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Neuroscienze comportamentali e società: oltre il Neodarwinismo – XI Edizione dell’ICBS, Congresso Internazionale delle Scienze del Comportamento

Neuroscienze comportamentali e società: l’intervento del Prof. Santo di Nuovo all'XI edizione del Congresso sulle Scienze del Comportamento (ICBS)

Di Valentina Davi

Pubblicato il 14 Nov. 2014

Non si può più sostenere la vecchia dicotomia “influenze ambientali vs ciò che è geneticamente determinato”, ma è necessario andare oltre: è riduttivo fermarsi all’idea che l’ambiente impatti sul corredo genetico concretizzando le condizioni di rischio (vulnerabilità o suscettibilità) congentite, bisogna invece riconoscere che l’ambiente agisce anche determinando modifiche nell’espressività dei geni nel corso della vita.

Oggigiorno il primato della genetica sembrerebbe indiscutibile: ogni due per tre i giornali pubblicano articoli che titolano a caratteri cubitali SCOPERTO IL GENE… e proliferano studi sui geni coinvolti nell’autismo, nell’invecchiamento, nelle differenze di genere (per una discussione vedi Di Nuovo, 2014), nell’amicizia (Fowler et Al., 2011), nel divorzio (Walum et. Al, 2012), e chi più ne ha più ne metta.

La rilevanza della genetica viene ben sintetizzata dal pensiero di Jean-Pierre Changeaux (1998): “L’importanza di fattori genetici nell’organizzazione anatomica del sistema nervoso, nella genesi e propagazione dell’attività nervosa e infine nella realizzazione di comportamenti così evoluti come l’apprendimento o gli stati affettivi. L’onnipotenza dei geni è qui.” 

Ma riconoscere il potere dei geni – sostiene il prof. Di Nuovo – non significa sottomettere qualsiasi cosa alla loro autorità! Possiamo sostenere che il cervello e la sua organizzazione siano la mera espressione di un programma genetico? No! E questo ce lo dimostra l’epigenetica, che studia i geni alla luce delle loro modificazioni espressive nell’ambiente e non come se fossero un’entità immutabile.

Il background genetico di una persona, infatti, è sì una struttura stabile, ma il funzionamento dei geni, la loro espressione, può cambiare sulla base di stimoli esterni: per esempio, sappiamo che non tutti i geni sono espressi, alcuni sono silenti; sappiamo che ci sono geni che non sono sempre espressi; sappiamo che alcuni geni non sono espressi contemporaneamente ad altri… e stimoli esterni sono in grado di realizzare quello che viene definitivo imprinting genomico, che include fenomeni quali l’attivazione o silenziamento di un gene, l’instabilità cromosomica e il rimodellamento cromosomico.

L’interazione dei meccanismi epigenetici con l’esposizione a fattori ambientali (es. agenti biologici o chimici, alimentazione, stressors, ambiente arricchente o negativo…) determina delle epi-mutazioni, cioè delle variazioni nel funzionamento dei geni la cui struttura, però, rimane immutata.

Quanto sopra descritto ha una forte relazione con il concetto di plasticità neuronale: mentre i geni guidano l’iniziale processo di sviluppo del cervello e la formazione di connessioni neurali, l’esperienza dell’individuo e la sua interazione con un ambiente più o meno ricco di stimoli portano ad una modifica degli stadi finali dello sviluppo dei circuiti cerebrali ed infine allo sviluppo di diverse forme di comportamento.

Alla luce di ciò la relazione tra geni → meccanismi neurobiologici e neurochimici → comportamento (normale e patologico) non può essere più letta in maniera lineare top – down, con interventi che hanno come target privilegiato solo i meccanismi neurobiologici e neurochimici (farmaci); poiché comportamento (inteso nel senso ampio del termine, che comprende gli aspetti emotivi, cognitivi e verbali) e meccanismi neurobiologici interagiscono tra loro e si influenzano a vicenda, anche gli interventi sul comportamento acquistano un ruolo importantissimo. I possibili campi di applicazioni di interventi psicologici sono svariati, dallo sviluppo infantile alle malattie neurodegenerative, dall’indebolimento cognitivo nella vecchiaia all’esordio delle malattie oncologiche ai disturbi cognitivi e comportamentali…

Non si può più sostenere la vecchia dicotomia “influenze ambientali vs ciò che è geneticamente determinato”, ma è necessario andare oltre: è riduttivo fermarsi all’idea che l’ambiente impatti sul corredo genetico concretizzando le condizioni di rischio (vulnerabilità o suscettibilità) congentite, bisogna invece riconoscere che l’ambiente agisce anche determinando modifiche nell’espressività dei geni nel corso della vita.

La portata di un superamento del paradigma neodarwiniano a favore di una prospettiva che riconosca il ruolo attivo giocato dall’ambiente nella modifica dell’espressività genetica è evidente: la possibilità di creare ambienti in grado di offrire stimoli arricchenti sia per il corpo che per la mente rappresenta una opportunità che deve essere colta sia in ambito psicologico che sociale come forma di intervento di certo non secondaria agli interventi farmacologici.

 

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Coordinatrice di redazione di State of Mind

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