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Il Trono di Spade (A Game of Thrones): arriva la quinta stagione

Riparte la quinta stagione della serie tv "Il trono di spade" in un continuo intreccio affascinante tra abbondanza epica, tragedia e favola - Psicologia

Di Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 13 Apr. 2015

C’è tanta carne al fuoco di tutti i tipi e tutta assieme come quando si mangia etnico brasiliano. Un vero banchetto di carne e sangue. Però, non c’è nulla da fare: dopo le nozze rosse qualcosa si è spento in me.

È iniziata domenica la quinta stagione di “Il Trono di Spade” e una parte di me continua a pensare che tutto sia finito con le nozze rosse. Non ho visto la serie TV, ho solo letto (tutti) i romanzi finora usciti, e ricordo una curva narrativa entusiasmante e crescente fino alla bomba del massacro delle nozze rosse. E poi una gran confusione, un ammassarsi di fatti e un accumulo di avventure (di cui non vi anticiperò nulla, tranquilli) che ora mi prende e ora mi annoia.

Intendiamoci: l’idea di Martin di farci affezionare a certi personaggi, facendoci credere che abbiano il ruolo di protagonisti che certamente arriveranno fino alla fine o quasi per poi farli fuori precocemente è geniale. Dà un senso tragico al racconto, lo rende simile alla vita in cui non ci sono personaggi che arrivano fino alla fine e danno un senso compiuto alla loro vita, ma tante esistenze limitate e provvisorie, che giocano un ruolo finché ci sono e poi spariscono nel nulla da cui sono emersi. Così sono morti Eddard e Robb Stark. Senza un perché.

E sotto la lama spietata di Martin non spariscono mica solo i personaggi; svaniscono interi temi narrativi. Geniale impostare tutto il primo blocco del suo racconto sulla contrapposizione tra integrità morale degli Stark e corruzione politica nei regni meridionali e far intendere al lettore che questa sarà l’architrave narrativa di tutta la storia, per poi far fare una fine miserabile ai due portatori dell’integrità, Eddard e Robb, e far seguire alla loro fine una tale pletora di nuovi fatti che fa svanire il loro ricordo in un passato lontano e soprattutto fa svanire tutta la tensione narrativa tra superiorità morale e corruzione, intaccata dal dubbio che in fondo Eddard e Robb fossero una coppia di montanari un po’ imbecilli finiti in un gioco molto più grande di loro. Robb almeno aveva il genio militare, Eddard nemmeno quello. Insomma, entrambi politicamente dei minus habens. E poi, diciamolo, la virtù non si vanta, mentre questi Stark ogni mattina si contemplavano commossi nello specchio della loro dirittura morale. Morti loro, tutta la contrapposizione integrità/corruzione muore con loro e semmai riemerge la nascosta grandezza di altri personaggi dalla moralità meno esibita, ma –a mio modesto parere- più efficace nel prendersi cura delle sorti del Regno e quindi della società. Come Ditocorto e Varys l’eunuco.

E poi ci sono altri punti di forza. Le abbondanti allusioni storiche e mitologiche, per esempio. La catena che chiude il porto e intrappola le navi nella battaglia delle Acque Nere allude alla catena che chiudeva il porto di Costantinopoli e salvò l’impero bizantino dall’assalto degli arabi e dei turchi per mille anni. Le velocissime manovre avvolgenti di Robb sembrano ricalcate sulla mobilità di Napoleone nella campagna che portò alla grande vittoria di Austerlitz. Gli arcieri che massacrano i cavalieri alla carica in non ricordo più quale scontro (sempre però nelle campagne di Robb) sono un’allusione agli arcieri inglesi contro i cavalieri francesi ad Azincourt.

L’intero episodio delle nozze rosse allude al banchetto di sangue nel finale del poema dei Nibelunghi. Gli intrighi ad Approdo del Re hanno un sapore rinascimentale da cronaca di Machiavelli, che si alterna con i colori medievali delle battaglie. I racconti orientali di draghi e cavalieri della steppa alludono sia all’epoca turco-mongola del poema “Manas” sia alla favolistica orientale, araba o cinese. Le città-stato marinare e mercantili hanno un colore veneziano e mediterraneo, e così via.

