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Birdman e la crisi esistenziale dell’uomo contemporaneo (2014) – Cinema & Psicologia

Il film è una rappresentazione realistica dell'uomo contemporaneo che conduce una frenetica esistenza che mai si ferma e mai ci dà tregua - Psicologia

Di Francesco Gallizio

Pubblicato il 27 Mag. 2015

Aggiornato il 13 Apr. 2016 11:43

 

La sequenza continua ci rende partecipi di quell’ansia che non può essere narrata altrimenti. Entriamo così noi stessi a far parte di un ciclo continuo di umori ed eventi, sottolineati tra l’altro da una efficace colonna sonora.

Birdman, vincitore quest’anno di 4 premi Oscar (miglior film, miglior regia, migliore sceneggiatura originale e miglior fotografia). Di tutti, credo che quello per la regia identifichi al meglio le ragioni della grandezza espressiva dell’opera. Girato come se fosse un unico piano di sequenza, lo scopo di tale coraggiosa scelta è sì quello di rendere meglio l’idea del teatro, in cui è ambientato il film, ma anche un altro molto importante che riguarda il tema psicologico dell’opera.

La sequenza continua ci rende infatti partecipi di quell’ansia che non può essere narrata altrimenti. Entriamo così noi stessi a far parte di un ciclo continuo di umori ed eventi, sottolineati tra l’altro da una efficace colonna sonora. Sicché ci rendiamo conto che è la vita stessa ad essere così e dunque che Birdman è una rappresentazione di essa. Di quella continua e frenetica esistenza che mai si ferma e mai ci attende, di quella spinta interna che mai si arresta e mai ci dà tregua; mai un solo attimo per riflettere su chi siamo e dove stiamo andando.

Così, come nel film, l’ansia sale perché siamo sempre spinti in avanti senza poterci fermare a vivere il presente. Guardando il film assistiamo dunque ad un’opera, in parte simbolica, in parte introspettiva. Vediamo da un lato infatti una rappresentazione della crisi esistenziale dell’uomo contemporaneo, appunto in quella corsa continua, spinta dal desiderio di innalzarsi a chissà quale meta, che mai si raggiunge e mai ci soddisfa; ma vediamo anche il dramma di un uomo in particolare, il protagonista, preso dai suoi sensi di colpa che sfociano in dissociazioni allucinatorie man mano che la trama va avanti e man mano che la meta sembra avvicinarsi.

Vincitore di quattro premi Oscar, voglio dire tutti ben meritati, Alejandro González Iñárritu (l’autore) non è estraneo ai temi dell’esistenzialismo, che anzi lo hanno guidato in tutte le sue opere. Nato in una famiglia inizialmente benestante, ma cresciuto durante un tracollo finanziario della stessa, il regista messicano passò l’adolescenza lavorando da mozzo ad ingrassar motori su una nave mercantile. Prima del suo inizio artistico, questa sua esperienza, che lo ispirò successivamente allo studio dei classici dell’esistenzialismo, si può certamente identificare come la genesi della sua visione registica, del suo modo espressivo così crudo, realista, così vero.

E c’è molto di se stesso in questo film, molta della sua voglia di essere, molto delle sue paure, molta della sua critica al mondo di Hollywood, ma soprattutto c’è molta riflessione sull’attuale condizione dell’esistenza umana, dei nostri limiti e delle nostre ambizioni che alla fine ritornano ad una sola importante richiesta che tutti infondo abbiamo nel cuore: quella di esser visti, di essere apprezzati, di essere amati.

TRAILER:

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