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Le Basi Psicologiche dell’Etica #2: Obiezioni all’esperimento di Haidt

Le Basi Psicologiche dell’Etica: persone cresciute nell' infanzia nello stesso ambiente familiare sono sessualmente desensibilizzate l’una verso l’altra.

Di Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 04 Apr. 2013

Aggiornato il 13 Apr. 2016 15:40

Le Basi Psicologiche dell’Etica #2 Obiezioni all’esperimento di Haidt.

LEGGI LA PRIMA PARTE DELL’ARTICOLO

 

Le Basi Psicologiche dell’Etica #2- Obiezioni a un esperimento. -Immagine: © carlos castilla - Fotolia.comSecondo l’antropologo Westermarck (1921) persone cresciute nella prima infanzia nello stesso ambiente familiare, perfino se non consanguinee, sono sessualmente desensibilizzate l’una verso l’altra.

Si tratterebbe di un meccanismo evolutivo di stimolo della varietà genetica che si tramuta in uno spontaneo sentimento di indifferenza sessuale, se non di vera e propria repulsione, tra persone cresciute insieme per i primissimi anni di vita.

Riconsideriamo l’esperimento di Haidt esposto nell’articolo precedente. Una possibile obiezione è che in esso ci siano delle ingenuità di metodo. La chiave dell’esperimento è l’affermazione che il rapporto incestuoso sia privo di conseguenze psicologiche negative. Una volta accettato questo, il tabù dell’incesto diventerebbe accettabile, in termini puramente utilitaristici. Tuttavia, come si fa a dire che le conseguenze siano assenti? Che non ci siano state conseguenze sembra essere stato deciso dallo sperimentatore stesso, che ha assunto le vesti del narratore onnipotente e onnisciente.

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E già questo limita la validità dell’esperimento. Il tabù verrebbe a essere abolito solo in una situazione immaginaria manipolata da un autore onnipotente, che agisce con una certa rozzezza. Infatti, in base a quale semplicistica concezione psicologica non ci sarebbero state conseguenze? E’ sufficiente stabilire a priori che non ci siano conseguenze per etichettare l’incesto come un atto in sé innocuo e neutro e solo irrazionalmente terrifico? La razionalità del tabù dell’incesto risiede in un calcolo precauzionale, sia dal punto di vista dei rischi genetici che non. In questo calcolo vale ben poco avvertire che non ci sono state conseguenze in un caso singolo, quello di Mark e Julie (caso del resto immaginario).

In realtà è la scienza stessa che suggerisce che per l’incesto un danno psicologico è possibile. Si tratterebbe del cosiddetto “effetto Westermark”.

Secondo l’antropologo Westermarck (1921)  persone cresciute nella prima infanzia nello stesso ambiente familiare, perfino se non consanguinee, sono sessualmente desensibilizzate l’una verso l’altra. Si tratterebbe di un meccanismo evolutivo di stimolo della varietà genetica che si tramuta in uno spontaneo sentimento di indifferenza sessuale, se non di vera e propria repulsione, tra persone cresciute insieme per i primissimi anni di vita.

A ulteriore conferma, il fenomeno della desensibilizzazione sessuale è stato poi osservato anche in individui non consanguinei cresciuti insieme in kibbutz israeliani (Wolf, 1970; Shepher, 1983). Subire quindi un approccio sessuale da qualcuno con cui si è cresciuti sembrerebbe generare uno stato emotivo di disagio e di sofferenza.

Per questo può diventare irrilevante che nell’esperimento di Mark e Julie si sostenga che i due soggetti non abbiano provato disagio o sofferenza. Non dimentichiamo che Mark e Julie sono due personaggi immaginari. Invece chi legge la vignetta dell’esperimento di Haidt è una persona reale. Costui, dovendo esprimere la sua opinione, proverà sulla sua pelle le conseguenze emotive dell’effetto Westermark. Sarà anche assente un danno reale, ma le conseguenze emotive sono di disagio, sia pure sottile e razionalmente inspiegabile. Mi chiedo se tutto questo non sia il segno di un possibile limite della razionalità pragmatica, utilitaristica e cognitiva.

Ma anche lasciando da parte il rischio di danno genetico, occorre ragionare con più concretezza sulle implicazioni psicologiche dell’atto sessuale. L’atto sessuale è evidentemente un piacere, ma un piacere complesso e sofisticato, che va al di là della semplicità ginnica e ludica del coito.

L’amore fisico è una relazione tra due persone. In quanto tale, esso è gravido di attese, aspettative, speranze e desideri che vanno al dì la del piacere momentaneo.  Anche nel più occasionale degli incontri sessuali, queste aspettative si creano.

