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Stile Cognitivo Depressogeno: Aiutare le Madri per Proteggere i Figli

Lo stile cognitivo depressogeno: associazione tra stile cognitivo delle madri e dei figli - associazione tra depressione materna e depressione della prole.

Di Dario Catania

Pubblicato il 29 Mag. 2013

Aggiornato il 05 Giu. 2013 13:06

 

Di Dario Catania

 

Stile Cognitivo Depressogeno: aiutare le madri per proteggere i figli. -Immagine: © Konstantin Yuganov - Fotolia.com

Lo stile cognitivo depressogeno è un marker della depressione per cui l’associazione tra stile cognitivo delle madri e dei figli, riflette l’associazione tra depressione materna e depressione della prole.

Inoltre, lo stile cognitivo depressogeno materno è stato associato con il medesimo stile cognitivo nella prole, indipendentemente dalla presenza di depressione materna.

La depressione è una delle patologie psichiatriche più frequenti e una delle principali cause di disabilità al mondo. Nella XX edizione della Giornata Mondiale della Salute Mentale, organizzata il 10 ottobre dello scorso anno dalla World Federation for Mental Health, la Depressione è stata definita “una crisi globale”.

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I Disturbi Depressivi colpiscono infatti più di 350 milioni di persone, di tutte le età e in ogni comunità, rappresentando uno dei principali responsabili del carico globale di malattia; nonostante esistano trattamenti efficaci per questi disturbi, in alcuni paesi meno del 10% delle persone affette riceve cure adeguate. Nei Paesi sviluppati l’attuale crisi economica ha generato un aumento della disoccupazione, dei debiti, del senso di insicurezza; ciò ha provocato un aumento di incidenza di questi disturbi.

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La Depressione è oggi considerata  una patologia multifattoriale caratterizzata da una vulnerabilità che limita significativamente le capacità di padroneggiare stati problematici, spesso associati ad esperienze di vita avverse o stressanti.

Evitare il verificarsi di eventi avversi e situazioni stressanti che possono funzionare da eventi scatenanti è di fatto impossibile ed è per questo che la prevenzione primaria dei disturbi depressivi deve orientarsi in altra direzione; una  potrebbe essere  l’intervento sui processi cognitivi di attribuzione di significati ed interpretazioni negative ad eventi avversi e situazioni stressanti che possono presentarsi nella vita di ciascuno.

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Come è noto da tempo, la teoria cognitiva di Beck sulla depressione suggerisce che alla base dei disturbi depressivi vi sia la presenza di un sistema di credenze negative riferite a se stessi, al mondo e al futuro.

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Ulteriori osservazioni hanno evidenziato l’importanza di alcuni bias cognitivi come ad esempio un’attenzione selettiva per gli stimoli negativi, riscontrata spesso in soggetti con vulnerabilità ai disturbi dell’umore o depressi. Altri studi si sono soffermati sulle modalità con cui gli individui attribuiscono un significato agli eventi, tentando di definire un possibile stile attribuzionale nei pazienti con vulnerabilità alla depressione o con diagnosi conclamata del disturbo.

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I risultati concordano sul fatto che lo stile esplicativo degli eventi negativi utilizzato dai pazienti depressi è di tipo interno-stabile-globale, ossia caratterizzato dalla combinazione di alcune dimensioni in quelle che sono le tipiche credenze dei pazienti e riportate nelle seguenti proposizioni:

– “la causa dell’evento negativo dipende da me e non dagli altri o dall’ambiente” (interno);

– “anche gli altri eventi negativi che mi sono già capitati o i possibili eventi negativi futuri, dipendevano o dipenderanno certamente da me” (stabile);

– “questo mio modo di essere e di affrontare gli eventi, influenza tutti i principali aspetti della mia vita” (globale)

Questo stile attribuzionale disfunzionale è stato definito da diversi autori come stile cognitivo depressogeno. Diverse ricerche hanno dimostrato che soggetti con vulnerabilità alla depressione presentano uno stile cognitivo depressogeno preesistente, ossia uno stile attribuzionale interno-stabile-globale, che favorisce l’insorgenza della depressione e contribuisce al mantenimento dei sintomi. Lo stile cognitivo depressogeno, per tali ragioni, rappresenta uno dei principali obiettivi terapeutici della psicoterapia cognitivo-comportamentale della depressione.

