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Dormi che ti passa! Le proprietà terapeutiche della fase REM

Un gruppo di ricercatori di Berkeley, ha confermato i benefici della fase REM nel rimuovere gli aspetti più vivi delle esperienze emotive.

Di Ilaria Cosimetti

Pubblicato il 02 Mar. 2012

Aggiornato il 18 Mar. 2013 16:13

 

Dormi che ti passa! Le proprietà terapeutiche della fase REM - Immagine: © Valua Vitaly - Fotolia.com Numerose ricerche ci dicono che dormire non ha l’unica funzione di ritemprare le membra ma anche la mente, aiutando i nostri processi di apprendimento, la memoria e la regolazione emotiva.

Un gruppo di ricercatori di Berkeley, University of California, ha confermato i benefici della fase REM nel rimuovere gli aspetti più vivi delle esperienze emotive. Il periodo del sonno dedicato ai sogni funzionerebbe, grazie alla caratteristiche neurochimiche che lo contraddistinguono, come una terapia notturna che aiuta il cervello ad elaborare le esperienze emotive e le alleggerisce dal carico doloroso che alcune memorie portano con sè.

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Precedenti studi hanno già evidenziato come i pattern tipici del sonno siano danneggiati in pazienti con disturbi dell’umore o nel disturbo post traumatico da stress (PTSD). In quest’ultimo caso, quando la persona che ha subito un trauma incappa in uno stimolo che produce un flashback dell’evento traumatico, l’esperienza emotiva ad esso associata viene rivissuta in tutta la sua originale intensità proprio perchè, a quanto pare, il cattivo sonno non ha permesso di attenuare l’emotività legata alle tracce mnestiche.

Durante la fase REM le memorie si riattivano, vengono messe in prospettiva, connesse e integrate tra loro, ma solo in uno stato in cui la neurochimica dello stress viene beneficamente soppressa” (Walker, M.P.), in assenza cioè di disturbi dell’umore o di disturbi post traumatici.

Il protocollo di ricerca ha previsto un campione di 35 giovani adulti in salute. Tutti hanno visionato per due volte, a distanza di 12 ore, 150 immagini dal forte contenuto emotivo. Nel frattempo uno scanner per la risonanza magnetica registrava la loro attività cerebrale. Metà dei soggetti ha preso visione delle immagini in mattinata e poi in serata, mentre l’altra metà ha affrontato la seconda parte dell’esperimento dopo un’intera notte di sonno. Questi ultimi hanno riportato una significativa riduzione nella loro reazione emotiva alle immagini, confermata dai risultati della fMRI che evidenziano una sostanziale riduzione dell’attività dell’amigdala, una parte del cervello coinvolta in prima linea nel processamento delle emozioni.

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L’elettroencefalogramma dei dormienti ha inoltre confermato una ridotta attività elettrica durante la fase REM: “riprocessando le esperienze emotive precedenti in questo sicuro ambiente neurochimico, caratterizzato da bassi livelli di norefineprina – una sostanza chimica positivamente correlata allo stress ci svegliamo l’indomani e quelle esperienze risultano affievolite nella loro forza emotiva. Ci sentiamo meglio riguardo ad esse, sentiamo di poterle affrontare.” (Walker, M.P.).

Ecco allora che nel trattamento del PTSD risolvere i disturbi del sonno diventa un obiettivo centrale. I pazienti che dormono male non possono godere dei benefici di attenuazione dell’intensità emotiva legata all’evento traumatico, il che innesca un pericoloso circolo vizioso che aggrava ancor più i sintomi e impedisce di riprendere una sana condotta del sonno.

 

 

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