Certo, esse possono essere gestite e messe a tacere attraverso una dose non piccola di autocontrollo emotivo. Nel piacere sessuale occasionale i cedimenti affettivi possono essere bene accetti, ma vanno sapientemente dosati perché continuamente cozzano con l’occasionalità dell’evento. D’altro canto, è pur vero che un eccesso di freddezza sarebbe fuori luogo anche nel più sbrigativo ed episodico degli incontri amorosi, trasformandolo facilmente in un’esperienza da dimenticare. Si tratta quindi di rimanere in equilibrio su una fune.

Ma la necessità di mantenere questo precario equilibrio è incomprensibile da un punto di vista della razionalità utilitaria. Insomma, direbbe la ragione pratica, non stiamo forse esagerando? Si tratta di andare a letto insieme, di avere un po’ di piacere, di cibarsi l’uno dell’altro. Cosa sono tutte queste complicazioni, questo giocare sul filo del detto e del non detto?

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Insomma, la razionalità utilitaria vuole ridurre la fruizione del piacere dell’amore fisico alla semplicità e immediatezza edonistica del godimento alimentare. Ridurre l’amore e il sesso a piacere privo di ombre quotidiane dell’esistenza, al pari del mangiare o del bere, senza caricarlo di troppe aspettative. E in tal modo ridurlo a piacere calcolabile, quantificabile e, quindi, razionalizzabile.

Tuttavia proprio la vignetta di Haidt finisce per suggerire il contrario. Non so quanto volontariamente, ma Haidt dissemina la sua situazione immaginaria di troppe precauzioni che finiscono per suggerire che lui per primo crede poco alla semplicità delle gioie del sesso. Vediamo perché.

Apparentemente la vignetta descrive un episodio semplice e gioioso, sesso arcadico tra un efebo e una ninfa. Due giovani in una spiaggia estiva che si regalano reciprocamente un piacere. “Decidono che potrebbe essere interessante e divertente provare a  fare l’amore.“  Eppure, già in quel “almeno” della frase successiva le prime ombre si radunano sui due giovani. “Almeno” potrebbe significare un innocuo “nel caso non ci piaccia” o suggerisce qualcosa di peggio?

Ma poi le ombre si addensano. “Julie già prende la pillola per il controllo delle nascite, ma anche Mark usa un preservativo, giusto per essere sicuro”. Pillola e preservativo insieme? Quante precauzioni per un piacere che vorrebbe essere così semplice e privo di complicazioni! Ma come è giudizioso questo Mark. Chissà se invece con un’altra donna che prendesse la pillola sarebbe così desideroso di indossare anche il cappuccio. Il preservativo toglie piacere, ma si vede che ne vale la pena prendere più precauzioni. Decisamente, ci allontaniamo sempre più dalla semplicità. Un coito sulla spiaggia con la propria sorella non è semplice come condividere del pesce arrostito su quella stessa spiaggia con quella stessa sorella.

Proseguiamo. Apprendiamo che “A entrambi piace aver fatto l’amore, ma decidono di non farlo mai più “ Gli piace ma non lo faranno più? E perché mai? È stato divertente, perché proibirselo? Ci si proibisce forse il concedersi ancora altri piaceri? Anzi, è parte integrante di ogni umana gioia sapere che non è l’ultima volta, che si potrà ancora attingere a quel godimento. Ma stavolta no. Meglio non ripetersi, chissà perché. Forse lo stesso Haidt comincia a innervosirsi. È stato facile per noi ipocriti lettori sorridere con moderna coolness della agitazione di chi ha letto questa vignetta durante il fatale esperimento  e ha provato sacrosanto sconcerto o, peggio, impresentabile repulsione, e non è riuscito poi a giustificare razionalmente queste reazioni. Ma non dimentichiamo che anche chi ha elaborato la vignetta ha tradito una buona dose di disorientamento.

Ma andiamo avanti, che non è finita. “Considereranno quella notte come un segreto speciale che li renderà perfino più prossimi l’uno all’altro”. Un segreto speciale? Che li farà sentire ancora più vicini? Ma se si trattava di una gioia così semplice, perché trasformarla in un segreto? Non voglio negare che possa esistere il silenzio che protegge un’esperienza felice passata, e che cementa la condivisione. Il problema è però che è proprio difficile dire come possa svilupparsi, se si sviluppa, un simile ricordo comune.

Un fratello e una sorella si sono congiunti carnalmente, tra mille precauzioni. Poi, non ne parlano più per il resto della loro vita. E i loro rapporti continuano a essere sereni, privi di ombre. Almeno questo ci assicurano gli sperimentatori.

In verità, di queste due figurine ritagliate nella carta, Julie e Mark, non sappiamo nulla. Non abbiamo alcun dato che possa farci intuire cosa pensino e provino i due giovani, se non il quadro singolarmente elementare e zuccheroso che ci danno i ricercatori. La verità è che l’intero esperimento presuppone una scena troppo astratta.

 

 

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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