Per autolesionismo si intende la tendenza a mettere in atto, in modo intenzionale e ripetitivo, comportamenti che hanno lo scopo di provocare un danno al proprio corpo, procurandosi per esempio tagli, bruciature, lividi o escoriazioni.
L’obiettivo non è quello di uccidersi, bensì di trovare sollievo da una stato di sofferenza emotiva. Ad oggi si stima che siano tra il 7 e il 38% gli adolescenti che hanno compiuto almeno un atto di autolesionismo, ma si tratta di un fenomeno in crescita.
Sulla base di queste premesse, è facile comprendere perché sempre più sono le ricerche volte ad indagare questo tipo di comportamenti ed i pensieri e i sentimenti ad essi sottesi. Negli ultimi anni è stato così possibile identificare alcuni importanti fattori di rischio, tra i quali depressione ed esperienze di abuso sessuale.
Tuttavia, Noelle Smith, PhD presso il Dipartimento di Psicologia della Southern Methodist, ed alcuni suoi colleghi dell’Università di Dallas si sono chiesti se l’influenza esercitata da questi fattori sulla messa in atto di comportamenti autolesionistici non sia in realtà da mettere in relazione a sentimenti di disgusto vissuti verso se stessi, che potrebbero costituire un trigger emotivo nella genesi di questi comportamenti e svolgere un importante ruolo di mediatori rispetto ad esperienze di depressione e abuso.
Lo studio ha coinvolto un campione di oltre cinquecento studenti, non ancora laureati, ai quali è stato chiesto di rispondere ad una serie di domande che valutavano la messa in atto di comportamenti autolesionistici non suicidari, la presenza di esperienze di depressione ed abuso fisico e sessuale, la propensione a reagire in modo ansioso e la tendenza a provare sentimenti di disgusto verso se stessi.
I risultati ottenuti hanno messo in evidenza come coloro che riportavano di aver sperimentato con una maggiore frequenza sentimenti di disgusto verso di sé andavano incontro con maggiore probabilità alla messa in atto di comportamenti autolesionistici.
In modo particolare è emerso come, nel confronto con le passate esperienze in cui questi soggetti riferivano di essersi procurati delle ferite autoinflitte, gli episodi più recenti risultavano essere associati in modo statisticamente significativo con sintomi di tipo depressivo mentre erano associati solo parzialmente ad esperienze di abuso sessuale. Il fatto, inoltre, che i sintomi depressivi fossero risultati associati a comportamenti autolesionistici solo quando veniva considerata la presenza di sentimenti di disgusto verso di sé avvalorava ulteriormente il ruolo di mediazione ipotizzato in merito a tale fattore.
Molte sono ancora le questioni aperte e su cui far luce, non è infatti chiara quale sia la direzione della relazione esistente tra la messa in atto di comportamenti autolesionistici e i sentimenti di disgusto verso se stessi. Da un lato il ricorso a tali comportamenti potrebbe placare i sentimenti negativi vissuti verso di sé, dall’altro la messa in atto di questi comportamenti potrebbe essere alla base dell’insorgere di ulteriori sentimenti di vergogna rispetto alle proprie azioni.
In ogni caso, attraverso questo studio è stato possibile guardare per la prima volta alla dimensione emotiva all’origine dei comportamenti autolesionistici che porta ad interpretare i sentimenti di disgusto verso di sé come un possibile fattore precipitante, e che pertanto dovrebbero essere adeguatamente tenuti in considerazione nel corso del trattamento di queste problematiche.
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BIBLIOGRAFIA:
- Smith, N.B., Steele, A.M., Weitzman, M.L., Trueba, A.F., & Meuret, A.E. (2015). Investigating the Role of Self-Disgust in Nonsuicidal Self-Injury. Archives of Suicide Research, 19 (1), 60-74 DOI:10.1080/13811118.2013.850135