È sicuramente vero che la fiction americana è di alta qualità. Però non mi pare che l’In Treatment italiano sfiguri. Non lo recensiremo ulteriormente date le minime differenze rispetto alle versioni di altri paesi. Però ne raccomandiamo la visione.
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Chi legge State of Mind sa che nelle ultime settimane ho recensito molte puntate della versione americana della serie “In treatment”, un telefilm israeliano con protagonista uno psicoterapeuta, i suoi pazienti e la sua supervisora.
Il primo aprile è andata in onda anche la versione italiana, con Sergio Castellitto nel ruolo del terapeuta. Anche noi di State of Mind abbiamo segnalato l’inizio della serie italiana, recensendo la prima puntata.
Avevamo intenzione di proseguire la recensione di altre puntate, ma la scelta dei produttori della serie israeliana, che è quella originale, che ogni versione esportata seguisse molto fedelmente la sceneggiatura israeliana originale renderebbe queste recensioni un’inutile doppione di ciò che abbiamo pubblicato finora sulla serie americana. Pertanto ci limitiamo a dare uno sguardo più ampio sull’intera serie.
Ho visionato in questi giorni le prime cinque puntate di In Treatment, trovandole ben fatte e godibili. Se andiamo a leggere le dichiarazioni dell’autore e produttore di tutta la serie, Hagai Levi, la versione italiana sarebbe addirittura la migliore (vedi http://www.movieplayer.it/serietv/articoli/in-treatment-versione-made-in-italy-secondo-sergio-castellitto_10642/).
La storia con Giovanni Mari, il terapeuta italiano, non si discosta dalle puntate americane con Paul Weston (e da quelle israeliane, di cui ho visto qualche segmento con sottotitoli su youtube).
Qualche inevitabile adattamento riguarda ad esempio il paziente del secondo giorno: il pilota militare americano che aveva bombardato una scuola piena di bambini è diventato un poliziotto anti-mafia infiltrato costretto a effettuare un omicidio per conservare la sua copertura di mafioso.
In questo modo il grande tema del secondo paziente, ovvero la negazione del senso di colpa in base alla necessità di eseguire gli ordini, è conservato in maniera credibile anche nel contesto italiano.
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Così anche per la giovane paziente del terzo giorno, la ragazza che ha tentato una sorta di suicidio in una condizione di dissociazione allo scopo di punirsi in uno stato inconsapevole, è una promessa del balletto classico e non più, come nella serie americana, una ginnasta con speranze olimpiche.
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Le differenze tra le serie diventano piuttosto sfumature nella recitazione, esulando quindi dalla mia competenza psicologica. Giovanni Mari è un terapeuta nettamente meno cupo del tormentato Paul Weston. Ha un’espressività più solare che traspare anche nella neutralità del terapeuta di impostazione dinamica. Come anche nella serie israeliana e americana, man mano che le puntate avanzano questo terapeuta avrà problemi di controllo del setting e della sua emotività. Emotività che però si rivela irruenta e passionale e non malmostosa come quella di Weston.
Nel caso della supervisora del quinto giorno, le posizioni si rovesciano. In questo caso l’americana Gina Toll, interpretata da Dianne West, è un’interessante e inquietante mistura di capacità di accogliere e colpevolizzare. Più severa e distanziante l’italiana Anna, interpretata da Licia Maglietta, la supervisora di Castellitto/Mari.
Anche il poliziotto italiano Dario appare più tenebroso del pilota americano Alex, un bel caso questo di narcisismo overt (mentre Dario è un covert).
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E così via. La mia impressione è che la serie italiana sia ben curata. Sicuramente ha potuto usufruire dell’ottima sceneggiatura israeliana (vincitrice di svariati premi) e di qualche accorgimento di regia americana: Giovanni Mari ha ereditato lo studio ingombro di modellini di barche da Paul Weston, mentre il terapeuta israeliano Reuven Dagan possiede uno studio spartanissimo e spoglio.
È sicuramente vero che la fiction americana è di alta qualità. Però non mi pare che l’In Treatment italiano sfiguri. Non lo recensiremo ulteriormente date le minime differenze rispetto alle versioni di altri paesi. Però ne raccomandiamo la visione.
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