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La psicologia transpersonale, gli stati alterati di coscienza e il sé

La psicologia traspersonale è detta anche Quarta Forza della psicologia perché trascende e include tutti i modelli che l’hanno preceduta

Di Manolo Bertuccioli

Pubblicato il 27 Mar. 2023

In questo articolo si parla di psicologia transpersonale attraverso i suoi tre personaggi più rilevanti, con un’apertura dedicata ad uno dei principali precursori. In seguito viene evidenziata e spiegata l’importanza degli stati non ordinari di coscienza nei confronti della moderna ricerca psicologica e per quello che riguarda l’evoluzione dell’individuo. Si conclude con una parte sul Sé come elemento centrale della psicologia transpersonale.

Il processo di individuazione

 Carl Gustav Jung è stato, grazie al suo pensiero, uno dei più importanti padri e precursori della psicologia transpersonale.

Egli fu allievo di Freud e fondatore della Psicologia del Profondo. A dispetto del maestro, il concetto di “psiche” viene ampliato ed emancipato dallo sfondo naturalistico/meccanicistico dell’Ottocento.

L’energia psichica o libido non viene più limitata alle sole manifestazioni pulsionali, ma estesa anche alle espressioni culturali, alle attività con finalità creative e alle esperienze religiose. La psicoanalisi freudiana, invece, rimane ancorata ad una visione riduttiva dell’uomo più interessata alle meccaniche psicopatologiche piuttosto che all’individuo nella sua interezza. Nel pensiero junghiano il processo di individuazione sostituisce il concetto di “guarigione”: non ci si chiederà perché si verifica una tal cosa ma a che scopo succede. Il processo di individuazione concerne lo sviluppo e la maturità della persona, quindi, solitamente, impiega tanti anni per svolgersi. Al termine di questo periodo il soggetto abbraccia la propria completezza: si tratta di un compito difficilissimo, spesso eroico o tragico perché implica un continuo patire e soffrire dell’Io.

Come dicevo, non viene ricercata la “guarigione” ma piuttosto si vuole raggiungere la propria autenticità, ciò che ciascuno di noi “in fondo” propriamente è. L’individuazione è separazione e differenziazione della generalità e sviluppo del particolare, non di una particolarità cercata intenzionalmente, bensì di una particolarità già insita nella disposizione naturale.

Al termine del processo d’individuazione si raggiunge il Sé. Quest’ultimo rappresenta la totalità psichica, l’unità complessiva della personalità, la somma dei suoi elementi consci ed inconsci. È la realizzazione e la meta della vita psichica, sta al centro della totalità così come l’Io sta al centro della mente cosciente. Questo processo implica un ampliamento della coscienza e una riuscita emancipazione dalla follia.

Jung e l’inconscio

Nell’antichità, ma anche nell’Ottocento, la causa della follia era attribuita agli Dei, che apparivano come entità di potenza inaudita in grado di soggiogare la vita del soggetto in modo spietato e disumano. L’unico modo per uscire da una tale situazione è il diventare coscienti: cioè prendere consapevolezza dello scenario notturno, del sottosuolo della personalità che non è toccato dalla luce. In questo processo di aumento della consapevolezza ci si muove da uno sfondo indifferenziato, proprietà intrinseca dell’inconscio, verso un ambito carico di distinzioni dettate dalla ragione e dall’Io.

Il soggetto non si trova davanti territori di marca solo freudiana ma anche archetipici. Con Jung viene introdotto il concetto di inconscio collettivo e di archetipo: l’inconscio non contiene solo tracce di esperienze personali vissute, dimenticate o rimosse, ma anche uno strato più profondo dove è depositato il patrimonio psicologico dell’umanità. Mentre l’inconscio personale consiste soprattutto in “complessi”, l’inconscio collettivo è formato essenzialmente da archetipi: forme o motivi psichici determinati che sembrano essere presenti sempre e dovunque. Sono “forme a priori” di apprendimento, disposizioni a fare esperienza in un modo piuttosto che in un altro.

Tutti questi elementi della psicologia del profondo hanno contribuito notevolmente alla nascita e formazione della psicologia transpersonale.

La psicologia transpersonale di Stanislav Grof

Il fondatore di tale psicologia, detta anche Quarta Forza della psicologia perché trascende e include tutti i modelli che l’hanno preceduta, si chiama Stanislav Grof ed è la maggiore figura di spicco a livello internazionale.