Però il prezzo di questo tentativo di unire abbondanza epica, definitività tragica e mistero favolistico è l’obbligo di mantenere sempre un alto livello di inventiva senza però sommergere il lettore di fatti e personaggi alla lunga difficili da gestire nei limiti della nostra povera testa, appassionata di storie ma anche bisognosa di archi narrativi conclusivi.

Il problema principale è, secondo me, che epica, tragedia e favola fanno a pugni, mentre Martin le vuole mettere insieme. L’epica può reggere una pletora di fatti infiniti, a patto però di avere personaggi che tengano tutto assieme. La tragedia può reggere la morte precoce di protagonisti “buoni” travolti da un fato spietato a patto però di una grande semplicità della trama. La favola funziona, e forse è quello che tiene tutto assieme. Martin mette insieme queste tre cose e produce un piattone pieno di cibo che mi affascina, ma ha anche i suoi difetti. Che a mio parere sono due.

Il primo problema è che le nozze rosse sono un evento gigantesco e difficile da digerire. Dopo le nozze rosse puoi andare avanti quanto vuoi, e Martin lo fa, ma quell’evento sta lì come un macigno inamovibile nella sua enormità. Alle nozze si è compiuta una tragedia così grande e definitiva che finisce per rimpicciolire tutto quel che accade dopo. La favola continua, ma a metà del suo corso è successa una tragedia che ha istupidito tutti.

Il secondo problema è che accanto a epica, tragedia e favola Martin ci mette un quarto elemento: il bildungsroman, il romanzo moderno di formazione. Bene. Peccato che il romanzo moderno come portata aggiunta alla tragedia e all’epica diventa un contorno irrimediabilmente sciapo.

Sto pensando soprattutto a Jon Snow e anche – un po’ meno – a Tyrion Lannister. Jon e Tyrion sono proprio due personaggi da romanzo moderno di formazione, ovvero due giovani uomini inizialmente un po’ stupidi e goffi che crescono e diventano adulti nelle avversità. Il problema è che questi personaggi non tragici finiscono per rimpicciolirsi all’ombra di un avvenimento così immane come le nozze rosse. Siamo sempre lì: continuo a pensare che dopo le nozze la storia è finita. Insomma, quelli che dovevano essere i personaggi più complessi, quelli più capaci di svilupparsi e di “crescere”, ovvero Jon Snow e Tyrion Lannister, mi sembrano sempre di più due intrusi man mano che il racconto va avanti. Davide Copperfield (che è il modello di Jon Snow) piazzato di fianco ad Achille, Sigfrido e Orlando diventa immediatamente un turista perso tra Troia, la Foresta Nera e Roncisvalle.

Un po’ meglio Tyrion: la sua deformità lo rende un po’ più tragico di Jon Snow. Però in fondo non è né epico né tragico, è solo eccessivo e romantico come il protagonista di un romanzone francese di Victor Hugo con tutte le sue esagerazioni, tipo il gobbo di Notre-Dame. All’inizio mi piaceva Tyrion. Le sue sentenze ciniche da burbero benefico mi hanno stancato e non ci stanno nell’epica e nella tragedia. Martin, cosa aspetti ad ammazzare questi due personaggi falliti? Come vuoi che crescano in un mondo terribile come quello? Non c’è speranza nei Sette Regni, mentre la speranza è il cuore del romanzo dell’ottocento. Oppure è un altro dei tuoi giochetti da sceneggiatore: ammannirci Jon e Tyrion fino alla fine? Io non li reggo più.

Questo non vuol dire che non sto aspettando avidamente i prossimi volumi delle “Cronache del Ghiaccio e del Fuoco” e che vi sto invitando a evitare le prossime puntate della serie TV. Il raccontone di Martin continua a piacermi (anche se mai come prima delle nozze rosse, dove la tragedia si è compiuta). I personaggioni più tragici continuano a reggere, a cominciare dalla figura cristica di Theon Greyjoy (ma quante ne ha passate?) e dalla vicenda ormai cristiana di Jaime Lannister. Jaime! Lui è capace di evolvere e di vivere un romanzo di formazione, altro che Jon Snow! Questo perché nessuno se lo aspettava da parte di quel fatuo bellimbusto, mentre Jon e Tyrion fin dall’inizio si sono presentati al lettore dicendo: seguimi e vedrai come evolvo, vedrai come sono complesso.

