo lo può confermare anche lei, vero Rabbina? Tutti ce l’hanno, vero?
Rabbina Raquel: Be’, suppongo che tutti ne abbiano un paio…
Shelly: Grazie.
Josh: No-no-no-no. No-no-no. Solo desso lui è in quel modo! E si mostra anche in pubblico!

  • Episodio 4, ‘Domande’.

Ali (sotto effetto di droghe-reagendo al coming out del padre): Adesso ti vedo tutto come se non ti avessi mai visto prima! [… ] Papà, oh santo cielo! E adesso come ti devo chiamare? 

  • Episodio 4, ‘Domande’.

Sarah: Rivelare il segreto di un trans è come un atto di violenza. Sarebbe come spogliare una persona in una mensa e costringerla a mangiare da sola.

  • Episodio 6 ‘Incontri e scontri’

Sarah: Questa sera il nonno verrà da noi.
Ella: Sììììì!
Sarah: Il nonno adesso si veste co-come una donna.
Zack: Ma resta sempre un maschio, vero?
Ella: Eeeh?!
Sarah: Per la verità no. Adesso lui è come… è proprio come una femmina. Prendi quest’orso. Come facciamo a sapere se è maschio o femmina?
Ella: È femmina perché ha la vagina!
Sarah: Non lo so, tu vedi la vagina?
Tammy: No.
Sarah: Non lo sappiamo.
Zack: Non ha la vagina, non ha niente. Ha solo il pelo.
Sarah: Allora come facciamo a saperlo?
Ella: Non lo so.
Zack: Non si vede se ha il pene, però. Non lo so neanch’io.
Ella: I maghi possono cambiare. Il nonno è un mago?
Sarah: Sì, già! Lui… Cioè… è una maga!
Tammy: Devi raddrizzare il tiro. Cioè… Sai…
Sarah: Ok, qui non centra la magia. In realtà lo può fare chiunque.
Tammy: Cioè, non è una cosa facile. È abbastanza difficile in effetti. Non è che uno può andare avanti e indietro come vuole.
Ella: Il nonno sarà pettinato bene quando viene?

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • American Psychiatric Association [APA] (2015). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM-5®) Trad.it. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5). Verona: Raffaello Cortina.
  • Bilodeau, B.L. & Renn, K.A. (2005). Analysis of LGBT identity development models and implications for practice. New Directions for Student Services, 111, 25-39.
  • Chapman R., Wardrop J., Freeman P., Zappia T., Watkins R. & Shields L. (2012). A descriptive study of the experiences of lesbian, gay and transgender parents accessing health services for children. Journal of clinical nursing, 21, 1128-1135.
  • Herek, G.M. (1995). Psychological heterosexism in the United States. In A.R. D'Augelli & C.J. Patterson (Eds.) Lesbian, gay, and bisexual identities across the lifespan: Psychological perspectives (pp. 321-346). Oxford University Press.
  • Istar Lev, A., Choices Counseling & Consulting, and State University New York at Albany, School of Social Welfare, Albany, NY (2010). How Queer!-The development of Gender Identity and Sexsual Orientation in LGBTQ-Headed Families. Family Process, 49, 3.
  • Pietrantoni, L. (1999). L’offesa peggiore. L’atteggiamento verso l’omosessualità: nuovi approcci psicologici ed educative. Pisa: Del Cerro.
  • The Human Rights Campaign Coming Out Project [HRC]. (2014). Transgender Visibility. A guide to being you. da www.hrc.org
  • The National Center for Transgender Equality [NCTE] and The Human Rights Campaign Coming Out Project [HRC]. (2014). Coming out as transgender. www.hrc.org
  • Zimman L. (2009). The other kind of coming out: Transgender people and the coming out narrative genre. Gender and Language,3.1, 53–80.
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