Dopo essersi laureato in medicina, si occupa dello studio degli stati non-ordinari legati all’uso dell’LSD per poi dedicarsi interamente alla quarta forza. La psicologia transpersonale concerne ciò che va oltre la persona, ciò che va oltre la personalità individuale del soggetto: lungo questa prospettiva si può affermare che è in grado di studiare gli aspetti spirituali e trascendenti dell’esperienza umana in modo completo.

Grof sottolinea che molti episodi drammatici, o crisi del soggetto, non sono da ridurre a malattia per il loro aspetto anomalo e la loro momentanea incomprensibilità ma sono da rivalutare come occasione per uno sviluppo spirituale ed un accrescimento del potenziale umano. Infatti molte esperienze disturbanti non sono segno di psicopatologia ma il risultato di trasformazioni spirituali; le crisi psicologiche sono spesso in realtà dei momenti di risveglio spirituale dove al centro compare un nucleo intimamente sano. Quindi le emergenze spirituali sono quei particolari stati psichici dotati di grande potenziale evolutivo.

La metodologia terapeutica di Grof si basa sulla respirazione: viene chiamata respirazione olotropica per indicare il coinvolgimento dell’individuo nella sua interezza. Viene utilizzata anche la musica ma non per l’ascolto: serve ad indurre una trance in cui l’organismo si esprime liberamente, senza vincoli. Si cerca di fare irrompere alla coscienza del materiale inconscio affinché l’esperienza diventi trasformativa per il soggetto. Alla fine della seduta viene chiesto al paziente di elaborare il vissuto esprimendolo graficamente su un grande foglio bianco. Bisogna sottolineare che la figura del terapeuta ha, in questo contesto, una valenza poco attiva e poco invasiva: serve più che altro ad accompagnare il paziente per sostenerlo e difenderlo durante il “viaggio” senza influenzarlo; comunque ci si può avvalere anche di un lavoro sulla mente e/o sul corpo.

Il contributo di Ken Wilber

A Grof può essere affiancato un altro autore che ha dato notevoli contributi alla conoscenza della psicologia transpersonale: si tratta di Ken Wilber. Il loro rapporto si può riassumere in questo modo: a Grof spetta il merito di aver ampliato e dettagliato la “cartografia dell’inconscio”, a Wilber quello di aver focalizzato e studiato tutte le “lunghezze d’onda” della coscienza, cioè il suo spettro.

Ken Wilber è fondatore della teoria integrale della coscienza che permette di collocare in un unico quadro pensatori e teorie diverse fra loro. Attinge a piene mani sia dal pensiero occidentale (filosofia, psicologia e scienza) sia dal pensiero orientale (buddhismo, filosofia indiana e zen). In “Lo spettro della coscienza” afferma che ad un determinato stato della coscienza corrisponde una determinata scuola di pensiero. Discipline distanti fra loro ci appaiono così diverse perché ognuna occupa una particolare posizione nello spettro della coscienza: non sono, quindi, da vedere in contrapposizione le une alle altre, quanto piuttosto complementari.

La psicologia transpersonale in Italia: Pier Luigi Lattuada

Nel panorama italiano è rilevante la figura di Pier Luigi Lattuada. Medico, psicologo e psicoterapeuta, è Direttore della Scuola di Formazione in Psicoterapia Transpersonale riconosciuta dal M.I.U.R. .

Inoltre è fondatore della BTE, la cosiddetta biotransenergetica, elaborata insieme a Marlene Silveira fin dal lontano 1982. È una metodologia che aderisce appieno alla psicologia transpersonale: offre strumenti cognitivi ed operativi per esplorare e padroneggiare le esperienze interiori, per navigare nell’oceano della coscienza.

Tenendo in considerazione la piramide dei bisogni di Maslow, i diagrammi di Reich e Lowen, e la millenaria tradizione dei chakra, si circoscrive l’evoluzione integrale della persona con una cartografia contraddistinta da sette dualismi fondamentali: vivo/muoio, piacere/dolore, vinco/perdo, amo/odio, lascio/tengo, giudico/osservo, io sono/sono io. Il terapeuta accompagna il paziente attraverso l’utilizzo di svariate pratiche: meditazioni, canti, danze, esercizi psicofisici, esercizi di respirazione, pratiche sciamaniche, rituali, visualizzazioni, ecc. La BTE vanta di molta esperienza e validità: senza dubbio può essere utile nell’affrontare un’emergenza spirituale.

Gli stati alterati di coscienza

Un tema molto importante da affiancare alla ricerca psicologica contemporanea è quello degli stati alterati di coscienza.

