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Aggressività proattiva e reattiva & bullismo

Il bullismo è associato all'aggressività proattiva e a quella reattiva ed esse risultano in relazione con la criminalità e l'abuso di sostanze in età adulta

Di Cinzia Borrello

Pubblicato il 15 Giu. 2015

Aggiornato il 07 Gen. 2019 11:29

Cinzia Borrello OPEN SCHOOL STUDI COGNITIVI

 

Quali sono gli obiettivi che muovono i ragazzi nell’interazione con i loro pari? Riscontrato quanto i comportamenti aggressivi siano una delle risposte più frequentemente utilizzate nelle interazioni sociali, ci si è chiesti quali siano i fini che inducono i pre-adolescenti a mettere in atto la condotta aggressiva.

La molteplicità di variabili interindividuali conduce inevitabilmente a prendere in considerazione l’idea che l’aggressività si può distinguere in due tipologie: una reattiva e l’altra proattiva. La tendenza a reagire con la forza nelle situazioni sociali definisce l’aggressività reattiva, mentre l’utilizzo dell’aggressività come strumento per raggiungere i propri obiettivi di affermazione e dominanza nel gruppo delimita l’aggressività proattiva.

Nella letteratura scientifica vi sono state molteplici difficoltà nel tentativo di spiegare e definire l’aggressività, nonostante il senso comune porti ad intendere intuitivamente ciò che è un comportamento aggressivo. Ciò è insito nel fatto che il concetto stesso di aggressività varia a seconda che venga considerato un istinto, una reazione emotiva ad un evento stressante, o una componente comportamentale appresa. La difficoltà nel definire l’aggressività riflette la complessità del fenomeno stesso. Nello sport e nel business il termine aggressività viene facilmente utilizzato anche quando termini quali assertività, entusiasmo, sicurezza, affermazione di se stessi nell’interazione con gli altri risulterebbero più appropriati al contesto (Bushman e Anderson, 2001). In ambito scientifico si definisce l’atto aggressivo come il comportamento che ha un impatto negativo sulle relazioni sociali e il benessere psicologico della persona (Krahé, 2005).

Attualmente tre sono gli aspetti che consentono di definire un atto come aggressivo: l’intento, che rappresenta la volontà di arrecare danno; l’azione, tesa a provocare un danno fisico con o senza aggressività verbale; lo stato emotivo. La complessità nel definire il concetto di aggressività ha spinto molti autori a considerarla come un costrutto multidimensionale (Coie e Dodge, 1998; Dodge, 1991; Dodge e Coige, 1987; Frick, 1998; Pulkkinen, 1996). Ricercatori come Little e al. hanno differenziato tale fenomeno a seconda delle diverse forme, il “what” dell’aggressività: diretta, palese, fisica e verbale, vs. indiretta, relazionale, sociale e materiale. Allo stesso modo l’aggressività è stata distinta per le funzioni, lo scopo, la motivazione che determina l’azione, ciò che viene definito il “why” dell’aggressività caratterizzandola in proattiva, offensiva, e strumentale vs. aggressività reattiva e difensiva (Little, 2003).

Recentemente è stata introdotta la scissione tra aggressività reattiva e aggressività proattiva (Dodge e Coie, 1987; Dodge, 1991; Pulkkined, 1996). Si pensa che l’aggressività reattiva e quella proattiva si differenzino per determinate variabili (Bushman e Anderson, 2001): la rabbia, la motivazione che spinge all’azione, l’intenzionalità, la pianificazione e l’impulsività.

L’aggressività proattiva non richiede alcuna provocazione o rabbia (Smithmyer, 2000). Essa è finalizzata al raggiungimento di un obiettivo diretto ad una persona, con lo scopo di dominarla o intimidirla. L’aggressività diviene la maniera appropriata per raggiungere un particolare obiettivo o fine (Dodge e Coie, 1987). Mossa da comportamenti agiti per ottenere ricompense materiali o psicologiche utili a sé (Dodge, Coie, Lynam 2006), nell’aggressività proattiva interviene la premeditazione, rivelandosi perciò pianificata e calcolata (Bushman e Anderson, 2001).

L’aggressività reattiva viene invece definita come la risposta messa in atto per difendersi da una minaccia, reale o erroneamente percepita (Dodge, Coie, Lynam 2006), come il risultato di una provocazione che comporta scatti d’ira (Dodge, 1991) e come aggressività mossa dallo scopo primario di nuocere l’altro (Bushman e Anderson, 2001). Inoltre, l’aggressività reattiva risulta essere impulsiva e, a differenza dell’altra, non è pianificata (Bushman e Anderson, 2001). Le due forme di aggressività possono concorrere nello stesso individuo, ma possono essere difficilmente individuabili (Dodge, 1991).

