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I professionisti della salute sono immuni allo stigma sul peso?

La ricerca ha rilevato che anche i professionisti della salute tendono a stigmatizzare i pazienti obesi o con disturbi alimentari - Psicologia

Di Daniele Di Pauli

Pubblicato il 29 Set. 2015

Le persone possono dimenticare quanto hai detto e fatto, ma non come le hai fatte sentire.

Spesso, all’ interno di questa rubrica, sono stati ospitati contributi che hanno trattato il tema dello stigma nei confronti dell’obesità e delle persone con obesità (in inglese weight stigma o weight bias). L’obesità non è vista come una malattia ma come una colpa della persona, la quale è ritenuta responsabile della propria condizione di salute, e quindi bersaglio di stereotipi negativi che la dipingono come pigra, senza forza di volontà, golosa, incurante della sua salute ecc…

La letteratura scientifica (si consiglia la lettura delle review di Puhl & Brownell 2001 e Puhl & Huer 2009 e il libro Weight Bias di Puhl, Brownell, Schwartz e Rudd 2005) ha evidenziato come questi atteggiamenti negativi nei confronti dell’obesità possano penalizzare le persone obese nei domini più importanti della vita come, per esempio, lavoro, istruzione, relazioni interpersonali, tempo libero e cure sanitarie. Il fatto che anche l’ambiente sanitario e i professionisti della salute non siano immuni da questa forma di stigma costituisce un’emergenza nella lotta all’obesità poiché i pazienti potrebbero ritardare o cancellare importanti visite mediche e di prevenzione o rifiutare di chiedere un aiuto medico con il rischio di mantenere e/o peggiorare nel tempo la propria condizione di obesità.

La ricerca ha rilevato atteggiamenti negativi in medici, infermiere, psicologi, ginecologi, studenti di medicina, fisioterapisti, dentisti, e infine anche nei professionisti che lavorano nel campo dell’obesità e Disturbi del Comportamento Alimentare. Riassumendo quanto emerso dalla ricerca scientifica, il professionista della salute descrive il paziente con obesità come poco collaborativo, poco intelligente, demotivato, pigro fino ad arrivare a considerarlo una perdita di tempo.

Dopo i famigliari, in uno studio condotto su 2449 donne con obesità, i medici risultano la seconda fonte di stigma dopo i famigliari. Nonostante il tema dello stigma basato sul peso sia conosciuto e, in particolare negli Stati Uniti, è sempre più riconosciuta l’importanza di contrastarlo a 360 gradi, vi sono episodi in cui un atteggiamento stigmatizzante è mosso proprio da persone che lavorano nella sanità. Un esempio recente (che ha ispirato questo contributo) è l’editoriale pubblicato sulla rivista American Journal of Medicine ad opera di un medico cardiologo, Robert Doroghazi, intitolato “A candid discussion of obesity”.

L’autore scrive che negli ultimi anni, nonostante i tanti sforzi, poco è stato fatto per ridurre l’obesità e che il problema, secondo il medico, è che le persone obese mangiano troppo ed è una loro responsabilità mangiare di meno. Inoltre il cardiologo ritiene che sensibilizzare al tema dello stigma basato sul peso sia un incentivo per le persone a non modificare i propri comportamenti. Su questa linea Doroghazi termina l’editoriale suggerendo ai colleghi di rivolgersi ai pazienti con obesità semplicemente dicendo la verità utilizzando queste parole: [blockquote style=”1″]Signore o signora non è bene essere obesi. L’obesità è un male. Lei è sovrappeso perché mangia troppo. Lei ha anche bisogno di muoversi di più. La sua obesità non può essere imputata ai fast food o alle bevande zuccherate o altro. Lei pesa troppo perché mangia troppo. La sua salute e il suo peso sono una sua responsabilità. [/blockquote]

Considerare il peso come qualcosa di controllabile, e sotto la responsabilità individuale, è alla base dello stigma che esiste verso questa condizione e chi ne è affetto. Vedere l’obesità come una scelta, e non una malattia complessa e multifattoriale, è un insulto ed è irrispettoso verso chi sperimenta quotidianamente le conseguenze fisiche, psicologiche e sociali. Le parole di Doroghazi sottolineano l’importanza di sensibilizzare i professionisti della salute al tema dello stigma, e sulla complessità dell’obesità, perché una visione giudicante e colpevolizzante può divenire un potente ostacolo per una cura efficace e duratura.

L’episodio ne richiama un altro accaduto pochi anni fa ad opera del Ministro della Salute inglese Anne Milton che invitò i medici di base a utilizzare il termine “grasso (fat)” per motivare i loro pazienti a perdere peso. È diffusa l’idea che lo stigma possa motivare al cambiamento e che proteggere la dignità della persona obesa possa invece non motivarlo. Gli studi mostrano il contrario, e cioè che l’aumento dello stigma nei confronti dell’obesità e persone obese va a braccetto con l’aumento dei casi. Chi ha ragione? Una risposta la possiamo affidare alle parole di Albert Stunkard, uno dei massimi studiosi dell’obesità, scomparso lo scorso anno.

[blockquote style=”1″]Noi medici abbiamo un’opportunità d’oro. Abbiamo raramente l’opportunità di curare le malattie croniche. Abbiamo però l’opportunità di trattare il paziente con rispetto. Una tale esperienza potrebbe essere il più grande dono che un professionista della salute può dare al paziente con obesità[/blockquote] (pp. 355-356).

Mi auguro che editoriali come “A candid discussion of obesity” siano uno stimolo per parlare e conoscere un aspetto poco conosciuto, ma diffuso e invalidante, dell’obesità.

 

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Daniele Di Pauli
Daniele Di Pauli

Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale

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