Bisogna innanzitutto spogliare queste parole di quella connotazione negativa nella quale facilmente cadono. Ciò si verifica soprattutto in Occidente dove si predilige la mentalità razionale perché dà a tutti sicurezze, compresa la supposta possibilità di controllare la propria vita. Infatti vengono vivamente sconsigliate le esperienze in uno stato di coscienza alterato perché “deformano la realtà”, “non danno una visione vera dell’oggetto” e “il soggetto ha percezioni distorte”. Da gran parte della società, non solo perbenista, vengono considerate “il male”, “il negativo”, “ciò che non va bene”.

Invece, in altri tempi rispetto al mondo attuale, cioè in contesti culturali diversi dal nostro, gli stati alterati di coscienza venivano considerati un vero e proprio mezzo di profonda autoesplorazione: si pensi alle religioni d’Oriente, allo sciamanesimo, ai misteri greci, al sufismo, ecc. . La psicologia transpersonale contemporanea riprende questo modo di vedere le cose e lo riattualizza in una prospettiva psicoterapeutica, di ampliamento ed evoluzione della coscienza.

Nella tradizione culturale occidentale l’idea comune di coscienza è stata per tanto tempo bloccata ai suoi tratti razionali e logici. Si è dovuto aspettare il pensiero di Freud e di Nietzsche affinché il mondo non-ordinario acquistasse valore e utilità: solo allora la logica, la razionalità e la “misura” smisero di avere accesso privilegiato alla verità, al “vedere le cose come stanno”. L’attenzione del mondo comincerà a cadere anche sulle pulsioni, sulle passioni, sui desideri e sulle motivazioni profonde dell’individuo.

Seguendo questa prospettiva, Cervone e Turcato fanno delle emozioni una delle porte principali che può portare l’individuo direttamente all’alterazione: inoltre sarebbero proprio elementi terapeutici, dispensatrici di salute. Nel loro “Gli stati alterati di coscienza” troviamo le principali metodologie che sfruttano l’alterazione di coscienza per fini terapeutici: l’ipnosi, la meditazione, la psicodinamica, le emozioni appunto, la danza e la musica.

Per quello che riguarda i meccanismi psicodinamici coinvolti nell’alterazione della coscienza, mi voglio soffermare per qualche chiarimento. Innanzitutto è bene inserire un riferimento teorico e storico nel quadro del panorama italiano della psicologia analitica: sto parlando di Virginia Salles.

Laureata in Psicologia alla Sapienza di Roma è psicoterapeuta con formazione junghiana e specializzata in psicologia transpersonale. Ha fondato insieme ad altri colleghi il “Centro Studi di Psicologia e Letteratura fondato da Aldo Carotenuto”. È una delle poche persone che si è interessata della distanza che c’è fra Jung e Grof e del loro rapporto nei confronti dell’inconscio. A tal proposito è comparso un articolo di notevole interesse nel “Giornale Storico di Psicologia Dinamica” dal titolo: “Le potenzialità terapeutiche degli stati non ordinari di coscienza: l’inconscio visto da C. G. Jung e S. Grof”, di cui del 2003 la prima parte e del 2004 la seconda parte.

Richiamando per un momento il pensiero freudiano, la Salles ci permette di fare questa annotazione. Freud ha insistito molto sull’importanza del sogno, dello stato onirico come scena principale dalla quale costruire una terapia o una strategia terapeutica. In termini psicodinamici, il sogno permette l’affiorare di elementi inconsci, cioè di allentare o abbattere quelle resistenze che nella veglia rimangono intatte. Mentre si dorme, un contenuto carico di energia, di notevole importanza per la persona, può salire alla coscienza sotto forma onirica: le resistenze del soggetto che normalmente mantengono questo contenuto nascosto, vengono rotte.

Gli stati alterati di coscienza funzionano allo stesso modo: permettono l’irrompere di un’altra scena, di contenuti che nel soggetto erano prima nascosti o non visibili. In alcuni soggetti tali elementi possono subito diventare utili, costoro sanno subito che utilizzo farne: ampliare la personalità, accedere alle potenzialità nascoste o iniziare un’evoluzione interiore. Nel caso opposto, il continuo affiorare di nuovi contenuti potrebbe rivelarsi un fattore negativo: il soggetto potrebbe trovarsi incapace a capire e a gestire tutte queste informazioni. Affidarsi a qualcuno esperto nei viaggi della coscienza e nella loro comprensione è la cosa migliore.

