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La Psicologia del Femminicidio

Al di là delle considerazioni sociali e politiche, c'è bisogno di un'attenta Analisi Psicologica del Femminicidio, della Violenza di Genere.

Di Sandra Sassaroli, Giulia Saltini Semerari

Pubblicato il 10 Mag. 2012

Aggiornato il 12 Feb. 2013 16:55

 
La Psicologia del Femminicidio. - Immagine: Unos Cuantos Piquetitos 1935 - Frida Kahlo. Collection of Dolores Olmedo Patiño Mexico City, Mexico
Unos Cuantos Piquetitos 1935 - Frida Kahlo.

Dall’articolo di Barbara Spinelli: “Nel 2006 in Europa 3413 persone sono morte in conseguenza della violenza domestica subita:, di questi, 1409 erano donne uccise dai partner o ex partner violenti (femminicidio), 1010 erano le donne che avevano scelto il suicidio a seguito della violenza domestica subita, 272 le donne che avevano ucciso i mariti violenti, 186 gli omicidi collaterali (padre che uccide i figli e la moglie, oppure persone accorse in soccorso e uccise per errore), 536 gli uomini che dopo aver ucciso la donna su cui avevano esercitato violenza si erano uccisi. 

Se nel 2006 su 181 omicidi di donne 101 erano femmicidi, nel 2010 su 151 omicidi di donne 127 erano femmicidi. In italia il 70% delle vittime di femminicidio era già nota per avere contattato le forze dell’ordine, ovvero per aver denunciato, o per aver esposto la propria situazione ai servizi sociali. Un dato che ci accomuna agli altri Paesi europei: le ricerche criminologiche dimostrano che su 10 femmicidi, sette sono in media preceduti da altre forme di violenza nelle relazioni di intimità.

Cioè l’uccisione della donna non è che l’atto ultimo di un continuum di violenza di carattere economico, psicologico o fisico.”

 

Violenza sulle donne e dinamiche di vittimizzazione - Immagine: © olly - Fotolia.com
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Questi dati richiedono un’attenta riflessione. La loro interpretazione e discussione può partire da una prospettiva sociale e politica, oppure da una prospettiva psicologica. In ultimo, bisogna che queste riflessioni ci aiutino a costruire strategie efficaci per la lotta a questo genere di violenza (alla violenza di genere).

  1. Prospettiva sociale e politica

La riflessione sulla violenza di genere e il femminicidio da una prospettiva sociale e politica è di gran lunga la più diffusa, in questo momento, attraverso media ufficiali, blog e social network. È una prospettiva di analisi valida e ci aiuta a mettere a fuoco una serie di problemi:

In generale, la causa sociale della violenza viene attribuita alla tendenza maschile a non considerare le donne come individui indipendenti e con il diritto di autodeterminarsi, ma come cosa propria. L’aumento di casi di violenza e femminicidio viene spesso associato al fatto che in questo momento stiamo vivendo una fase di mutamento dell’identità femminile, che va verso l’emancipazione e la libertà, e viene quindi vissuta dagli uomini come una minaccia alla propria virilità o al proprio diritto al dominio sessista.

Su questo si è speso molto inchiostro e la battaglia da fare è tutta sociale e riguarda da una parte il proseguimento di questo processo di emancipazione (sia attraverso un potenziamento della legislatura delle pari opportunità, sia attraverso un coinvolgimento della società civile), e dall’altra attraverso la rappresentazione e narrazione di questa nuova identità femminile emancipata attraverso i media, i giornali, le pubblicità. Al momento, lo scollamento tra una rappresentazione della donna in larga parte patriarcale e antiquata e il ruolo attivo e importante che un numero sempre maggiore di donne ricopre nella vita reale non solo aiuta a creare ideologicamente terreno fertile per la violenza, ma rende anche la narrazione stessa della violenza nei media primitiva, stereotipata e sessista.

Otto Marzo della Forza e della Prudenza. - Immagine: © olly - Fotolia.com
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Da un punto di vista politico, questa inadeguatezza della società a stare al passo con l’emancipazione femminile si riflette nella risposta delle istituzioni spesso tardiva o inadeguata alle denunce di violenza da parte delle vittime. Spesso vi è stata violenza per molto tempo in molte situazioni che si concludono con morte della donna (Schulman 1979, Johnson, 1995).

Questo problema determina, insieme a molti altri, la percentuale relativamente piccola di donne che denunciano violenza. Tuttavia anche fattori di tipo psicologico influiscono su questo. La denuncia a volte è difficile da fare perché vi è il concreto rischio di un aumento di maltrattamenti in condizioni di terrore, e chi è terrorizzato fa fatica a parlare. Lo stato dovrebbe dunque dedicare molto più tempo e molte più risorse nella costruzione di aree per l’ascolto delle donne, per l’indagine e per la protezione. In questo contesto i centri antiviolenza sono estremamente importanti, e dovrebbero essere messi in condizione di funzionare bene su tutto il territorio italiano.

