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Hikikomori: un fenomeno giapponese o un nuovo disturbo psichiatrico?

Descritta in Giappone, la sindrome di Hikikomori riguarda spesso gli adolescenti e indica un completo isolamento e il totale rifiuto della vita sociale.

Di Nagaia Bacchetta

Pubblicato il 04 Set. 2015

Aggiornato il 04 Ott. 2019 13:25

Nagaia Bacchetta – OPEN SCHOOL – Studi Cognitivi

I giovani hikikomori possono mostrare il loro disagio in vario modo: restare chiusi in casa tutto il giorno, oppure uscire solo quando hanno la certezza di non incontrare conoscenti, oppure ancora fingere di recarsi a scuola o al lavoro e invece girovagare senza meta per tutto il giorno. Il fenomeno è stato spesso associato all’internet addiction.

Sin dalla fine degli anni ’90 (Saito, 1998), è stata descritta in Giappone una particolare condizione psicologica che riguarda soprattutto gli adolescenti e i giovani adulti e che è stata definita hikikomori, letteralmente ritiro sociale.

Tale condizione si caratterizza infatti proprio per un rifiuto verso la vita sociale e scolastica o lavorativa per un periodo di tempo prolungato di almeno 6 mesi e una mancanza di relazioni intime ad eccezione di quelle con i famigliari più stretti. I giovani hikikomori possono mostrare il loro disagio in vario modo: restare chiusi in casa tutto il giorno, oppure uscire solo di notte o di prima mattina quando hanno la certezza di non incontrare conoscenti, oppure ancora fingere di recarsi a scuola o al lavoro e invece girovagare senza meta per tutto il giorno.

Il fenomeno è stato spesso associato all’internet addiction, ma gli studi mostrano che solo nel 10% dei casi è stato riscontrato anche questo tipo di dipendenza. In realtà al momento è stata trovata solo una correlazione tra i comportamenti di ritiro sociale e alcuni sintomi dell’internet addiction (Wong, 2015), ma ancora non è stato condotto uno studio che permetta di stabilire una relazione causale tra i due fattori.

 A partire dalla descrizione dettagliata del fenomeno operata dallo psichiatra Saito (1998), numerosi studi sono stati condotti in Giappone per capire le cause che sarebbero all’origine del manifestarsi di questo protratto rifiuto sociale. Da un punto di vista psicologico, si sono studiate innanzitutto le variabili familiari legate a relazioni disfunzionali di tipo invischiato e la copresenza di disturbi psicopatologici associati, come ad esempio la depressione. Da un punto di vista sociologico, invece, si sono indagati soprattutto i fattori legati al particolare sistema culturale giapponese, basato sul confucianesimo, e ad un atteggiamento di anomia sociale e di rifiuto verso le severe regole morali e sociali su cui si basa la cultura tradizionale giapponese. L’ipotesi che ne è scaturita è quindi che questi giovani, pressati dai valori sociali basati sull’estremo perfezionismo e sulla tendenza a voler sempre primeggiare sia a scuola che al lavoro, non si sentano all’altezza degli standard loro richiesti e preferiscano quindi rinchiudersi in casa per evitare di affrontare una realtà quotidiana che avvertono come opprimente.

Saito ha paragonato il loro atteggiamento allo stato di moratoria descritto da Erickson (uno degli stadi attraverso cui passerebbe l’adolescente nel corso della strutturazione della propria identità), comportamento che non sarebbe però particolarmente gradito all’interno della cultura giapponese dove al giovane viene richiesto di indirizzarsi subito verso il suo percorso di vita futuro, senza possibilità di sperimentarsi o di tentare strade alternative.

Attualmente diversi studi si stanno concentrando sulla possibilità che il fenomeno hikikomori non sia legato esclusivamente alla cultura giapponese, ma si possano osservare casi di questo tipo anche in paesi diversi.

Comprendere la rilevanza del fenomeno potrebbe essere importante nella gestione e nel trattamento di queste persone, per evitare che una volta raggiunta la piena età adulta essi mostrino notevoli difficoltà di reinserimento, soprattutto in seguito all’impossibilità dei genitori ormai divenuti anziani di occuparsi ancora pienamente di loro.

Uno studio condotto nel 2012 (Kato et al.) si è proposto di indagare la presenza del fenomeno anche in culture differenti. A partire dall’analisi di cartelle cliniche di giovani socialmente ritirati, è stato trovato che 239 su 247 psichiatri hanno riconosciuto il ritiro sociale, del tipo già descritto circa il disturbo dell’hikikomori, come un fenomeno clinico e sociale presente anche nelle loro popolazioni. Lo studio ha coinvolto psichiatri provenienti da Australia, Bangladesh, India, Iran, Giappone, Corea, Taiwan, Tailandia e Stati Uniti. Tuttavia ancora non si è giunti a stimare la prevalenza e il grado di rilevanza del fenomeno nelle culture non giapponesi. Nell’articolo si parla solo di una potenziale minaccia anche in altri paesi del mondo circa il fatto che potrebbero trovarsi a fronteggiare lo stesso tipo di problematiche già riscontrate in Giappone con adulti di mezza età inabili a prendersi cura di se stessi.

Il disinvestimento dei giovani verso la vita sociale e lavorativa, anche se non esattamente analogo all’hikikomori, è stato riscontrato anche in alcuni paesi occidentali. Nel Regno Unito, ad esempio, si utilizza la sigla NEET (not in employment, education or training) per indicare i giovani non impegnati in attività lavorative o educative. Negli Stati Uniti si utilizza il termine adultoscelent per indicare quei giovani adulti che ancora vivono con i loro genitori e che non sembrano avviarsi verso una vita propria indipendente dalla famiglia.