Per tale questione si potrebbe ricordare la figura di Carlos Castaneda e il suo iter verso la conoscenza tolteca. Egli ha narrato, rendendole pubbliche ed esplicite, le numerose esperienze non-ordinarie che ha sperimentato durante il suo cammino stregoneresco. Però a differenza del malcapitato, ebbe al suo fianco un indiano sui generis: si tratta di Don Juan Matus che diventò suo maestro nel controllo degli stati di coscienza e nella comprensione di tutte le sfaccettature della realtà separata.

Un altro autore che viene spesso preso come riferimento quando si parla di stati alterati è Charles T. Tart che ha scritto un famoso testo intitolato: “Stati di coscienza”. Qui vengono trattati i più noti stati di coscienza rapportandoli ad uno stato ordinario di base e ad uno alterato, con un approccio moderno e contemporaneo: il sogno, la trance ipnotica, l’ebbrezza alcolica, gli stati meditativi e quelli indotti dalle droghe e dagli allucinogeni.

Il modo in cui ha affrontato e discusso il tema degli stati di coscienza è stato preso come riferimento da molti studiosi fra cui i nostri connazionali Vittorio Grecchi e Piero Priorini.

Il primo è psicologo e psicoterapeuta di Milano e ha scritto “Psicoterapia e neuroscienze. Gli stati modificati di coscienza nella terapia generativa e delle emozioni”. È un esempio di come il terapeuta, in un quadro non troppo classico, può aiutare il paziente sia attraverso l’utilizzo degli stati alterati di coscienza sia grazie all’ipnosi; in questo modo il paziente è accompagnato, passo dopo passo, verso la guarigione del disturbo che può essere di personalità, alimentare o altro. Grecchi, utilizzando l’approccio “per sistemi” di Tart, mostra come gli stati di coscienza alterati possano essere finalizzati alla psicoterapia: per il recupero di memorie, per rimodellare gli insiemi tramite l’integrazione di sottosistemi (raggiungibili solo tramite uno stato di coscienza alterato) e per riequilibrare o ampliare lo stato ordinario di base della coscienza.

Piero Priorini è uno psicologo, psicoterapeuta ed ipnologo ad indirizzo junghiano. In questa sede mi interessa riportare l’attenzione non tanto sulla sua persona ma su un suo testo dal titolo: ”Attività estreme e stati alterati di coscienza”. Le attività estreme a cui si riferisce sono queste: il paracadutismo, la canoa, l’alpinismo, la speleologia, il surf da onda, l’immersione subacquea e il volo libero in parapendio o deltaplano. Vengono chiamate estreme perché sono svolte in condizioni di maggior difficoltà nei confronti della norma. A differenza degli altri sport è di regola agire in un stato propriamente alterato. Ciò che contribuisce a questa induzione è il “fattore rischio” che ha un valore maggiore rispetto alla consuetudine: il minimo errore, la minima distrazione può infatti costare la vita.

Il fattore rischio è l’elemento discriminante tra gli sport in genere e le attività estreme, inoltre è la condizione preliminare per l’ingresso nella “dimensione alterata”. In tali pratiche avviene lo stesso movimento estatico che possiamo riscontrare negli sciamani, nei mistici e negli ipnotizzati: il soggetto si allontana in un mondo “altro”, un “luogo ineffabile” con un vissuto indicibile. In questa separazione è come se avvenisse una “piccola morte”, una perdita di valenza dell’Io ordinario che viene abbandonato e sostanzialmente ridimensionato.

La persona che torna da questa dimensione alterata è una persona diversa, arricchita e rasserenata. L’esperienza vissuta può incrementare ed amplificare la conoscenza che abbiamo di noi stessi e dell’universo che abitiamo. Quindi nel testo di Priorini viene effettuata una rivalutazione positiva degli stati alterati di coscienza grazie alle attività estreme.

Il Sé come meta

Per concludere questo articolo, vorrei riportare l’attenzione sul Sé come meta del percorso junghiano. La parola Sé, oggi, ha assunto ormai un significato non univoco: in questa sede voglio riportala all’interno della gnoseologia junghiana e dare diversi tratteggiamenti del suo valore.

