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Sully (2016), il decision making al cinema: il processo di scelta in condizioni di rischio

Euristica, intuizione esperta o fortuna? Nel miracolo sull’Hudson quali sono stati i fattori che hanno portato il comandante Sully a fare la scelta giusta?

Di Andrea Compiani

Pubblicato il 10 Mag. 2017

Aggiornato il 05 Set. 2019 12:54

Oche canadesi: tanto è bastato per lasciare in grossi guai il comandante Chesley Sullenberger, Sully, che si è ritrovato sui cieli di New York con un Airbus a motori spenti e 155 persone da riportare a terra. Il lieto fine del volo US Airways 1549 è ormai storia, a questo punto possiamo chiederci quali sono i processi che hanno portato il comandante a prendere la decisione giusta in così poco tempo.

 

Il film Sully, diretto da Clint Eastwood e uscito nelle sale a dicembre 2016, è un fedele resoconto dei fatti del 15 gennaio 2009 e della successiva indagine alla quale il comandante Chesley Sullenberger è stato sottoposto. La pellicola esplora anche il vissuto personale e il disagio di un uomo che si è visto messo a giudizio, pur sapendo di aver preso la miglior decisione possibile. Lasceremo tutti i dettagli della vicenda a chi vorrà vedere il film, perché la parte che vogliamo qui esplorare è il processo decisionale, cioè quali sono stati i fattori che possono aver portato il comandante a fare quella che poi si è rivelata la scelta giusta.

Alle 3.25 pm del 15 gennaio 2009 l’Airbus A320-214 decolla dall’aeroporto LaGuardia di New York, ma non arriveràà mai a destinazione. Infatti 2 minuti e 11 secondi dopo il decollo, a una quota di 2700 piedi (820 m), avviene l’imprevedibile: il velivolo impatta contro uno stormo di oche canadesi e non uno, ma entrambi i motori subiscono una improvvisa e totale perdita di potenza. Bisogna trovare un modo per tornare a terra, e non c’è molto tempo per decidere.

Quello che viene definito “birdstrike” in aviazione è un evento noto e previsto, e i motori degli aerei di linea sono in grado di sopportare “l’ingestione” di piccoli volatili senza subire danni significativi. Ma le oche canadesi sono animali che arrivano a pesare anche cinque chili l’uno, e il caso ha voluto che non uno, ma entrambi i motori dell’aereo fossero coinvolti nell’impatto.

Oche canadesi: tanto è bastato per lasciare in grossi guai il comandante Chesley Sullenberger, Sully, che si è ritrovato sui cieli di New York con un Airbus a motori spenti e 155 persone da riportare a terra.

Il lieto fine del volo US Airways 1549 è ormai storia: l’aereo è ammarato sul fiume Hudson, e tutti i 155 occupanti dell’aereo sono stati tratti in salvo. L’impresa è stata definita “il miracolo sull’Hudson”,  e il comandante Sully è diventato un eroe nazionale.

Tuttavia la vicenda non si conclude con il salvataggio dei passeggeri e dei membri dell’equipaggio, poiché subito dopo l’accaduto il National Transportation Safety Board (NTSB) avvia delle indagini per verificare se per il comandante sarebbe stato possibile rientrare in aeroporto invece che tentare il rischiosissimo ammaraggio nell’Hudson.

Inizialmente le simulazioni sembrano dare ragione al NTSB: il rientro al LaGuardia sarebbe stato possibile; ma per tutta la durata dell’indagine il comandante sosterrà con fermezza la bontà della sua decisione.

Se questi sono gli eventi, dobbiamo ancora esaminare la scelta che ne ha determinato il corso.

Per capire in quali condizioni ha agito il comandante Sully, il primo dato da prendere in considerazione è il tempo: la sua è stata una decisione presa nell’arco dei pochi secondi in cui si è svolto lo scambio di battute tra lui e la torre di controllo.

Diamo uno sguardo ai dati. Alle 3:27:36 il comandante comunica alla torre di controllo la perdita di potenza, e comincia la manovra per tornare al LaGuardia. Il controllore di volo blocca tutte le partenze, e dice a Sullenberger che può virare a sud est e atterrare sulla pista 13, ma già a questo punto il comandante risponde di non esserne più in grado. Alle 3.31, cioè meno di quattro minuti dopo la comunicazione dell’avvenuto birdstrike, il comandante Sully sta ammarando con successo nelle acque dell’Hudson.

A questo punto possiamo chiederci quali sono i processi che hanno portato il comandante a prendere la decisione giusta in così poco tempo.

Kahneman, Nobel 2002 per l’economia, nel suo libro “Pensieri lenti e veloci” (2012) parla di “intuizione esperta”, e riporta l’esempio del vigile del fuoco esperto che riesce a “intuire” che lo stabile dove si trovano lui e la sua squadra sta per crollare, evacuandolo per tempo e salvando in tal modo la propria vita e quella dei colleghi.

Per quanto possa sembrare quasi soprannaturale, Kahneman spiega che nell’intuizione del caposquadra dei vigili del fuoco non c’è nulla di magico, ma c’è la capacità di osservare e valutare formatasi in anni di esperienza sul campo.

