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Fairburn Christopher

Fairburn (1950) è psichiatra, ricercatore e professore emerito di psichiatria all’Università di Oxford. È noto per il suo contributo sullo sviluppo, sulla valutazione e sul trattamento dei disturbi alimentari. Con la CBT-E fonda un protocollo cognitivo-comportamentale efficace per i disturbi alimentari.

Christopher Fairburn

 Christopher Fairburn nasce il 20 settembre 1950 in Gran Bretagna. Si laurea in medicina all’Università di Oxford e poi in psichiatria all’Università di Edimburgo, iniziando la carriera da ricercatore clinico nel primo ateneo. Nel 1981 fonda il CREDO, il Centro per la Ricerca sui Disturbi Alimentari e, fino agli anni 2000, lavora con i suoi collaboratori per sviluppare una terapia cognitivo-comportamentale efficace nel trattamento dei disturbi alimentari. Attualmente è professore emerito di psichiatria all’Università di Oxford e, negli anni, ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti: un OBE (Ordine dell’Impero Britannico) nel 2021 e il Distinguished Scientific Award dall’APA nel 2022, qualificandosi come terzo psichiatra al mondo a ricevere tale riconoscimento.

CBT-NB: primo protocollo CBT per la bulimia

All’inizio degli anni Ottanta, Fairburn pubblica “A Cognitive Behavioural Approach to the Treatment of Bulimia” (1981), distanziandosi dalla recente descrizione di Russel (1979) che definì la bulimia come “una variante infausta dell’anoressia nervosa”, priva di qualsiasi specificità. Con la nuova concettualizzazione, Fairburn per la prima volta identificò la psicopatologia specifica e centrale della bulimia (cioè l’eccessiva valutazione della forma del corpo, del peso e del loro controllo) e i meccanismi di mantenimento da essa derivati (cioè la restrizione dietetica cognitiva, gli episodi bulimici e i comportamenti di compenso). Così facendo, si allontanò da una visione della bulimia come patologia intrattabile e iniziò a pensare che non bastasse più normalizzare alcuni aspetti del disturbo, come il peso o l’eliminazione degli episodi di abbuffata, per intervenire efficacemente; occorreva invece lavorare sul nucleo psicopatologico centrale del disturbo.

Di lì a poco questa teoria si tramutò in pratica: la Terapia Cognitivo Comportamentale per la Bulimia Nervosa (CBT-NB, 1981) è una terapia che aveva proprio lo scopo di intervenire sui processi disfunzionali di mantenimento del disturbo. Le evidenze a supporto di tale terapia derivarono da più di 20 studi controllati e randomizzati, i quali conclusero che i predittori di risposta al trattamento sono la frequenza degli episodi bulimici e dei comportamenti di compenso eliminativi e che i miglioramenti sintomatologici sono mantenibili nel lungo termine (Carrozza e Dalle Grave, 2018). Questi lavori fecero del dettagliato protocollo di cura di Fairburn un approccio sempre più diffuso nei contesti pubblici e privati dei paesi occidentali, fino a essere indicato dalle linee guida NICE (2004) come il trattamento di prima scelta per gli adulti affetti da Bulimia Nervosa.

Nonostante la CBT-NB avesse goduto di riconoscimento, negli anni rivelò due criticità principali: solo il 40-50% delle pazienti trattate raggiungeva una piena e duratura remissione e, essendo stata ideata solo per le pazienti adulte affette da Bulimia Nervosa, i suoi benefici potevano essere goduti da meno del 30% della popolazione affetta da Disturbi dell’Alimentazione (Carrozza e Dalle Grave, 2018).

CBT-E: una terapia d’elezione per tutti i disturbi alimentari

Per ovviare ai problemi della CBT-NB, nei primi anni 2000 nasce la Terapia Cognitivo Comportamentale Migliorata (CBT-E, 2008), ossia una terapia progettata per essere più efficace rispetto alla precedente e più flessibile nel trattare la psicopatologia specifica del disturbo dell’alimentazione, piuttosto che le singole categorie diagnostiche (Di Pauli, 2019). In questa cornice transdiagnostica, la CBT-E ad oggi è l’unico trattamento raccomandato dalle linee guida NICE per il trattamento di tutti i disturbi dell’alimentazione (National Guideline Alliance, 2017).

 Dal punto di vista teorico (Fairburn et al., 2003), come postulato originariamente per la Bulimia Nervosa, la teoria assume che l’eccessiva valutazione del peso, della forma del corpo e del controllo dell’alimentazione sia il nucleo psicopatologico centrale dei disturbi alimentari: mentre le persone si valutano rispetto alle loro prestazioni in un ampia gamma di ambiti di vita, quelle affette da disturbi alimentari centralizzano la valutazione di sé su quanto riescono o meno a controllare il peso, il corpo e l’alimentazione. Dall’eccessiva valutazione di questi aspetti deriverebbero i meccanismi di mantenimento del disturbo alimentare, come i comportamenti di controllo del peso estremi (come dieta ferrea, esercizio fisico compulsivo, vomito autoindotto, uso improprio di lassativi o diuretici), il raggiungimento/mantenimento del sottopeso e la sindrome da malnutrizione. L’eventuale presenza di episodi bulimici può essere la conseguenza del restringere in modo ferreo l’alimentazione o del modulare eventi o emozioni. A livello fenomenico, le manifestazioni cliniche dei disturbi dell’alimentazione sono, a loro volta, fattori di mantenimento specifici dello schema disfunzionale di sé e del disturbo. In un sottogruppo di pazienti possono essere riscontrati anche dei fattori di mantenimento aggiuntivi che, interagendo con quelli specifici, ostacolano il cambiamento:

  • Perfezionismo clinico;
  • Bassa autostima;
  • Difficoltà interpersonali;
  • Intolleranza alle emozioni.

A livello pratico, il protocollo si pone l’obiettivo di offrire un trattamento individualizzato dove il paziente è partecipante attivo del suo percorso di cura. La strategia principale è la definizione personalizzata dei meccanismi di mantenimento del disturbo che, in modo strategico, vengono affrontati con tecniche cognitive e comportamentali volte ad ottenere un cambiamento nei termini di un rapporto più sereno e libero con il cibo e la propria immagine corporea.

Dal punto di vista procedurale, dopo una prima visita di valutazione psicodiagnostica, il protocollo, a seconda della gravità del disturbo, prevede un percorso di 20/40 sedute da 50 minuti da svolgersi in 20/40 settimane. Nella prima fase si raggiunge una comprensione condivisa del disturbo e si aiuta il paziente a regolarizzare le sue abitudini alimentari; nella seconda fase si monitorano i progressi raggiunti nelle settimane precedenti; nella terza fase si affrontano le preoccupazioni centrali legate al cibo, al peso e al corpo, la restrizione dietetica cognitiva e calorica e gli eventi e le emozioni che influenzano l’alimentazione; nella quarta ed ultima fase si implementano procedure volte a minimizzare il rischio di ricadute.

Inizialmente, la CBT-E è stata sviluppata come trattamento ambulatoriale per i pazienti adulti affetti da disturbi dell’alimentazione ma poi, con il contributo del dr. Riccardo Dalle Grave, in Italia e all’estero sono state sviluppate delle versioni  per la terapia ambulatoriale intensiva, per il ricovero e per gli adolescenti.

Christopher Fairburn: il fondatore della CBT-E per i disturbi alimentari
I contributi di Fairburn alla formulazione della CBT-E, unico trattamento raccomandato dalle linee guida NICE per tutti i disturbi dell’alimentazione
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