Da un punto di vista legislativo, l’introduzione del concetto di femminicidio come aggravante, di cui si sta discutendo in questi giorni, sarebbe un passo avanti importante. Vedi ad esempio: 


  1. Prospettiva psicologica

Psicopatia - Immagine: © Gina Sanders - Fotolia.com -
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Mentre la prospettiva sociale e politica è largamente dibattuta, ci sembra che manchi, per ottenere una comprensione migliore del fenomeno e per contrastarlo più efficacemente, una discussione psicologica delle cause della violenza di genere (Straus e Gelles 1992; Dutton 1994). Potrebbe essere che la giusta critica alla rappresentazione di femminicidi come ‘momenti di follia’ o ‘folle gelosia’ o ‘omicidi passionali’ abbia contribuito a rendere riluttanti a occuparsi di questo aspetto molti autori altrimenti attenti al tema. A nostro avviso, invece, un’attenta analisi psicologica (al contrario di una superficiale narrazione maschilista o una lettura esclusivamente politica) lungi dal giustificare gli atti di violenza o in qualche modo ‘discolpare’ i colpevoli, può essere di grande aiuto per dare il giusto peso ai segnali di allarme e quindi, nei limiti del possibile, prevenire gli atti di violenza e, sul lungo termine, elaborare strategie vincenti per ridurre e combattere tali atti. Siamo convinte che le due spiegazioni (sociale/politica e psicologica) siano compatibili, e che anzi sia importante lavorare su entrambi questi aspetti per vincere la lotta alla violenza.

Ogni volta che un uomo è violento, questa violenza nasce da un sentimento di helplessness, di fragilità, considerata inaccettabile, alla quale egli cerca di resistere picchiando. La violenza è per molti nostri pazienti il tentativo di controllare la depressione, derivata da sentimenti di umiliazione inaccettabili. Spesso queste persone sono cresciute in ambienti violenti, essendo umiliate o maltrattate dalle figure di riferimento.

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Gli studi sul trasferimento transgenerazionale della violenza datano quasi tutti tra la fine degli anni 80 e la metà degli anni novanta. È dunque ormai conoscenza comune e asseverata che se un bambino o una bambina assistono a violenza sistematica da parte di un genitore verso l’altro genitore o verso un fratello o se essi stessi subiscono violenza, è più facile che poi utilizzino la violenza quando si trovano in condizioni di stress (Straus, 1998) . A fronte di una tendenza delle donne e degli uomini a essere egualmente conflittuali, la percentuale di crimini da violenza è tutta a favore dei maschi (90%) rispetto alle donne. Anche se bisogna tenere a mente che questi, naturalmente, costituiscono solo una piccola percentuale degli uomini. Infatti, l’80% dei maschi non sono violenti, il 12% è violento ogni tanto e l’8% è violento sempre. E sono questi i due gruppi che ci interessano per la nostra analisi.

Qui bisogna parlare di disturbi di personalità, che hanno un’incidenza importante negli assalti (80-90% a fronte di un 15% nella popolazione normale). Edwards et al (2003) hanno dimostrato che vi è una percentuale più alta di disturbi antisociali e borderline nella popolazione degli assaltatori, dei violenti verso le donne. E qui parliamo di una violenza intra-familiare, impulsiva e legata a disturbi di personalità.

Ma non è l’unico tipo di violenza. La violenza contro le donne può essere di diverso tipo: 

  • Impulsiva preterintenzionale (ho intenzione di fare del male ma non di uccidere, mi arrabbio, do un pugno, la ragazza cade, batte la testa e muore)
  • Impulsiva e basta (ho intenzione solo in quel momento di uccidere, mi fa arrabbiare, perdo il lume della ragione e la strozzo, lei muore). 
  • Strategica, Paranoidea (ho un piano di assassinio preparato da giorni: aspetto la mia ex donna che mi ha lasciato dietro un cespuglio, lei arriva e io l’ammazzo). 
  • Di gruppo (con un gruppo di maschi dopo avere bevuto molte birre, ci prendiamo una ragazza e la violentiamo insieme, poi la buttiamo giù dalla macchina e lei muore). 
  • Da fallimento della grandiosità narcisista (come si permette una come lei che avevo raccolto per strada di sfidarmi o lasciarmi, questa umiliazione, questa perdita della faccia è per me insopportabile e la uccido). 
  • Antisociale / Amorale (Mi ha stufato, non mi serve più, ho un’altra più giovane e più bella, la uccido e così sono libero).
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La violenza dei disturbi di personalità nasce nelle famiglie. La violenza intra-familiare, la violenza di genitori a loro volta maltrattati e che divengono maltrattanti è all’origine di gran parte dei comportamenti violenti dei nostri pazienti. Va combattuta come un grave problema psichiatrico con risvolti sociali importanti. Citiamo da Otto Kernberg:

“Bambini maltrattati sviluppano maggiore dipendenza dai genitori abusanti e tendono a riprodurre i rapporti di maltrattamento nell’ età adulta”.