Tuttavia, perché l’intuizione esperta possa ritenersi affidabile, deve essersi formata in un ambiente sufficientemente regolare e prevedibile (regolato da leggi fisse, con poca casualità), e in tale ambiente il soggetto deve avere avuto l’opportunità di fare molta pratica.

Senza dubbio, nelle intuizioni esperte dei piloti di aerei le due condizioni sono rispettate. Da una parte, la fisica del volo risponde a leggi fisse e quindi offre un ambiente prevedibile e regolare; dall’altra, il comandante Sullenberger aveva fatto estensiva pratica di tale ambiente regolare, in quanto al momento del decollo aveva 19.663 ore di volo all’attivo, delle quali 4.765 sullo stesso modello di aereo che stava pilotando quel 15 gennaio.

Quindi l’intuizione esperta può avere avuto un ruolo. Ma in che modo può aver lavorato l’intuizione esperta?

Qualcuno potrebbe pensare a una valutazione rischi-benefici delle opzioni che il comandante aveva a disposizione. Una volta preso atto che i motori avevano cessato di erogare potenza e che non c’era modo di riattivarli, le possibilità erano tre: rientrare all’aeroporto LaGuardia; andare verso il New Jersey all’aeroporto Teterboro oppure tentare l’ammaraggio nel fiume Hudson.

Se consideriamo il problema dal punto di vista delle possibili conseguenze, vediamo che le prime due opzioni hanno lo stesso valore e si contrappongono alla terza. Infatti, un avvenuto rientro a uno dei due aeroporti avrebbe significato atterrare in condizioni che garantivano le maggiori possibilità di sopravvivenza per gli occupanti del velivolo. Ma optare per uno dei due aeroporti avrebbe anche significato esporsi a rischio di completo disastro, in caso di errore di valutazione: infatti, non riuscire a raggiungere la pista avrebbe significato schiantarsi sugli edifici attorno all’aeroporto, moltiplicando così il numero delle potenziali vittime dell’incidente.

L’ammaraggio sull’Hudson era un’opzione i cui possibili esiti erano meno estremi: in caso di disastro completo, non ci sarebbero state vittime ulteriori oltre agli occupanti dell’aereo; ma anche in caso di un ammaraggio riuscito, le statistiche sulla percentuale di sopravvissuti degli ammaraggi (53% – planecrashinfo) non lasciavano spazio a previsioni molto ottimistiche sul numero delle possibili vittime.

Kahneman (2012) nel suo “schema a quattro celle” mostra come gli esseri umani tendono a esporsi a grossi rischi pur di avere la possibilità di evitare una perdita ingente; un po’ come il giocatore di azzardo che continua ad indebitarsi raddoppiando la posta, sperando di recuperare il proprio debito con una mano fortunata.

Trovandosi in un contesto di sole perdite, per Sully l’atterraggio in aeroporto sarebbe equivalso alla mano fortunata del giocatore d’azzardo: tutti salvi. Ma sappiamo che la scelta è stata un’altra, e che quindi l’intuizione esperta ha lavorato contro l’umana tendenza a correre grossi rischi, quando si tratta di scegliere tra due mali. Oppure no?

Gerd Gigerenzer (2015) nel suo libro “Risk Savvy” parla di scelte in contesti di rischio, e sostiene la grande utilità delle euristiche, cioè regole pratiche che nascono dall’esperienza. L’autore mostra come in contesti anche complessi, come quelli degli investimenti finanziari, euristiche molto semplici possono ottenere risultati migliori di modelli matematici complessi e di difficile applicazione.

Tra i casi che Gigerenzer cita c’è proprio quello del volo 1549. Ma questo significa che allora i piloti hanno usato un’euristica, per decidere se tentare l’ammaraggio o andare verso uno dei due aeroporti? Pare di sì, e il copilota Jeffrey Skiles intervistato in una trasmissione televisiva (The Charlie Rose Show, 11 febbraio 2009) ha spiegato quale.

La regola dice: “Guarda verso la torre di controllo: se la vedi dal finestrino, non ce la farai”. Questo significa che, nel momento in cui si rimane senza più propulsione, gli elementi del paesaggio che si vedono dal finestrino della cabina di pilotaggio sono quelli che non si riusciranno a raggiungere. Infatti, dal momento in cui i motori smettono di erogare potenza, l’aereo comincia la sua inevitabile discesa e il muso punterà verso il basso, e solo in quel momento i luoghi dove più verosimilmente avverrà l’atterraggio appariranno nella visuale dei piloti.

Forse grazie un’euristica, forse grazie all’intuizione esperta, e forse grazie anche alla fortuna; in ogni caso ciò che avvenne in quel 15 gennaio 2009 è stato giustamente ribattezzato “miracolo sull’Hudson”, poiché a quanto pare Chesley Sullenberger per portare in salvo le 155 persone che stavano sull’aereo (compreso lui stesso) ha domato non solo le leggi della fisica del volo, ma anche quelle delle scelte in condizioni di rischio.

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