PSICOLOGIA A TEATRO
La Rubrica di State of Mind, a cura di Roberta De Martino
La Governante: diversa da chi?
In questi giorni al Teatro Mercadante di Napoli è in scena La Governante, un testo dello scrittore siciliano Vitaliano Brancati che, negli anni ’50, tanto scalpore aveva destato nell’affrontare lo scottante tema dell’omosessualità. Lo spettacolo, per la regia di Maurizio Scaparro, oggi nel 2013, invece, non entusiasma molto, lasciando il pubblico a bocca asciutta di emozioni e di nuove riflessioni.
La pièce, infatti, punta il dito contro il perbenismo ipocrita e sessuofobo, di matrice cattolica, dell’Italia degli anni ’50 del secolo scorso, ma lo fa con una stanca retorica e con uno scarso pathos che non permettono agli astanti di sentirsi mai appieno coinvolti nelle vicende rappresentate.
A rendere più ostico il tutto è, poi, la presenza di alcuni errori registici che spezzano la magia della finzione (ad esempio allorquando una domestica prepara la tavola con estrema rapidità mettendo ben in evidenza che qualcuno le sta passando gli oggetti da dietro alle quinte) unitamente all’inappropriato accento, “quasi russo”, della governante “francese” Caterina Leher, interpretata da Giovanna Di Rauso.
Nonostante la buona performance degli interpreti, in particolare Pippo Pattavina, nel ruolo di Leopoldo, Max Malatesta, nei panni di Alessandro Bonivaglia e Ramona Polizzi, in quelli di Francesca, lo spettacolo scivola via senza lasciare alcuna traccia né emotiva né cognitiva.
Il testo racconta le vicende della giovane Caterina Leher che, calvinista e integerrima, assunta in casa Platania (famiglia benestante siciliana trasferitasi nella Capitale) vive in colpevole segretezza la propria omosessualità: una “verità” scomoda per il suo tempo, un marchio infamante da scongiurare. Vittima di quest’ossessione sarà alla fine la domestica Jana che, già a servizio in casa Platania, sarà accusata da Caterina di praticare l’indicibile vizio. Licenziata e costretta a tornare al suo paese, Jana morirà sul treno che la porta al Sud, coinvolta in un incidente ferroviario.
Il testo “scandalo” di Brancati andò in scena per la prima volta a Parigi nel 1963 e, solo dopo l’abolizione della censura, nel 1965 in Italia, interpretato magistralmente da Anna Proclemer, moglie di Brancati, e Gianrico Tedeschi con la regia di Giuseppe Patroni Griff, alla sua prima regia.
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Ciò che forse nel testo è efficacemente messo in luce è proprio il discorso dell’auto-accettazione che sovente, a mio avviso, è il nucleo caldo dell’omosessualità. La Governante, infatti, proprio perché non accetta la sua scelta sessuale, finisce con il dare vita, nel tentativo di nascondere la sua vera natura, a una serie di vicende spiacevoli che comporteranno poi la morte della giovane e bella Jana.
Tale aspetto della vicenda spinge a riflettere su quale peso abbia, al di là delle primitive e inaccettabili intolleranze sociali, che vedono ahimè ancora gli omosessuali al centro di alcune notizie di cronaca, perché vittime di discriminazione e di violenza, la scarsa accettazione che lo stesso omosessuale ha di se stesso e che lo spinge a manifestare, sovente, continuamente la sua scelta, a dare a essa parola, ostentandola, rischiando, di contro, di etichettarsi da solo.
E così nasce il Gay Pride che probabilmente molto più avvincente e significativo sarebbe stato se lo si fosse chiamato Love Pride: una giornata da dedicare all’amore in tutte le sue forme e manifestazioni.
Marina Castaneda, nel testo “Comprendere l’omosessualità”, (Armando Editore 2006 pag 69) sapientemente spiega come “la maggior parte degli omosessuali transita attraverso un lutto dell’eterosessualità, anche se non ne sono affatto coscienti” e specifica che l’accettazione dell’omosessualità è raramente totale o definitiva”; essa potrà, probabilmente, esserlo quando i diritti dei cittadini omosessuali saranno uguali a quelli degli eterosessuali. E così di continuo, alle volte pure troppo, in questa lotta per l’accettazione di se stessi, impegnati nella propria elaborazione del lutto e nel tentativo di contrastare le diseguaglianze, si finisce con il sottolinearle, esaltarle, ghettizzandosi in locali gay, giornate dedicate all’omosessualità ecc.
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Se è innegabile come spiegato dalla Castaneda nel testo su citato (pag 11) che “ gli omosessuali sono ancora, quasi ovunque, una minoranza discriminata ed emarginata” e che quindi è necessario rappresentare in teatro storie che sollevino riflessioni su una tematica tanto importante, c’è anche un’altra questione che è degna di nota e che può forse spiegare la riuscita senza infamia e senza lode dello spettacolo di Scaparro.
La Castaneda afferma “l’eterosessuale è stato educato a essere tale, sin dalla più tenera infanzia è stato formato per un ruolo, e un posto nel mondo, nel mondo eterosessuale. Questo non accade per l’omosessuale, che molto spesso non prende coscienza del suo orientamento se non durante l’adolescenza o l’età adulta. Quindi non è cresciuto nel suo ruolo, non è stato educato a essere omosessuale. Gli mancano ogni genere di abilità e codici sociali di cui avrà bisogno nel mondo omosessuale di cui andrà a far parte. Quando scopre, infine, il suo orientamento sessuale, deve riapprendere tutte le regole dell’amore, dell’amicizia e della convivialità” (pag. 15).
Nel rileggere queste righe si potrebbe forse giungere a pensare che lo scarso coinvolgimento avvertito per “La Governante” sia anche figlio del periodo di forte precarietà che attualmente il nostro Paese sta vivendo. In un periodo in cui vige una profonda crisi del “tempo indeterminato”, sia per quanto riguarda gli affetti che per quanto concerne il lavoro, viene da chiedersi a quale identità possiamo oggi far riferimento che possa far sentire gli omosessuali “diversi” dagli altri, cosiddetti “normali”.
Rifacendomi alle parole della Castaneda, relativamente all’eterosessualità, mi verrebbe da chiedermi quale disillusione ha costituito per tutti, etero e non, essere educati e preparati a una società ben diversa da quella con cui ci confrontiamo al giorno d’oggi. Ed è forse questa precarietà identitaria che gioca male per testi come quello di Brancati che rischiano di essere percepiti come un po’ noiosi e obsoleti perché oggi, francamente, desta molto più scalpore l’assenza di un’identità che la scoperta di un diverso orientamento sessuale.
Certo è, però, che se un importante spazio meritano comunque le opere che spingono a riflettere sulle difficoltà che riscontrano gli omosessuali nell’accettarsi e nel sentirsi accettati, quanto più utile sarebbe anche affrontare con pensieri nuovi queste difficoltà che, se opportunamente descritte, ci si renderà conto che non sono molto diverse da quelle vissute da chi oggi è coinvolto in una ben più grave difficoltà identitaria nella sua totalità.
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