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Happy Family – Gabriele Salvatores (2010) – Recensione

Happy Family: Poesia Leggera vs. Ansia del Cambiamento. "Andiamo a fare un giro in città?" "e se piove?" "ci bagniamo".. Addio ansia, benvenuta felicità.

Di Gianluca Frazzoni

Pubblicato il 19 Mar. 2013

 

Happy Family

Un film di Gabriele Salvatores (2010)

RECENSIONE

 

Happy-Family - Gabriele Salvatores (2010) - Recensione
Locandina – Happy-Family – Gabriele Salvatores (2010)

Happy Family: Poesia Leggera vs. Ansia del Cambiamento.

Andiamo a fare un giro in città?” propone lei, “e se piove?” suggerisce la timidezza di lui, “ci bagniamo“, “però poi potrebbe venire caldo…“, “ci asciughiamo“. Addio ansia, benvenuta felicità.

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Una piacevole scoperta, questo film di Salvatores del 2010. Una commedia italiana semplice ma anche finemente sofisticata, che riunisce a cena una famiglia di personaggi creati da un autore in cerca di ispirazione. Salvatores gioca, come in “Nirvana”, con la commistione fra mezzi comunicativi diversi, figure narrative che escono da uno schermo facendosi reali, capaci di autodeterminarsi, e ne ricava una storia delicata, a tratti sussurrata, che non manca però di ricercare il cambiamento e coglierlo con forza.

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La cena è la presentazione ufficiale tra le famiglie di due sedicenni che hanno intenzione di sposarsi, e il confronto si sviluppa tra stili personali apparentemente in contrasto e ugualmente tormentati, atteggiamenti bizzarri e tentativi di comunicare unendo il sarcasmo e la prudenza, l’accelerazione e la conservazione espressiva.

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Il disagio dei commensali affiora a tratti e si incastra in ciò che diventa presto un intreccio di sguardi, significati spesso comici ma mai banali, intenzioni abbozzate e gesti che diventano più complici col passare dei minuti. Il cambiamento travolge la coppia di sedicenni, che si rompe nella serata più importante quando la ragazza esplode la propria insofferenza per i formalismi mortalmente noiosi del fidanzato, e crea un nuovo legame tra la sorella del ragazzo e un invitato giunto quasi per caso, dopo un piccolo incidente stradale con la padrona di casa; i due si incontrano in ascensore, si osservano, assaporano il reciproco desiderio di un sentimento spontaneo e poco alla volta consentono alle proprie anime di sfiorarsi dolcemente, di toccarsi senza perdere un solo attimo di quella magia.

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Il film è anche l’amicizia fra due uomini che conoscono dapprima la distanza che li separa – quasi inconciliabile si direbbe – nella storia personale, nelle soggettive inclinazioni, per poi sentire che qualcosa li accomuna a un livello estremamente profondo, la voglia di condividere uno spazio dove i rumori della vita ripetuta fino a quel momento vengano sospesi, allontanati da un’esperienza silenziosa e intima.

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Sarà il mare aperto a renderlo possibile. “Happy family” non racconta una famiglia felice, bensì tanti modi differenti di essere felici attraverso il cambiamento – non ultimo, quello che nella parte finale conduce il timido sedicenne ad esplorare una dimensione affettiva finalmente libera – e mostra allo spettatore un modo antico di fare cinema, attraverso citazioni di altri registi e della stessa filmografia di Salvatores, un viaggio musicale caldo e poetico affrescato da Simon e Garfunkel, un contatto intimo con gli oggetti particolari che tracciano la parabola privata di ogni persona.

“Happy family” è un film contro il rimuginio, nella leggerezza dei dialoghi e delle passioni, nella scena finale tra il protagonista-autore, sollevato per aver portato a termine il proprio racconto, e la vicina di casa sorprendentemente simile a uno dei suoi personaggi. “Andiamo a fare un giro in città?” propone lei, “e se piove?” suggerisce la timidezza di lui, “ci bagniamo“, “però poi potrebbe venire caldo…“, “ci asciughiamo“. Addio ansia, benvenuta felicità.

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