Uno stile cognitivo depressogeno può essere determinato sia da fattori genetici e sia da fattori ambientali; le correlazioni tra questo stile attribuzionale disfunzionale e un particolare pattern genetico sono esigue, per cui si ritiene che sia soprattutto l’ambiente a poter influenzare lo strutturarsi di questo stile esplicativo.

In particolare uno stile cognitivo negativo o depressogeno può svilupparsi attraverso le spiegazioni di eventi fornite dai caregiver, particolarmente dalle madri. Diversi studi hanno suggerito che il feedback negativo e critico materno è associato alla comparsa di uno stile cognitivo depressogeno nella prole. Lo stile cognitivo materno potrebbe fornire un modello per il bambino da imitare: l’osservazione delle inferenze che le proprie madri fanno su se stesse e sugli eventi di vita, diventano per i bambini gli elementi su cui costruire il proprio stile attribuzionale.

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Esistono alcune obiezioni teoriche a quanto appena detto, poiché è possibile che una madre non esprima sempre in modo sufficientemente chiaro nei suoi comportamenti le credenze negative su di sé, anzi talvolta può tentare, con alcuni atteggiamenti, di dissimularle. In secondo luogo è possibile che il bambino utilizzi delle attribuzioni della madre per giungere a conclusioni diametralmente opposte; ad esempio se la madre fa una attribuzione esterna alle sue disgrazie, incolpando il figlio, il bambino può imparare sia ad essere critico con se stesso (attribuzione interna), sia ad esserlo con la madre (attribuzione esterna).

Bisogna inoltre riflettere sulla magnitudo dei dati: un’associazione statistica tra due fenomeni, in questo caso lo stile cognitivo depressogeno delle madri e quello dei rispettivi figli, permette di affermare che le 2 variabili possono, con una certa regolarità, corrispondere, anche se ciò non vale sempre. Esistono situazioni in cui lo stile cognitivo delle madri non influenza i bambini, probabilmente per l’intervento di fattori genetici, ambientali o di personalità non ancora sufficientemente studiati. A questo proposito e a sostegno di quanto detto, esistono studi che non sono riusciti a trovare alcuna correlazione.

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L’incongruenza di questi risultati è probabilmente dovuta al fatto che tali ricerche erano tutte di tipo cross-sectional, ossia in grado di fotografare la situazione attuale senza effettuare analisi longitudinali nel tempo, oppure effettuati su campioni numericamente molto esigui e limitati all’infanzia e alla prima adolescenza.

Infine non è chiaro se l’associazione tra stile cognitivo materno e della prole è indipendente dalla depressione materna, ossia se una madre senza depressione con uno stile cognitivo depressogeno può influenzare la comparsa dello stesso stile cognitivo nei figli.

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Nello studio condotto da Rebecca Pearson e collaboratori, pubblicato sullo scorso numero di Aprile dell’American Journal of Psychiatry, si è cercato di chiarire l’associazione tra stile cognitivo materno, misurato durante la gravidanza, e stile cognitivo della rispettiva prole, misurato 18 anni più tardi. La ricerca ha coinvolto una popolazione di oltre 4000 famiglie, già reclutate in uno studio longitudinale effettuato nel Regno Unito (ALSPACK), agli inizi degli anni 90.

Lo stile cognitivo della prole è stato valutato con la versione ridotta della CSQ (Cognitive Style Questionnaire) somministrato al diciottesimo anno di vita. Il CSQ nella versione ridotta presenta 8 ipotetiche situazioni di vita; ai partecipanti viene richiesto di immaginarsi in quella situazione e di pensare alle reazioni legate agli eventi e di attribuire un punteggio legato alle dimensioni precedentemente illustrate (punteggi più elevati correlano con uno stile cognitivo negativo). Lo stile cognitivo materno durante la gravidanza è stato valutato in diciottesima settimana di gestazione utilizzando alcuni item della Dysfunctional Attitudes Scale. Per valutare la presenza di un disturbo depressivo nelle madri e nei figli di 18 anni sono stati utilizzati rispettivamente la Edinburgh Postnatal Depression Scale, per le madri, e la Clinical Interview Schedule–Revised, per i figli.

