Oltre il testo: come le emoji danno voce alle emozioni online
PSICOLOGIA DIGITALE – (Nr. 78) Psicologia delle emoji: come influenzano la comunicazione e la qualità delle relazioni
Le emoji, nate come piccoli segni accessori nelle prime chat, sono oggi parte integrante del nostro modo di interagire online, sono una vera e propria grammatica della comunicazione digitale, un linguaggio condiviso che compensa ciò che manca nelle chat, come espressioni, gesti o intonazioni.
Basta pensare alla differenza tra:
Il primo può sembrare freddo o scocciato, il secondo trasmette disponibilità e calore. Le emoji funzionano così, come segnali paralinguistici che chiariscono il tono, riducono le ambiguità e rendono più ricco di sfumature uno scambio testuale. Non sono semplici decorazioni: possono smussare un messaggio duro, creare sintonia, far percepire attenzione e cura, e persino rivelare aspetti della personalità di chi scrive, come intelligenza emotiva o stile di attaccamento. La loro efficacia, però, dipende dal contesto: per esempio in una conversazione tra amici un’emoji può rafforzare il legame, mentre in un’email formale può sembrare fuori luogo. Per questo, le emoji non possono essere lette come un dettaglio di contorno ma come strumenti relazionali: regolano la distanza interpersonale, mantengono la sintonia e comunicano intenzioni sociali che il testo da solo faticherebbe a trasmettere. In definitiva, intervengono attivamente nel modo in cui costruiamo e interpretiamo i rapporti online.
Le emoji come grammatica della comunicazione digitale
Parlare di emoji come “grammatica della comunicazione digitale” significa riconoscerne la funzione strutturale come elementi che danno forma al senso dei messaggi. Un’emoji può persino modificarne la valenza: un sorriso accanto a una critica ne attenua il tono e segnala la volontà di mantenere l’armonia. In questo modo non sostituisce il contenuto, ma ne orienta l’interpretazione, rendendo ad esempio una richiesta meno rigida e più collaborativa, consentendo a una frase di suonare più amichevole di quanto sarebbe senza emoji (Caspi & Raz, 2025), come:
Il loro effetto dipende anche dalla reciprocità. Per esempio, in una conversazione tra colleghi, l’uso condiviso rafforza la percezione di calore e giocosità, in linea con i meccanismi di accomodamento comunicativo per cui ci adattiamo allo stile dell’altro al fine di creare sintonia. L’effetto, però, non è universale: in contesti ad alto conflitto, la positività indotta dalle emoji tende a svanire e la valutazione dell’interlocutore resta segnata dalla tensione. Questo dimostra che le emoji non sono una scorciatoia per risolvere i contrasti, ma strumenti efficaci soprattutto in ambienti collaborativi o a bassa conflittualità (Cavalheiro et al., 2024). Infatti, l’interpretazione delle emoji è situata, cioè dipende dal contesto in cui vengono usate. Nelle interazioni informali e tra legami stretti rafforzano la connessione, mentre in ambienti formali o gerarchici possono risultare inadeguate o ridurre la percezione di competenza (Cavalheiro et al., 2024). Lo stesso simbolo che in una chat tra amici trasmette vicinanza e apertura, in una mail professionale può apparire poco appropriato. Ciò mette in evidenza l’importanza di leggere il “frame comunicativo”: non è l’emoji in sé a produrre l’effetto, ma la combinazione di chi lo invia, a chi e in quale situazione.
Come una emojii diventa relazione
Un altro punto chiave è il legame tra emoji e attenzione percepita, cioè il sentirsi ascoltati, compresi e valorizzati, uno dei predittori più forti della soddisfazione relazionale. Un messaggio che contiene emoji viene interpretato come più attento e partecipe: quell’aggiunta minima diventa un segnale di cura che rafforza il senso di vicinanza con chi scrive. Le emoji agiscono come un “microfeedback visivo” che comunica: “Ti sto ascoltando, sono presente” (Huh, 2025). La dinamica emerge con particolare evidenza nelle relazioni di amicizia o di coppia, dove un cuore o una faccina sorridente possono supplire all’assenza di sguardi, sorrisi o intonazioni e restituire calore a messaggi che altrimenti risulterebbero freddi.
Huh (2025) distingue inoltre tra emoji che raffigurano espressioni del volto ed emoji che rappresentano oggetti o simboli. Le prime, proprio perché richiamano tratti umani, aumentano l’intimità e la sensazione di presenza sociale; le seconde servono soprattutto a condividere riferimenti contestuali o culturali. In entrambi i casi la funzione resta la stessa: ridurre la distanza percepita e sottolineare l’investimento emotivo.
Questa capacità di rendere più vicini non scompare neppure quando emoji e testo non coincidono. I messaggi incongruenti, infatti, richiedono più tempo per essere compresi e risultano meno chiari di quelli lineari; eppure gli utenti accettano questa ambiguità se serve a proteggere la relazione. È il caso, ad esempio, di un “Non mi hai risposto…” seguito da una faccina sorridente: il contenuto resta critico, ma l’emoji ne attenua l’impatto e segnala la volontà di non rompere l’armonia. In questi scambi si sacrifica un po’ di chiarezza ma si guadagna sul piano relazionale (Caspi & Raz, 2025; Huh, 2025).
Chi usa le emoji e come: tra intelligenza emotiva, attaccamento e genere
Le emoji non sono soltanto strumenti che influenzano le relazioni: il loro uso riflette caratteristiche personali e dinamiche affettive. Dubé e colleghi (2024) hanno mostrato, ad esempio, che le persone con alta intelligenza emotiva tendono a impiegarle con maggiore frequenza, soprattutto nelle conversazioni con gli amici, per arricchire l’espressività e segnalare attenzione. All’opposto, chi presenta uno stile di attaccamento evitante ricorre meno alle emoji, in particolare nelle interazioni con i partner romantici, rivelando così una certa difficoltà a esprimere vicinanza emotiva.
Le differenze emergono anche rispetto al genere e al tipo di legame:
- le donne tendono a usare più spesso emoji e con sfumature prevalentemente positive, mentre gli uomini le impiegano con minore frequenza ma con un repertorio più vario;
- nelle comunicazioni con amici e familiari prevalgono le emoji espressive e affettive, come:
- nei rapporti professionali, con colleghi o superiori, vengono preferiti simboli più neutri o contestuali, ad esempio:
Queste differenze mostrano che le emoji hanno una doppia natura: da un lato convenzioni culturali che facilitano la comprensione, dall’altro scelte personali che riflettono bisogni e tratti psicologici. Il loro impiego non è mai del tutto casuale: dietro un simbolo apparentemente banale può esserci una precisa intenzione o l’espressione di uno stile di attaccamento.
Insomma, le emoji non sono solo segni della comunicazione digitale ma componenti delle modalità con cui costruiamo e manteniamo i nostri legami.