Poi ci sono i machiavellici Ditocorto e Varys che davvero hanno a cuore le sorti del Regno e non solo di fare bella figura con la propria buona coscienza (prendi e porta a casa Eddard, anche se la tua morte mi ha commosso). Bene o quasi anche Cersei: è una regina rinascimentale con un’intrigante mistura d’idiozia, bellezza e velleitaria furbizia. In realtà -come scriveva Richard Strauss nel suo epistolario con Hugo von Hoffmansthal (lo so, sono un goffo esibizionista della mia cultura)- ai personaggi rinascimentali manca sempre qualcosa per essere veramente presi sul serio come protagonisti di tragedie, non sono né moderni né antichi (bella fregatura!) Però va bene così: Cersei si salva col suo sex appeal da urlo e poi vederla tutta nuda è un piacere! Solo descritta, però; mannaggia a me che non vedo la serie TV. Le lettrici si consoleranno con le nudità di suo fratello Jaime, altrettanto maiale. E con questo chiudiamo l’inevitabile parentesi sesso acchiappa lettori.

Continuerò a leggere tutto, lo ripeto, e un giorno mi vedrò anche la serie TV, che mi dicono essere ancora meglio del romanzone. I supercattivoni funzionano a meraviglia. Roose Bolton con la sua voce sussurrante è un vero psicopatico e suo figlio Ramsay Snow sembra un Dexter trapiantato da Miami a Forte Terrore. Le nevrosi dei Tully e degli Arryn funzionicchiano decentemente, anche se di nuovo c’è l’effetto da romanzo moderno che fa a pugni con epica, favola e tragedia. Invece tutta la parte orientale mi annoia un po’ e lì, mi spiace Martin, il sesso esibito e spinto della Daenerys Targaryen con il suo stallone mongolo (come si chiama? Ah si, Drogo!) ci sta malissimo in una favola orientale: non puoi far apparire Rocco Siffredi (Drogo Siffredi? Perdonate la battutaccia) a fianco di Sherazade nelle Mille e una Notte! A meno che non vuoi produrre un porno trash, naturalmente.

Delle avventure di Arya Stark non ci ho capito più niente da tempo (spiacente, ma Arya soffre dell’effetto Davide Copperfield), per non parlare di Bran Stark, ormai perso in un trip senza speranza tra le nevi. Simpaticissimi invece i ciccioni del clan Manderly di Porto Bianco, il loro intermezzo comico mi piace. E mi piacciono anche i meridionalissimi Martell e il fighettismo dei Tyrrell, con connesso rischio di omofobia consapevolmente affrontato: il cavaliere dei Fiori è una deliziosa provocazione. Quelli delle Isole di Ferro mi piaciucchiano, anche se a volte mi sembrano messi lì a fare solo numero: l’ennesimo filone narrativo. Infine la durezza morale di Stannis Baratheon mi affascina, ha delle spigolosità che si lascia dietro di molte leghe il perbenismo degli Stark.

Poi c’è Catelyn e tutta la vacua polemica del supposto maschilismo di Martin. Scrittore accusato di avere un suo perverso gusto a raccontare i disastri di nobildonne un po’ idiote con velleità politiche. Che dire? A parte che le donne idiote di Martin sono solo due, Catelyn e Cersei, e a parte che nel Trono di Spade c’è anche una gran folla d’idioti maschi e dotati di pisello! Vogliamo parlare di Robert Baratheon? E poi io penso che questa idea della nobildonna bella e idiota sia geniale e ci fa uscire fuori dal cliché (maschilista?) della donna idealizzata. Voto a favore di personaggi donna un po’ cretini e anche tanto coglioni (vero Catelyn?) L’umanità è stupida e questa è la vera parità tra sessi: quote rosa nel cretinismo universale dell’umanità!

Insomma, c’è tanta carne al fuoco di tutti i tipi e tutta assieme come quando si mangia etnico brasiliano. Un vero banchetto di carne e sangue. Però, non c’è nulla da fare: dopo le nozze rosse qualcosa si è spento in me.

 

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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