Se tratto male mio figlio, gli insegno che di fronte a problemi complessi, a minacce di abbandono e difficoltà, si sentirà impotente e maltratterà, spesso le donne. Se tratto male mia moglie, la umilio, la picchio di fronte ai miei figli, rischio di costruire persone che a loro volta tratteranno male e maltratteranno le loro compagne. E questo, data la diversa potenza muscolare tra maschi e femmine nella razza umana mette le donne a maggior rischio di essere maltrattate e uccise. La violenza familiare va dunque individuata e fermata fin dall’infanzia. Bambini violenti diventano uomini violenti, madri che accettano che il figlio assista alle botte che prende dal marito, lo mettono in contatto con la violenza come qualcosa di accettabile, donne che lasciano che il terrore le blocchi nella difesa dei figli, passano il bastone della violenza alla generazione successiva.

Da un punto di vista psicologico è però anche importante guardare alle donne, che se in alcuni casi riescono a uscire da relazioni violente e a denunciarle, in molti altri non fuggono da uomini violenti, non si proteggono, non leggono segnali preliminari che c’erano stati e spesso estremamente chiari. Donne che accettano la compagnia di uomini violenti sviluppano nei loro confronti spesso relazioni di dipendenza.. E la dipendenza femminile da uomini violenti ha anche origine in famiglie nelle quali la violenza e la prepotenza maschile è accettata o tollerata. Le ragazze che hanno padri violenti rischiano di divenire vittime di uomini violenti (Norwood).

È importante che le donne imparino a riconoscere le situazioni rischiose. Anche il più piccolo segnale di violenza, (un urlo improvviso, un gesto spazientito che fa saltare il telefono dal tavolo, due domande di troppo del tipo gelosia pericolosa) deve essere preso in considerazione ed interpretato come messaggio prezioso per considerare quella storia una storia non buona, che potenzialmente ci mette a rischio, e che quindi andrebbe chiusa. Un uomo violento non cambia con l’amore di una donna, non è curabile altro che con la conquista della consapevolezza del suo problema e il doloroso passaggio attraverso una buona psicoterapia. Le donne devono imparare ad essere prudenti e difendersi dai primi segnali dalla violenza maschile (Camille Paglia), e a non esporsi a chiarimenti o incontri di discussione in situazioni di conflitto e violenza.

Nessun amore maledetto vale la vita, nessun legame familiare ci costringe all’autodistruzione.

 

 

BIBLIOGRAFIA: 

  • Spinelli, B. (2008). Femminicidio. Dalla denuncia sociale al riconoscimento giuridico internazionale. Roma: Franco Angeli.
  • Paglia C. (1990). Sexual personae: arte e decadenza da Nefertiti a Emily Dickinson, I ed., traduzione di Daniele Morante, Einaudi, 1993, pp. 924.
  • Norwood, R. (1990) Donne che amano troppo. Feltrinelli
  • Johnson.M.P., (1995) Patriarchal Terrorism and Common Couple Violence: Two Forms of Violence against Women. Journal of Marriage and the Family, 57, pp. 283-294
  • Straus M.A (1998). The controversy over domestic violence by women: a methodological theoretical and sociology of science analysis. Family Science Laboratory. University of New Hampshire, Durham,
  • Loseke, D.R., Gelles, R.G., Cavenaugh, M.: (2005) Current Controversies on family violence. Sage publications.Inc. Usa
  • Schulman, M.A., Survey of spousal violence against women in Kentucky. National Institute of Justice (no 792701, 1979). https://www.ncjrs.gov/pdffiles1/Digitization/65429NCJRS.pdf
  • Kernberg O.F. Aggressivity, (2004) Narcissism and self destructiveness in the psychotherapeutic relationship: new developments in the psychopathology and psychotherapy of severe personality disorders. Yale University Press. New Haven, Usa.
  • Edwards, D. W.; Scott, C. L.; Yarvis, R. M.; Paizis, C. L.; Panizzon, M. S. (2003) Impulsiveness, Impulsive Aggression, Personality Disorder, and Spousal Violence. Springer Publishing company
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Sandra Sassaroli
Sandra Sassaroli

Presidente Gruppo Studi Cognitivi, Direttore del Dipartimento di Psicologia e Professore Onorario presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna

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