Intelligenza artificiale e pensiero critico
PSICOLOGIA DIGITALE – (Nr. 73) Intelligenza artificiale e pensiero critico: come sta cambiando il nostro modo di pensare
L’intelligenza artificiale è sempre più parte della nostra quotidianità: ci suggerisce cosa guardare sulle piattaforme di streaming, ci aiuta a scrivere email o testi, ci supporta nella pianificazione del lavoro, ci consiglia cosa leggere o acquistare, a volte persino cosa rispondere in una conversazione. Non si tratta più di scenari futuristici: gli algoritmi che un tempo sembravano riservati a contesti specialistici ora intervengono silenziosamente in ogni momento della nostra giornata, ottimizzando processi e decisioni in nome della comodità. Questi strumenti sono progettati per semplificare la vita e alleggerire il carico mentale e in molti casi ci riescono. Tuttavia, questa efficienza può avere un prezzo: una progressiva riduzione delle capacità di pensiero critico. Il fenomeno è particolarmente evidente tra i giovani, che fanno un uso più frequente di questi strumenti e ottengono risultati inferiori nei test di pensiero critico. Al contrario, gli adulti con un livello di istruzione più elevato mostrano una maggiore capacità di mantenere attive le proprie competenze riflessive, anche quando interagiscono regolarmente con strumenti digitali (Gerlich, 2025).
In altre parole, più ci affidiamo alla tecnologia per ricordare, decidere o pianificare, più rischiamo di disabituarci alla riflessione, alla valutazione, all’analisi. Ma è davvero inevitabile? E se invece fosse possibile usarla per potenziare anziché ridurre le nostre capacità mentali?
Il paradosso dell’efficienza: quando pensare diventa opzionale
Uno degli effetti più discussi è il cosiddetto offloading cognitivo: un processo automatico e implicito che porta a delegare a strumenti esterni compiti mentali come ricordare, organizzare, valutare.
Questo accade soprattutto quando prendiamo per buone le risposte senza analizzarle o verificarle. Come evidenziano Lee et al. (2025), l’uso della GenAI viene percepito come comodo e poco impegnativo. Ma proprio questa semplicità può ridurre l’attivazione di processi cognitivi più profondi come l’analisi, la valutazione e la rielaborazione delle informazioni. Più l’interazione è fluida e immediata, meno siamo portati a riflettere attivamente su ciò che riceviamo. Anche Larson et al. (2024) arrivano a una conclusione simile: il design dell’interazione conta. Quando l’intelligenza artificiale risponde in modo diretto e veloce, senza stimolare confronto, la riflessione si spegne. Quando invece la conversazione diventa più dialogica, interattiva e aperta, il pensiero critico si riattiva.
La chiave, quindi, non è evitare l’intelligenza artificiale: è usarla in modo critico. Chi interroga, confronta e rielabora attivamente le risposte, mantiene alte le proprie capacità di analisi e sintesi. Se ci abituiamo a lasciare che siano gli algoritmi a decidere cosa leggere, cosa dire, come scrivere o quale strada seguire, progressivamente disattiviamo le capacità che rendono il nostro pensiero flessibile e autonomo. Ma il destino non è segnato: se invece impariamo a usare questi strumenti come supporti intelligenti possiamo fare spazio, proprio grazie a loro, a forme più complesse e profonde di ragionamento (Suriano et al., 2025).
L’intelligenza artificiale come sparring partner cognitivo
L’offloading cognitivo non va interpretato esclusivamente in senso negativo. Delegare alcuni compiti è una strategia funzionale per liberare risorse mentali e indirizzarle verso attività più complesse o creative. Ed è una cosa che facciamo già tutti i giorni, per esempio quando usiamo mappe digitali o una calcolatrice: sono esempi di come “lo scarico cognitivo deliberato” non impoverisce il pensiero ma alleggerisce la memoria operativa.
Il rischio nasce quando questa delega diventa automatica, totale e priva di consapevolezza. Ma questo dipende da noi. Secondo Larson et al. (2024) il modo in cui interagiamo con l’intelligenza artificiale può attivare o inibire il pensiero critico. Gli autori individuano tre approcci distinti: quello estrattivo, in cui ci si limita a ottenere risposte rapide senza metterle in discussione; quello esplorativo, che usa l’intelligenza artificiale come stimolo per riflettere, confrontare opzioni, generare idee; e quello dialogico, che trasforma l’interazione in un confronto attivo, simile a un dibattito argomentativo. A influire sulla qualità del pensiero critico non è solo l’intenzione dell’utente, ma anche il design dell’interazione. Un’interfaccia troppo essenziale, la mancanza di trasparenza sulle fonti o l’impossibilità di confrontare alternative riducono la spinta a riflettere. Al contrario, strumenti che permettono di riformulare la stessa domanda in modi diversi (prompt multipli), visualizzare fonti o chiedere spiegazioni più approfondite incoraggiano un uso più consapevole e analitico. L’intelligenza artificiale diventa così uno sparring partner cognitivo: un interlocutore imperfetto, ma capace di attivare riflessione, confronto e apprendimento.
Pensiero critico e IA: una convivenza possibile
Il pensiero critico è una delle competenze più preziose dell’essere umano. È ciò che ci permette di distinguere una fonte attendibile da una distorta, di analizzare le conseguenze di una scelta, di riconoscere distorsioni cognitive e strategie comunicative fuorvianti, di valutare i pro e i contro di un’informazione prima di assimilarla o condividerla. Si tratta di un processo riflessivo, intenzionale e strutturato, che implica analisi, valutazione, inferenza, argomentazione e risoluzione dei problemi.
Se l’intelligenza artificiale viene usata in modo meccanico, senza confronto o verifica, abbassa l’impegno cognitivo e riduce la fiducia nella propria capacità di giudizio (Lee et al.,2025). Ma quando l’utente resta al timone dell’interazione, esercitando controllo critico e mantenendo attivo un processo riflessivo, può trasformarsi in una “palestra cognitiva”.
L’interazione con l’intelligenza artificiale può essere un esercizio di pensiero critico, se restiamo protagonisti: ponendo domande, verificando, rielaborando. Non si sostituisce al pensiero umano: lo accompagna, lo sollecita, lo affina. Rafforza l’intuito, apre prospettive nuove, affina le capacità argomentative (Suriano et al., 2025). L’intelligenza artificiale può aiutarci a pensare meglio. Ma solo se non smettiamo, per comodità o abitudine, di pensare davvero.