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La percezione sociale della violenza di genere e del femminicidio – Report dal convegno di Palermo

La violenza di genere ancora oggi è oggetto di troppi stereotipi. Nel convegno di Palermo del 21 maggio scorso si è discusso anche di norme giuridiche e rappresentazioni sociali del fenomeno.

Di Angela Ganci

Pubblicato il 29 Mag. 2018

Aggiornato il 06 Giu. 2018 10:04

La percezione sociale della violenza di genere e del femminicidio tra stereotipi, norme giuridiche e pubbliche rappresentazioni: questi i temi del convegno tenutosi a Palermo il 21 maggio 2018.

 

Violenza di genere, nelle forme più disparate che vanno dalla violenza coniugale fino allo sfruttamento sessuale e alla riduzione in schiavitù: situazioni critiche che richiedono aiuto professionale, riprovazione sociale, una rete assistenziale in grado di fornire supporto alle vittime, e un sistema dell’informazione depurato da linguaggi e immagini stereotipate e di per sé violente.

Violenza di genere: cos’è e le sue conseguenze sulle vittime

Questi i temi intorno a cui si è svolto, lo scorso 21 Maggio, un intenso evento formativo rivolto ai giornalisti, presso l’Ordine dei Giornalisti di Palermo, con la partecipazione di esponenti del mondo della Psicologia e della Giurisprudenza. Apre i lavori Maria Luisa Benincasa, Dirigente psicologo dell’ASP di Palermo:

Secondo la Convenzione di Istanbul del 2011 la violenza nei confronti delle donne si riferisce a ogni atto di discriminazione, compresa la minaccia dell’atto, basato sul genere e in grado di provocare danni psicologici, sessuali, fisici, economici alla donna; parlare di violenza significa riferirsi altresì a un evento lesivo dai confini incerti, come accade nello stupro coniugale, dove la violenza è giuridicamente praticamente indimostrabile, spesso con la donna stessa inconsapevole della portata aggressiva e abusante del gesto dell’aggressore

Parlare di violenza significa poi riferirsi a un fenomeno cruento, sia sul piano fisico che simbolico: infatti il gesto omicida non è solo finalizzato alla morte, ma anche alla distruzione e all’ umiliazione del corpo della donna, ad esempio con l’utilizzo dell’acido, simbolizzando uno sbilanciamento di potere tra i generi. Varie le conseguenze di un abuso sia sul piano fisico che psicologico, come aborti spontanei, ferite, gravidanze indesiderate, disturbi cronici delle pelvi, ansia, depressione, disturbi dell’immagine corporea, iperreattività. Conseguenze che durano nel tempo e che sono resistenti al tempo, verificandosi anche nella vecchiaia.

Violenza di genere: ancora troppi stereotipi nel 2018

Approfondendo il discorso sul versante della rappresentazione mediatica della violenza, il seminario ha quindi evidenziato la presenza di stereotipi veicolati dai mass media, in grado di incoraggiare e giustificare la violenza di genere e la cui conoscenza è necessaria per avviare una riflessione culturale ad ampio respiro sul ruolo della donna nella società e sul rispetto dei diritti umani.

Da una ricerca di Gius e Lalli sui giornali italiani del 2012 emerge una spiegazione del femminicidio basata su un frame pericolosamente idealizzato di amore romantico – spiega Alessandra Dino, Professore associato di Sociologia giuridica e della devianza presso l’Università degli Studi di Palermo – Ecco che per l’uomo sarebbe naturale perdere il controllo, per gelosia, per cui la violenza viene considerata un atto estremo con cui preservare un oggetto d’amore. In realtà la verità è che nella violenza non può esistere amore, poiché esso non include il concetto di possesso o di proprietà privata. A completare questo quadro dobbiamo aggiungere messaggi che indubbiamente inneggiano alla vittimizzazione della vittima “Se l’è cercata!”; Oltre che alla deresponsabilizzazione dell’aggressore: “L’amava così tanto da ucciderla!”. Dobbiamo però anche dire che negli ultimi anni si assiste a un cambiamento nei testi di articoli, dove il termine femminicidio è più adoperato e molto meno il termine raptus come giustificazione del gesto violento.

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La percezione sociale della volenza di genere - Report del convegno-foto

Imm. 1 – Immagine dal Convegno “La percezione sociale della violenza di genere e del femminicidio”

 

Sempre di stereotipi culturali si è occupata la relazione di Mirella Ogliastro, magistrato della Procura Generale presso la Corte d’appello di Palermo, insistendo anche sulla necessità di un lavoro di rete che supporti la donna, a partire dalla fase della denuncia:

Stereotipi deleteri per le donne, in qualche modo responsabili di violenze che spaziano da quella coniugale allo sfruttamento sessuale alla riduzione in schiavitù, consistono in frasi quali “Le donne serie non vengono violentate” oppure “Una donna non deve vestirsi in modo provocante”; stessa funzione di mancanza di tutela svolgono frasi di giustificazione del comportamento del violento quali “Era da tanto che non faceva sesso” oppure “Era ubriaco”. Stereotipi che, in qualche modo, legittimano una violenza sociale, lasciando la donna impaurita, indifesa, al limite, spingendola a non denunciare, per il timore della riprovazione familiare e sociale. Varie le cause della non denuncia tra cui la paura delle ritorsioni sui figli, la dipendenza economica, il vissuto stesso di meritare la violenza, la vergogna, il senso del dovere e la mancanza di sostegno sociale e familiare.

Una condizione allarmante che se, da un lato, beneficia degli interventi della Magistratura, attraverso le sentenze di difesa della vittima, necessita però di una presa di coscienza collettiva e di un lavoro diffuso di specializzazione del personale e di integrazione delle competenze.

Le specializzazioni in grado di supportare la donna sono variegate: avvocati, medici di pronto soccorso, medici di medicina generale, psicologi, giudici, il volontariato, gli operatori di Polizia, le famiglie, che, lavorando sinergicamente, costruiscono quella rete sociale che protegge la donna dall’isolamento. Perché una donna vittima di violenza deve trovare nel proprio cammino persone che l’ascoltino, e non operatori che dicano, allargando le braccia, frasi inascoltabili, umilianti, come “Si risolverà in famiglia”.

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Angela Ganci
Angela Ganci

Psicologia & Psicoterapeuta, Ricercatrice, Giornalista Pubblicista.

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