Alla base dell’aggressività reattiva e di quella proattiva vi sono differenti correnti teoriche. La radice teorica dell’aggressività reattiva può essere posta nel modello frustrazione-aggressività (Dollard, Doob, Miller, Mowrer e Sears, 1939). L’aggressività proattiva è descritta in termini di apprendimento sociale. Il comportamento aggressivo viene considerato come un comportamento socialmente acquisito e mantenuto (Bandura, 1973).

Prendendo in considerazione aspetti morali, social-cognitivi ed emotivi si riscontrano importanti differenze tra aggressività reattiva e proattiva. I ragazzi proattivamente aggressivi mostrano di prediligere il ricorso all’aggressività per raggiungere obiettivi materiali, non riflettendo sulle conseguenze che il proprio comportamento potrebbe avere sulla vittima: ciò sembrerebbe rimandare non solo ad un bias socio-cognitivo, ma anche ad un deficit nel ragionamento morale (Arsenio et al., 2009). Questi soggetti pur consapevoli delle conseguenze emozionali e materiali, non le prendono in considerazione sul piano morale. I ragazzi con aggressività reattiva, invece, mostrano un deficit di comprensione delle intenzioni altrui (Astor, 1994). Arsenio e at. (2009) dimostrano che l’aspettativa di un’emozione positiva è associata esclusivamente all’aggressività proattiva e non a quella reattiva. Il valore positivo delle conseguenze dei comportamenti aggressivi, associato alla dimensione di aggressività proattiva, è illustrato dalla sua associazione con la leadership e il senso dell’umorismo. Infatti tale comportamento risulta essere tollerato e accettato dal gruppo dei pari, non solo perché fornisce una sorta di regolazione sociale apprezzata dal gruppo, ma anche perché garantisce il potere dei ragazzi, dando loro la possibilità di accesso a risorse desiderabili (Boivin et al., 1995).

Soggetti con aggressività reattiva mostrano un deterioramento delle funzioni esecutive e di elaborazione delle informazioni sociali (Stanford, Greve e Gerstle, 1997), un’inadeguata abilità di problem solving (Dodge et al, 1997) ed un’elevata reattività agli eventi stressanti (Cima et al., 2007); è più frequente che abbiano inoltre genitori controllanti e punitivi (Vitaro et al, 2006), che presentino una storia di abusi (Connor et al, 2004) con episodi di delinquenza tra pari (Fite e Colder, 2007) e comportamenti violenti (Brendgen, Vitaro, Tremblay e Lavoie, 2001). Spesso sono dipendenti da sostanze e manifestano scarso adattamento sociale (Card e Little, 2006). Gli individui aggressivi proattivi, invece, non mostrano aree problematiche nella sfera cognitiva, hanno ricevuto un monitoraggio genitoriale scarso riguardo alle regole di comportamento (Poulin e Boivin, 2000), hanno una storia familiare di violenza e di dipendenza da sostanze (Fite e Colder, 2007), di condotte delinquenziali (Vitaro et al, 2006) spesso associate a violenza fisica (Brendegen et al, 2001).

Inoltre l’aggressività proattiva risulta essere correlata all’uso di strategie coercitive, umorismo, bullismo e bassi livelli di empatia e di comportamenti prosociali (Polman, De Castro, Thomaes, & Van Aken, 2009). Ancora, l’aggressività proattiva è associata a ridotti livelli di reattività emozionale, ad una minor percezione delle emozioni morali (Cima, 2007; Cornell, 1996) e a tratti di personalità callous and unemotional (CU), intesi come mancanza di emozioni prosociali quali rimorso e senso di colpa (Frick, Cornell, Barry, Bodin, e Dane, 2003).
L’aspettativa di ricompensa materiale ed emotiva si pone come base della credenza secondo cui il comportamento aggressivo viene utilizzato come strumento per ottenere risultati e il soddisfacimento dei propri bisogni. Il comportamento strumentale e i deficit morali potrebbero esser ricondotti ad un deficit della capacità empatica (Arsenio, 2006; Arsenio e Lemerise, 2001).

In aggiunta ai precedenti studi, Vitaro et al. (1998) hanno mostrato che l’aggressività proattiva durante la preadolescenza predice condotte delinquenziali nel periodo di metà adolescenza, mentre non risulta lo stesso per soggetti aggressivi reattivi. Pulkkinen (1996) ha affermato che l’aggressività proattiva predispone alla criminalità e all’abuso di sostanze in età adulta.