L’analisi dei numerosi dati ottenuti ha mostrato che un aumento di una deviazione standard nel punteggio relativo allo stile cognitivo depressogeno materno durante la gravidanza era significativamente associato ad un incremento medio di 0,1 deviazioni standard nel punteggio relativo allo stile cognitivo depressogeno della prole, all’età di 18 anni; ciò dimostra un’associazione positiva tra stili cognitivi depressogeni delle madri e quelli dei rispettivi figli.

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Il risultato è rimasto invariato anche dopo aver corretto i dati rispetto alla presenza di depressione nelle madri e nei figli; l’associazione tra stile cognitivo delle madri e della rispettiva prole spiega il 21% dei casi in cui si riscontra un’associazione positiva tra depressione materna e depressione dei figli.

In altre parole lo stile cognitivo depressogeno è un marker della depressione per cui l’associazione tra stile cognitivo delle madri e dei figli, riflette l’associazione tra depressione materna e depressione della prole. Inoltre, lo stile cognitivo depressogeno materno è stato associato con il medesimo stile cognitivo nella prole, indipendentemente dalla presenza di depressione materna. Quest’ultimo risultato permette di ipotizzare che un intervento effettuato sullo stile cognitivo negativo di madri non depresse può rappresentare un potenziale obiettivo per la prevenzione di una possibile futura depressione dei figli in età adulta. 

Gli autori dell’articolo suggeriscono due possibili strategie che potrebbero impedire la trasmissione di stili cognitivi disfunzionali. Una prima, potrebbe essere quella di modificare lo stile cognitivo depressogeno delle madri con interventi di tipo psicoterapeutico; la terapia cognitiva è stata progettata per modificare gli stili cognitivi, e l’evidenza suggerisce che ha una duratura influenza positiva sullo stile cognitivo.

Altri interventi potrebbero essere indirizzati a prevenire la possibile trasmissione dello stile cognitivo negativo tra madre e figlio, modificando il tipo d’interazione tra i due. Per esempio interventi di video feedback possono aiutare a modulare comportamenti e atteggiamenti che esprimono tale stile cognitivo disfunzionale: una madre che si sente sempre criticata può percepire che — e agire come se — suo figlio fosse critico verso di lei; d’altro canto i bambini a cui vengono attribuiti pensieri negativi e critici possono arrivare a credere di essere persone negative o sbagliate. In questi casi, gli interventi potrebbero essere indirizzati verso il miglioramento della consapevolezza della madre dei processi mentali del bambino. Ad esempio, focalizzando l’attenzione di una madre dal monitoraggio dei propri stati mentali al monitoraggio degli stati mentali del bambino, si può favorire una sintonia e una interazione più appropriata alle esigenze del bambino. 

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Uno dei punti di forza dello studio è sicuramente la numerosità del campione e il follow-up a 18 anni eseguito sui figli; uno dei limiti, sicuramente il fatto che lo stile cognitivo nelle madri e nei figli è stato effettuato utilizzando strumenti diversi anche se sufficientemente validati. Lo studio certamente non risponde ad alcune domande che rimangono ancora aperte: lo stile cognitivo materno si mantiene stabile per tutta la vita del bambino? C’è un periodo nello sviluppo del bambino in cui il rischio di una trasmissione dello stile cognitivo negativo è più probabile? Una correlazione tra 2 variabili non è in grado di stabilire un rapporto di causa-effetto tra loro, pur dimostrando la tendenza del variare di una in funzione dell’altra; come già detto, questo significa che tra lo stile cognitivo negativo di madri e figli esiste un qualche legame diretto o indiretto, anche se non si può affermare che il primo determini il secondo. Perché alcuni bambini non vengono influenzati dallo stile attribuzionale delle loro madri? Quali sono i fattori di protezione che impediscono alla prole di apprendere questi stili cognitivi?

Lo studio della Pearson, come già detto, non risolve tutti i quesiti lasciando ampio spazio ad ulteriori interessanti ricerche, tuttavia i risultati suggeriscono un possibile percorso preventivo dei Disturbi dell’Umore, la cui efficacia, anche se ancora non dimostrata, sembra davvero promettente.

LEGGI:

 DEPRESSIONE – PSICOTERAPIA COGNITIVA –  DISTURBI DELL’UMORE – BAMBINI – BIAS – EURISTICHE – GRAVIDANZA & GENITORIALITA’

 

 

BIBLIOGRAFIA:

 

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Dario Catania
Dario Catania

Medico Psichiatra e Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale

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