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Adolescenti e futuro: culture, relazioni e disagio – XI Convegno Nazionale dei Gruppi Italiani di Psicoterapia Psicoanalitica dell’Adolescenza

Si è svolto a Parma il 3 e 4 Ottobre 2014 l'XI Convegno Nazionale dei Gruppi Italiani di Psicoterapia Psicoanalitica dell'Adolescenza - Report dal Congresso

Di Simona Meroni

Pubblicato il 16 Ott. 2014

Due giorni intensi che hanno visto lo scambio di molti professionisti e un calendario ricco di workshop che hanno cercato di offrire una panoramica circa gli adolescenti di oggi, non solo a livello di patologia e cura, ma anche più semplicemente di “persona”.

Al convegno sono intervenuti molti professionisti impegnati nella cura e nel sostegno di adolescenti alle prese con i compiti evolutivi, ma anche con genitori che si dichiarano impreparati a comprendere e gestire una fase della vita del nucleo familiare (e non solo del singolo) così delicata e appassionata.

La seduta plenaria iniziale ha visto gli interventi di Michele Serra, giornalista, e di Pietropolli Charmet che hanno cercato di fornire due vertici di discussione differenti ma complementari.

L’adolescenza vista da un padre non addetto ai lavori (Michele Serra con il suo libro “Gli sdraiati” cerca di fornire la panoramica di un genitore alle prese con qualcuno che non riconosce più) e da un professionista della relazione di cura.

Mi ha molto colpito il tema trasversale ai due giorni, ripreso poi nella seduta plenaria conclusiva, circa la dimensione del tempo e del futuro per chi è adolescente al giorno d’oggi. Come terapeuti, infatti, siamo tenuti ad interrogarci su cosa significhi crescere, vivere e amare in un contesto socio-economico-culturale senza precedenti.

Un contesto alle prese con forti conflitti che se da un lato spingono ad allontanarsi dalla famiglia (molti adolescenti, come emerge dai focus group e dalla ricerca condotta da Agipssa su un campione di studenti a livello nazionale, non ritengono l’Italia un contesto adatto nel quale poter  continuare a vivere e quindi si dichiarano pronti a partire per un futuro altrove), dall’altro sicuramente trattengono in una posizione regressiva e regressivizzante, che passivizza e amplifica il senso di inadeguatezza con il quale ogni adolescente lotta pressoché quotidianamente.

 

Ogni individuo, poi, trova una strada – la propria strada – che può essere sufficientemente sana ma anche, in taluni casi, patologica. I soggetti adolescenti sono chiamati ad evolversi, ma si sentono inadeguati ed incapaci di portare a termine il compito assegnato (realizzarsi). Il problema, quindi, non è tanto rivolto al passato (eventuale trauma) bensì al futuro (essere in grado di).

Spetta al contesto e all’ambiente, quindi, essere in grado di cogliere i segnali di disagio, per evitare che si trasformino in qualcosa di più. Gli adolescenti, infatti, ci insegnano che se gli adulti o l’ambiente non rispondono adeguatamente, alzano il tiro e vanno alla ricerca di una strada e di un’auto-cura sfruttando le risorse a loro disposizione. Il gruppo dei pari diviene quindi un serbatoio di rinforzi, e quando lo stesso gruppo dei pari fa paura o mette ansia, le nuove tecnologie fungono da supporto ausiliario.

Lo scacco evolutivo in cui incappano certi adolescenti non si limita ad un singolo campo dell’esistere psichico, ci rimette tutto il Sè, che non si sente in diritto di mettersi in scena; si crea così una situazione di depressione narcisistica il cui sintomo principale, che si riversa nel comportamento, è la morte del futuro (non posso realizzare il mio desiderio, la mia storia). Quindi, l’inevitabile, sarà il rifugio nel presente e la ricerca di ogni strumento che annulli in qualche modo il futuro (ad esempio trasformo il corpo seduttivo e femminile in uno scheletro, nel caso delle patologie anoressiche; fuggo la competizione reale con un avatar, evitando lo sguardo del gruppo, nel caso di adolescenti hikikomori; etc.).

La fine del futuro per un adolescente rappresenta la fine dell’ansia e dello scacco evolutivo. Non è forse un caso che oggigiorno gli adolescenti vivano in una società legata alla velocità e all’esterno presente. Siamo eternamente – e ovunque – connessi, ma forse più soli. Non c’è più tempo per fermarsi a riflettere, e la sfida attuale per noi terapeuti è proprio questa: creare una dimensione a-temporale ma piena di significato nella quale si può guardare, insieme, oltre loschermo del telefono per scoprire – parafrasando Lewis Carroll – cosa Alice vi trovò.

Penso che per farlo, però, il primo passo sia conoscere davvero gli strumenti e i linguaggi usati dagli adolescenti, non demonizzandoli tout court e pensando che per taluni adolescenti possono rappresentare, invece, anche una via di uscita sufficientemente buona.

Come adulti (e professionisti) siamo chiamati a credere, innanzitutto, in un futuro possibile per il nostro mondo, ma anche per i nostri pazienti adolescenti, trasmettendo e – laddove mancano- insegnando, le funzioni genitoriali:

– suscitare amore (sei amabile e sarai in grado di amare);

– suscitare speranza e vitalità (puoi esplorare e scoprire cose nuove);

– contenere l’angoscia depressiva (pessimismo, la paura di non capire cosa sta accadendo nel
proprio mondo interno);

– suscitare pensiero (aprire uno spazio di pensiero intorno alle esperienze emotive, dando loro un
significato).

Il confronto, ma soprattutto l’onesta autocritica, sono a mio avviso le due strade fondamentali per raggiungere questo obiettivo. Il Convegno di Parma ha rappresentato proprio questo: un terreno di scambio, critica e confronto.

 

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