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I litigi dei bambini e l’intervento degli adulti: tecniche psicopedadogiche di mediazione dei conflitti infantili

I bambini sono capaci di autoregolarsi nei conflitti con i pari, ma a volte è utile che genitori o insegnanti intervengano con tecniche adeguate -Psicologia

Di Vincenzo Amendolagine

Pubblicato il 12 Feb. 2015

Aggiornato il 17 Feb. 2015 13:14

I litigi dei bambini e l’intervento degli adulti: le tecniche psicopedagogiche di mediazione dei conflitti infantili

 

Keywords: Bambini, Litigi, Mediazione, Genitori, Insegnanti, Psicologia dell’Educazione

Abstract

I litigi fra bambini sono delle occasioni di crescita cognitiva, emotiva e sociale. Frequentemente gli adulti ignorano la valenza positiva di queste contrapposizioni e le vivono con estrema tensione, ponendosi l’obiettivo di interromperle tempestivamente. In questa maniera privano i piccoli di un patrimonio esperienziale utile al loro fisiologico sviluppo.

Le caratteristiche dei litigi infantili

Per i bambini il litigio rappresenta un evento fisiologico nell’ambito dei rapporti interpersonali. Minori e adulti, sovente, danno dei significati differenti alle dispute. Talvolta i genitori e gli insegnanti attribuiscono dei contenuti impropri alle controversie dei propri figli e alunni. Per i bambini il litigio è un fatto naturale, quasi un’attività ludica endemica alle dinamiche relazionali. Inoltre, i conflitti, secondo la Nigris (2002, pag.34), “risultano una condizione per lo sviluppo armonico del soggetto”.
I contrasti fra i piccoli, come Novara fa notare (2014, pag. 54), sono caratterizzati da due archetipi, ovvero la notevole frequenza temporale e il localizzarsi nell’ambito di processi amicali. La Garvey, citata in Novara (2014, op. cit., pag. 54), afferma che in una scuola dell’infanzia, per esempio, i bambini litigano con una media di 11- 12 alterchi all’ora. Queste dispute hanno una breve durata: infatti, nel giro di qualche minuto gli infanti ritornano a giocare insieme, come se nulla fosse accaduto.

L’autoregolamentazione dei bambini

I motivi alla base delle contese infantili sono molteplici. Solitamente i bambini litigano perché vogliono possedere una cosa che l’altro ha o perché desiderano giocare con gli stessi giocattoli o, ancora, perché aspirano a ricoprire lo stesso ruolo all’interno di un gioco di gruppo o la stessa funzione nell’ambito della vita quotidiana della classe o, semplicemente, perché hanno opinioni contrastanti sulle stesse tematiche (Carugati e Selleri, 1996, pag. 136 – 142; Berti e Bombi, 2005, pag. 309 – 310; Carugati e Selleri, 2005, pag. 207 – 212).
I piccoli solitamente, come Novara sostiene (2014, op. cit., pag. 56), hanno delle notevoli capacità di autoregolamentazione. Frequentemente i loro litigi non trascendono in episodi di violenza, come molti adulti temono, ma si risolvono in maniera naturale senza lasciare traccia di risentimento.

photolangage e supporto alla genitorialità 2© Michael Brown - Fotolia.com
L’utilizzo del Photolangage nel supporto alla genitorialità.

Esistono delle tecniche che consentono ai bambini di migliorare la naturale capacità di risoluzione dei conflitti. Alcune di esse non prevedono la partecipazione degli adulti di riferimento (genitori e insegnanti).
Novara (2014, op. cit., pag. 56), per esempio, propone una strategia di risoluzione di conflitti, che sfrutta le capacità maieutiche dei minori. Qualche volta, però, accade che i bambini trasmodano nei loro litigi perché hanno come punto di riferimento il giudizio degli adulti, ovvero è come se volessero conquistare l’approvazione di un adulto importante che hanno interiorizzato, per cui percepiscono la disputa nell’ambito della dinamica bontà-cattiveria. È un modo per attribuire all’altro l’inizio del litigio, e quindi il ruolo di “cattivo”, e a se stessi la funzione di vittima, ossia di personaggio buono.

