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It follows: quando l’horror parla alle angosce giovanili – Recensione

Nell’opera di Robert Mitchel il contatto con la paura diventa un espediente per esplorare la vulnerabilità umana nei confronti della morte

Di Angelo Valente

Pubblicato il 08 Apr. 2024

“It follows” di Robert Mitchell

L’opera di Robert Mitchell (2014) è la proiezione di un universo immaginifico capace di giocare sottilmente con le percezioni dello spettatore, offrendo differenti interpretazioni collegate tra loro attraverso un linguaggio indiretto e raccapricciante, dove il contatto con la paura diventa un espediente ricostruttivo per esplorare la vulnerabilità umana nei confronti della morte.

La trauma di “It follows”

Se di primo acchito questo film non vi convince, sappiate che una seconda visione è stata ampiamente consigliata da molteplici testate di critica cinematografica sul web, anche se possiamo tranquillamente soprassedere sugli ammiccamenti euristici. La storia in questione porta il titolo di “It follows”, fautore di una vicenda orrorifica che lascia ampio spazio a svariate interpretazioni riflessive sulla condizione esistenziale delle nuove generazioni occidentali attraverso scene conturbanti e ricche di connotazioni oniriche. 

La storia è ambientata in un’anonima cittadina americana che vede come protagonista la giovane Jay, una ragazza di diciannove anni in procinto di varcare le prime soglie del mondo dei grandi. Fra le tante tappe tipiche del periodo, un ruolo imprescindibile è ricoperto dai primi approcci alla sessualità, ma che per la protagonista equivarranno a una vera e propria maledizione. Di fatto, al termine del suo primo rapporto viene tempestivamente avvisata dal suo partner di essersi appena instradata in un guaio da cui si ritroverà a scappare per tenere salva la vita: la “Cosa”, un essere anonimo dalle mutevoli sembianze umane, la seguirà finché non si sarà completamente avvicinata a lei fino al punto di ucciderla. L’unico modo per liberarsene consiste nel consumare un altro rapporto sessuale con una persona diversa dal suo precedente trasmettitore, presa visione di due condizioni imprescindibili: in primis, dopo un ulteriore rapporto continuerà a vedere la presenza, nonostante non sarà più inseguita da quest’ultima. La totale scomparsa verrà sancita solo dal momento in cui anche il suo ricevitore riuscirà a trasmetterla a qualcun altro. Tuttavia, la Cosa tornerà a palesarsi ogniqualvolta i successivi ricevitori ne rimarranno assassinati. 

La sola trama, nella sua semplice e neutra descrizione, può portare già di suo all’involontaria immedesimazione con lo stato di ansia soffocante dei personaggi principali, sia nel breve che nel lungo termine, all’interno di un contesto spoglio e desolato che non trova appigli al di fuori delle loro inquietudini, circoscritto da prassi cupe ed abitudinarie che spaventano senza proferire nulla, in cui la presenza marginale dei veri adulti si dissolve in un’atmosfera senza tempo, quasi come sintomo di troppe certezze che tardano ad arrivare. Di suo, l’opera di Robert Mitchell lascia margine a tante interpretazioni, che in un modo o nell’altro trovano terreno fertile nel supporto verso la rappresentazione delle criticità che incombono durante il periodo adolescenziale, talmente tanto vivide che durante il film appaiono sotto forma di figure persecutorie paranormali. 

Qui prende subdolamente piede l’ipotesi della necessità di instaurazione di un nuovo rapporto intrapersonale, in cui la presa di responsabilità diventa l’elemento cruciale per la propria sopravvivenza senza alcuna via di fuga, in quanto unica strada in grado di fornire un contatto allegorico con la morte, il solo paradigma contraddittorio capace a sua volta di stabilire un contatto nudo e crudo con le nostre spinte vitali. Tale impulso sembra pertanto tradotto nelle ritrazioni di un linguaggio a tratti inesprimibile, contrassegnato da emozioni grezze che prendono forma nei connotati di un contesto sociale che non lascia promesse, delegando ai protagonisti il peso di una crisi psicosociale per cui si trovano impreparati, a partire dalla pressione che la società esercita verso gli standard prestazionali tra i giovani e verso i giovani, includendo tra l’altro la necessità di paragonarsi attraverso l’esercizio distrattivo del sesso per sfuggire da questi presentimenti soffocanti. L’assetto narrativo lancia dunque tanti spunti suggestivi, che nel loro intreccio si lasciano cogliere senza troppe difficoltà, anziché soffermarsi su un sottotesto univoco, come in aggiunta potrebbe essere, ad esempio, la paura delle malattie sessualmente trasmissibili, la mancanza di figure genitoriali di riferimento, il passaggio nel mondo dei grandi, la carenza di sicurezze dal futuro o il peso delle conseguenze a lungo termine delle proprie azioni sul piano reputazionale. 

Per concludere mi sento di offrire una citazione di Pavese, nel suo celebre poema “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”, il quale recita: “O cara speranza, quel giorno sapremo anche noi che sei la vita e sei il nulla. Per tutti la morte ha uno sguardo”, pochi versi che descrivono esaustivamente il contrasto di affinità e avversione legato alla sfera carnale di Jay, che senza realizzarlo sentenzia inesorabilmente la fine dell’età della purezza infantile. Perché crescere, ad oggi, vuol dire scontrarsi con delle realtà a cui nessuno ci ha mai preparato a vivere per davvero. 

Il trailer di “It follows”

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