Riassumendo, l’aggressività reattiva è caratterizzata da impulsività, risposte difensive e ostili a provocazioni e mostra inoltre correlazione con la disregolazione emozionale ed il rifiuto sociale. Questa aggressività è accompagnata da rabbia intensa, che interferisce con vari meccanismi di autocontrollo e di elaborazione delle informazioni (Ripamonti, 2011). L’aggressività proattiva è invece pianificata, orientata all’obiettivo e non è connessa a una provocazione (Coie e Dodge, 1998). Al contrario dell’aggressività reattiva, essa è correlata a maggiore popolarità e abilità comunicative. E’ un’aggressività moderata e controllata dall’aspettativa di ricompense esterne e rinforzata dal comportamento altrui (Ripamonti, 2011).

Crick e Dodge (1996) hanno definito il bullismo come una forma di aggressività proattiva, nella quale sono impiegati degli atti aggressivi per il raggiungimento di scopi personali e orientati alla dominanza nei rapporti interpersonali.

Olweus ha proposto una definizione condivisa in letteratura descrivendo il bullismo in tali termini: “Uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o più compagni” (Olweus,1996, pp 11-12). L’aggressività verso i coetanei viene quindi definita di comune accordo come tratto distintivo di questi soggetti.

Crick e Dodge (1999) hanno applicato il concetto di aggressività reattiva e proattiva al fenomeno del bullismo, ipotizzando che i bulli esibiscono aggressività proattiva e, in accordo con Kochenderfer e Ladd (1997), riportano che la vittima mostra le caratteristiche dell’aggressività di tipo reattivo.

Se da un lato Crick e Dodge (1999) e Price e Dodge (1989) hanno avanzato l’ipotesi secondo cui i bulli mostrano in particolare un’aggressività proattiva (diretta alla persona); dall’altro, Pellegrini, Bartini e Brooks (1999) e Pulkkinen (1996) hanno affermato che questi soggetti mostrerebbero entrambe le tipologie di aggressività. In accordo con Pulkkinen, recenti studi (Camodeca, Goossens, Meerum Terwogt, e Schuengel, 2002) hanno rinvenuto che i bulli mostrano entrambe le tipologie di aggressività mentre le vittime sono tendenzialmente inclini all’aggressività reattiva. Bulli e vittime presenterebbero un’aggressività reattiva rispondendo entrambi alle provocazioni ed utilizzando la forza per difendere se stessi; mentre soltanto i bulli sarebbero proattivamente aggressivi, usando l’aggressività per tormentare e provocare gli altri (Camodeca, 2005).

I ragazzi con aggressività proattiva sembrano rispondere al modello del bullo abile manipolatore (Sutton, Smith e Swettenham, 1999), ovvero un soggetto portato a considerare in modo machiavellico il comportamento aggressivo come un modo per ottenere benefici personali, quali l’affermazione sociale, la leadership e il controllo dei compagni. Sebbene il comportamento aggressivo del bullo sia socialmente disapprovato, esso non appare maladattivo; il bullo infatti raggiunge in modo efficace i propri obiettivi senza perdere il suo status dominante e la propria popolarità (Sutton et al., 1999). D’altra parte, un recente studio italiano (Caravita, Gini, Caprara, 2009) ha evidenziato come lo status modifica il funzionamento morale in adolescenza. Lo status sociale, inteso come popolarità percepita, sembrerebbe influenzare la relazione tra condotta prepotente e il disimpegno morale. I meccanismi di disimpegno risultano essere associati all’agire aggressivo in adolescenza in particolar modo tra i ragazzi percepiti popolari. Il bullo presenta una scorretta percezione delle regole morali, maggiore disimpegno e minori emozioni morali come il senso di colpa e la vergogna (Caravita e Gini, 2010).

Soggetti che utilizzano in maniera massiccia meccanismi di disimpegno morale, proverebbero minori sentimenti anticipatori di colpa, tenderebbero a ruminare sui danni subiti e sul modo in cui vendicarsi e manifestano minori comportamenti prosociali. Quanto maggiore è il disinvestimento morale, tanto maggiore è la probabilità che il soggetto sia coinvolto in comportamenti aggressivi devianti (Bandura, 1996, Olweus,1996), abuso di alcool e sostanze stupefacenti, e condotte criminali. Inoltre, come precedentemente sottolineato, bulli e soggetti con tratti psicopatici tendono ad avere deficit della componente affettiva dell’empatia. Tratti aggressivi in soggetti con ridotte, se non nulle, capacità empatiche aumenterebbero il rischio di sviluppare un disturbo antisociale di personalità di tipo psicopatico (Fagiani, Ramaglia, 2006).

 

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