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Precario il Lavoro, Stabile l’Ansia – Il Ritratto Psicologico di una Generazione

Lavoro Precario: non solo condizione lavorativa priva delle sicurezze economiche e contrattuali, ma anche uno stato psicologico ed emotivo.

Di Gianluca Frazzoni

Pubblicato il 13 Apr. 2012

 

Precario il Lavoro, Stabile l'Ansia - Il Ritratto Psicologico di una Generazione. - Immagine: © nuvolanevicata - Fotolia.comNell’attuale dibattito politico e sociale si è inserito con forza il tema del precariato, inteso non solo come condizione lavorativa nella quale l’individuo viene privato delle sicurezze economiche e contrattuali, ma anche come stato psicologico ed emotivo che un numero crescente di persone è costretto ad affrontare in conseguenza di un lavoro incerto o assente.

La dimensione psicologica del precariato è stata però fino a questo momento sottovalutata da una parte consistente degli osservatori e dei legislatori, incapaci di comprendere gli effetti che si determinano quando un individuo non intravede un futuro per sé e per la propria famiglia. Le fonti a cui attingere per ricavare informazioni in merito sono molteplici; l’operato di un giornalismo onesto che ancora dipinge in modo obiettivo la realtà italiana ci consente di ascoltare e leggere quotidianamente le esperienze di coloro che oltre ad occuparsi della ricerca di un lavoro sempre più difficile da trovare, devono convivere con sentimenti depressivi e un’angoscia profonda che si legano al venir meno di un progetto esistenziale gratificante.

Amarezza cronica post-traumatica. Immagine: © 2011-2012 Costanza Prinetti -
Articolo consigliato: Amarezza cronica post-traumatica: una diagnosi per i precari.

La sindrome del precario è ormai una realtà, come conferma l’Eurodap (Associazione europea disturbi da attacchi di panico) che per bocca della sua presidente, Paola Vinciguerra, traccia il bilancio di un’indagine condotta nel 2010.

“Su 300 persone tra i 25 e i 55 anni, il 70% ha dichiarato di trovare proprio sul posto di lavoro la maggiore fonte di stress. Di questi, il 60% teme i colleghi mentre il 40% si dice completamente assoggettato al capo per paura di essere licenziato. L’aria che si respira in ogni luogo di lavoro è totalmente artefatta e altamente conflittuale. La paura di perdere il posto dà luogo a dinamiche fortemente competitive, con richieste di prestazioni dei dipendenti da parte dei datori di lavoro che difficilmente possono essere disattese dai lavoratori terrorizzati di perdere la loro fonte di sopravvivenza”.

Ne deriva un’elevata sospettosità, una rappresentazione del luogo di lavoro come ambiente nel quale combattere una duplice battaglia quotidiana: da un lato infatti i colleghi e i superiori vengono percepiti come figure ostili da cui difendersi, dall’altro si fa strada la convinzione di doversi mettere in mostra per apparire meritevoli di una chance lavorativa. Entrambi i vissuti generano un sentimento di costante agitazione, una crescente intolleranza all’incertezza e, non ultima, una rabbia profonda che nell’ambiente di lavoro viene repressa per poi riverberarsi nelle relazioni della sfera affettiva.

Scarica e leggi: LA REPUBBLICA DEL LAVORO, Vivere in Italia ai tempi del precariato.  Speciale 2011 de Il Contesto. 

Il Contesto, La Repubblica del Lavoro. Numero Speciale Luglio 2011. - Immagine: © 2011-2012 Il Contesto ONLUS
SCARICA IL NUMERO SPECIALE: La Repubblica del Lavoro. Su Gentile concessione de Il Contesto ONLUS

La nostra esperienza clinica ci pone inoltre a contatto con i danni che il paziente coinvolto nelle dinamiche del precariato subisce all’immagine di sé, compromessa dall’impossibilità di costruire una propria posizione autonoma nel mondo; prevale un senso di inutilità, una demotivazione alla lotta e un disimpegno che gradualmente depotenziano le risorse dell’individuo, la sua capacità di cercare nuove strade. E’ realistico pensare che non tutti i giovani siano ugualmente competenti e motivati nel cambiare il proprio futuro, tuttavia il dramma che si sta consumando riguarda persone appartenenti a fasce d’età molto diverse che vengono respinte dal mondo del lavoro e si confrontano ogni giorno con vissuti di disperazione, di inadeguatezza, tanto più dolorosi quanto più sono connessi ad un bilancio esistenziale che appare privo di prospettive evolutive.

Tale scenario si ritrova sia nelle categorie lavorative tradizionalmente svantaggiate sia nella realtà dei commercianti, dei piccoli imprenditori, di alcune libere professioni. Il precariato rende angusto lo spazio entro il quale un soggetto può dare organizzazione e significato allo sviluppo della propria esistenza, ostacola la possibilità di strutturare un tema di vita gestendo quote sopportabili di incertezza, amplifica il rimuginio ansioso sulle insidie dell’ambiente e accresce la diffidenza all’interno dei contesti relazionali, poiché la convinzione secondo cui la disponibilità di appoggi significativi, non fondati sulle capacità dimostrate permette l’accesso ad un riconoscimento sociale e professionale altrimenti irraggiungibile, viene spesso confermata dai fatti.

Questo genera una modalità depressiva di entrare in contatto con l’ambiente, uno stile di pensiero e di conoscenza che rifiuta l’esplorazione considerandola infruttuosa e illusoria. Il precario è perciò un individuo sfiduciato, che smarrisce la forza di cogliere eventuali opportunità di crescita e deve ristrutturare il proprio pattern di aspettative, bisogni, desideri collocandoli in una cornice strettamente quotidiana, elementare, nella quale coltivare un progetto esistenziale di largo respiro è esercizio quasi impraticabile. Come non bastasse, il precario è spesso costretto a svolgere lavori che nulla hanno a che vedere con il suo percorso di studi, con le sue aspirazioni; in questi casi, alle difficoltà economiche procurate da retribuzioni insufficienti si aggiunge la complessa gestione emotiva di una rappresentazione di sé che modifica i termini con cui il soggetto si percepisce.

Occorre reinventarsi, ripensarsi, prendere contatto con una narrazione di sé che si allontana pericolosamente dai pilastri fondamentali su cui era stata edificata; la paura di dover chiudere per sempre in un cassetto il ritratto di ciò che si voleva essere è un elemento centrale del precariato. Possa la politica ripartire dall’individuo, e l’individuo dalle sue aspirazioni più autentiche.

 

 

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