Uno studio del 2014 (Carli et al.) condotto in 11 paesi europei ha trovato che i giovani che usano internet, la tv o i videogames per molte ore al giorno, che hanno una vita sedentaria e ridotte ore di sonno rappresentano un rischio invisibile per la società. Questo gruppo di persone nasconde in realtà dei preoccupanti segnali di rischio per lo sviluppo di psicopatologie e di comportamenti suicidari.

Bisogna tuttavia procedere con cautela nell’affermare che i segnali presenti in giovani provenienti da altro tipo di società e culture sia effettivamente comparabile con il fenomeno descritto in Giappone. Inoltre è stata evidenziata una mancanza di criteri clinici specifici nella descrizione del disturbo e gli studi condotti hanno spesso usato campioni non rappresentativi e ricerche poco rigorose dal punto di vista metodologico.

Una rassegna di Li e Wong (2015), condotta su studi che descrivevano casi clinici di ritiro sociale in vari paesi come Hong Kong, Stati Uniti, Corea e Oman, ha permesso di capire che solo pochi studi riportano dati affidabili sulla rilevanza del fenomeno del ritiro sociale, che si attesta su una stima del 1-2% in Giappone e Corea, e che in generale c’è poca concordanza sulla definizione di ritiro sociale giovanile.

La rassegna di Teo e Gaw del 2010 si è invece focalizzata principalmente sui segnali di possibili disturbi psicopatologici che si manifestano con il comportamento del ritiro sociale. Esso è stato infatti riconosciuto come un sintomo tipico di patologie come la Schizofrenia, il Disturbo d’Ansia Sociale, il Disturbo Depressivo Maggiore e alcuni disturbi di personalità come i profili schizoidi ed evitanti. Tuttavia, un notevole sottogruppo di casi clinici non riscontrava i criteri per la diagnosi di alcun disturbo psichiatrico. Teo e Gaw concludono quindi che il ritiro sociale grave o acuto potrebbe in futuro essere incluso nel DSM come una nuova psicopatologia a sé stante (Teo e Gaw, 2010).

 Al momento ci sono poche prove a favore dei possibili fattori che potrebbero provocare un comportamento di questo tipo. Li e Wong (2015) hanno riassunto e categorizzato i fattori clinici, psicologici, familiari e sociali che guidano a questo specifico tipo di comportamento. In particolare, hanno identificato l’importanza dei fattori psicologici relativi alla dipendenza psicologica di questi giovani. Anche fattori relativi alla struttura famigliare si sono rivelati determinanti. I fattori extra familiari riguardano invece il sistema educativo e scolastico, mentre per quanto concerne la vita sociale è stato trovato che i valori sociali e le aspettative dei giovani sono correlati positivamente con il comportamento di ritiro sociale.

I ricercatori concludono quindi che, in base alla diversa intersezione di fattori psicologici, sociali e comportamentali, vi sono tre differenti tipi di giovani socialmente ritirati:

  • gli ultradipendenti, che crescono in famiglie ultraprotettive in cui non riescono a raggiungere uno sviluppo psicologico che permetta loro di fidarsi delle persone e di acquisire autonomia. Poiché le loro famiglie provvedono a fornire loro le adeguate risorse materiali, questi giovani hanno poca motivazione a sviluppare autonomia e da ciò deriva un’eccessiva dipendenza dal supporto dei genitori;
  • gli interdipendenti disfunzionali, che sono il prodotto di dinamiche famigliari disadattive che impediscono ai giovani di imparare le regole sociali di base a casa. Ciò porta a delle relazioni sociali poco soddisfacenti con i pari, al rifiuto degli altri e a una tendenza ad essere vittime di bullismo a scuola;
  • i controdipendenti sembrano invece essere caricati da eccessive aspettative genitoriali nei loro confronti, che si associano a notevole pressione nella vita accademica ed educativa e a stress correlato alla carriera lavorativa. Questi giovani sembrano impiegare molto tempo nello studio e nella pianificazione del loro futuro, ma la successiva disoccupazione e la mancanza di opportunità provoca in loro molta frustrazione e un successivo isolamento dagli altri.

In generale, a differenza di altri disturbi psicopatologici che provocano comportamenti esternalizzati ben evidenti alle famiglie e agli operatori della salute, come uso di sostanze o comportamenti sessuali a rischio, i giovani che si caratterizzano per un ritiro dalla vita sociale e lavorativa sembrano essere molto più invisibili e il loro disagio rischia di passare inosservato. Gli studi presenti relativi al fenomeno sono ancora relativamente pochi, in particolare per quanto riguarda la manifestazione del comportamento nelle culture al di fuori del Giappone, e proprio la natura nascosta di questi pazienti rende più difficile la programmazione di future ricerche sul fenomeno.

Secondo Li e Wong (2015), tuttavia, l’utilizzo dei nuovi mezzi di comunicazione, come i sondaggi da diffondere attraverso i social network o l’analisi dei testi scritti online da soggetti che si caratterizzano per un diffuso ritiro dalla vita sociale, potrebbe fornire una valida alternativa ai problemi metodologici riscontrati negli studi condotti finora.

La mancanza di dati relativi alla prevalenza del fenomeno e di un accordo circa i criteri clinici che lo caratterizzano non permette al momento attuale di considerarlo come una nuova patologia diffusa tra i giovani né di sviluppare protocolli di intervento efficaci per il loro trattamento.

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