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L’intervento inopportuno degli adulti

Novara (2014, op. cit., pag 57) sostiene che l’intervento dell’adulto nell’ambito dei litigi fra bambini è inopportuno, in quanto cerca di imporre una soluzione che spesso è distante da quella che i minori naturalmente trovano.
L’adulto, inoltre, interviene interrompendo il contrasto. Questo non consente ai piccoli di portare la disputa a termine con la finalità di trovare una mediazione, attraverso l’esercizio delle abilità comunicazionali.
In alcune circostanze sono gli stessi bambini che chiamano in causa l’adulto, con la funzione di arbitro, per stabilire chi ha ragione. L’adulto, in questo caso, non deve arrogarsi il compito di decidere chi ha ragione, ma semplicemente evidenziare quanto c’è di valido e congruente nelle ragioni dell’uno e dell’altro. Di frequente chi cede in un litigio è quello che emotivamente è più forte, ovvero riconosce che lo stare bene con l’altro è più importante, per esempio, del possesso di un oggetto.

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Efficacia del metodo maieutico di risoluzione dei conflitti

La ricerca svolta da Novara e Di Chio in alcune scuole dell’infanzia e primarie della provincia di Torino (2014, op. cit., pag. 54) ha reso evidente che il metodo maieutico di risoluzione dei conflitti, che abitua i bambini a risolvere da sé i propri litigi, fa decrescere la loro frequenza. Inoltre il permettere che i bambini gestiscano da soli i propri contrasti, li aiuta a sviluppare tre paradigmi:
quello di implementare il principio di realtà, cioè l’adattare i propri desideri e bisogni al contesto esterno;
quello del decentramento emotivo e cognitivo, per cui si agevola la consapevolezza che esistono le emozioni vissute dagli altri e punti di vista cognitivi differenti dal proprio;
quello del pensare in modo creativo – divergente. In altre parole, il bambino si abitua a pensare a soluzioni, frutto del pensiero creativo – divergente, che possono accontentare entrambi i contendenti.

Contesti scolastici, conflitti e mediazione

Naruto: il cartone che aiuta a pensare le emozioni difficili
Naruto: il cartone che aiuta a pensare le emozioni difficili

Nei contesti scolastici, l’insegnante è chiamato esplicitamente in causa per risolvere una disputa, divenuta violenta, fra due alunni. In questo caso il compito del docente è quello di aiutare gli allievi a reperire una forma di obiettività che consenta di dirimere pacificamente il conflitto. Nello specifico, il docente deve invitare i due membri ad esprimere le emozioni provate in quel momento e le ragioni alla base dei loro comportamenti. Successivamente deve sollecitare i due minori a mettersi uno nei panni dell’altro, con l’intento di esporre le emozioni provate dall’altro e le sue ragioni. In ultimo, attraverso una strategia di problem solving, è opportuno impegnare l’uno e l’altro in una ricerca volta a trovare più soluzioni al contrasto, con il proposito di escogitare quella giusta, ovvero quella che soddisfa ambedue, permettendo la riconciliazione (Carugati e Selleri, 2005, pag. 74 – 75).

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BIBLIOGRAFIA:

  • Berti, A.E. e Bombi, A.S. (2005). Corso di psicologia dello sviluppo. Bologna: Il Mulino.  ACQUISTA ONLINE
  • Carugati, F. e Selleri, P. (2005). Psicologia dell’educazione. Bologna: Il Mulino.  ACQUISTA ONLINE
  • Carugati, F. e Selleri, P. (1996). Psicologia sociale dell’educazione. Bologna: Il Mulino.  ACQUISTA ONLINE
  • Garvey, C. (1985). I discorsi dei bambini. Roma: Armando.
  • Nigris, E. (2002). I conflitti a scuola. Milano: Paravia – Bruno Mondadori.  ACQUISTA ONLINE
  • Novara, D. (2014), Litigare bene. Psicologia Contemporanea, n. 4, Luglio – Agosto 2014, pag. 54 – 59.
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Vincenzo Amendolagine
Vincenzo Amendolagine

Medico, psicoterapeuta psicopedagogista. Insegna come Professore a contratto presso la Facoltà/Scuola di Medicina dell’Università di Bari Aldo Moro.

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