Il Sé rappresenta il complesso insieme dei fenomeni psichici di un individuo: denota la sua struttura psichica totale con l’integrazione, il compendio e la combinazione di tutte le parti psichiche. È ciò che permette la conoscenza e percezione del mondo e anche ciò che ne delinea i limiti. Inoltre il Sé è la coscienza del soggetto e, in questa accezione, si contrappone all’Io che, nella psicologia analitica, decade da ruolo centrale della psiche. Si può definire anche come il “centro potenziale” della psiche con caratteri di completezza, totalità e globalità attorno al quale ruota lo stesso Io.

Il Sé rappresenta il centro vitale e il “contenitore” universale della nostra esistenza. Per attivare questa funzione essenziale è necessario che nella nostra vita siano intervenute delle profonde trasformazioni, prima non lo si può raggiungere in alcun modo. Non si tratta di comprendere il viaggio della vita in termini razionali, perché si tratta di un cammino di tipo simbolico ed emozionale.

Il Sé rappresenta l’evoluzione naturale della nostra vita che ci porta a superare le disarmonie nate dalla contrapposizione e non-soluzione degli opposti. Scopo dell’autorealizzazione è la fusione della coscienza con l’inconscio trovando, appunto, l’armonia degli opposti. Il Sé non può essere considerato come un terzo intermedio tra coscienza ed inconscio: esso esprime l’una e l’altro insieme, in una congiunzione dove il conflitto degli opposti può trovare pace. Nell’iter terapeutico si cerca di spingere la dimensione limitata dell’Io cosciente verso il Sé: il confronto dei contrari ci svela la totalità dell’uomo che a volte può essere descritta solo per antinomie. Jung amava dire che il Sé è il “centro” dinamico dell’esistenza e che la sua attivazione produce una integrazione tra coscienza ed inconscio, in questo modo diventa il centro interiore e trasformatore della nostra vita.

Ora guardiamo più da vicino gli aspetti che caratterizzano la struttura del Sé in contrapposizione all’Io. Esso è il centro globale della personalità in divenire mentre l’Io è il centro individuale della personalità divenuta. Quindi la personalità come fenomeno totale non coincide con l’Io che rimanda alla personalità conscia; il Sé si potrebbe indicare con la “personalità totale” benché non sia interamente afferrabile.

Il Sé è il centro della psiche da cui tutto promana: l’Io sta al Sé come il patiens sta all’agens, cioè come l’oggetto sta al soggetto, il vero soggetto. Il rapporto fra le due istanze non può essere che dialettico e conflittuale: è destino dell’Io contrastare il potere soverchiante del Sé mettendo sempre in discussione la sua supremazia. Soprattutto perché la vita del Sé è impersonale mentre quella dell’Io è prettamente personale. L’Io si trova infatti svantaggiato nel suo confronto con la totalità della psiche perché deve abbandonare l’attaccamento alla realtà materiale come unico riferimento della coscienza.

Alla questione fondamentale del Sé è legata quella del problema dell’esistenza umana, del significato della vita e del suo destino. Il Sé porta l’individuo all’esperienza diretta del divino: in quest’ottica religiosa diventa chiaro qual è lo scopo dell’uomo totale. Quest’ultimo corrisponde anche alla quintessenza dell’essere individuale.

Concludendo questo articolo vorrei sottolineare un ultimo aspetto.

Il Sé è chiamato con il pronome di terza persona singolare per essere distinto dall’Io, chiamato infatti con il primo pronome personale in forma di soggetto. Esso rappresenta l’unità e la totalità della personalità considerata nel suo insieme. Ciò significa che porta con sé una componente inconscia: per questo motivo il Sé è un postulato. Presupponendo l’esistenza di fattori inconsci, può essere descritto solo in parte lasciando il resto, per un certo tempo, inconoscibile e non delimitabile. Il Sé in quanto totalità psichica possiede un aspetto cosciente quanto un aspetto inconscio. Ciò vuol dire che sul piano empirico il Sé appare come un gioco di luci e ombre, quantunque concettualmente venga inteso come una unità lontana dalle speculazioni logiche ed oziose. Quindi, da un punto di vista intellettuale, possiede solo il valore di una ipotesi. Tuttavia questa ipotesi dà, a chi ha intrapreso un sentiero di ricerca interiore, la possibilità di raggiungere l’Opus Magnum cioè la piena realizzazione di se stesso.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Cervone, T., & Turcato, M. (1998). Gli stati alterati di coscienza. Xenia, Milano.
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  • Salles, V. (2004). Le potenzialità terapeutiche degli stati non ordinari di coscienza: l’inconscio visto da C. G. Jung e S. Grof, parte seconda. Giornale Storico di Psicologia Dinamica, vol. 28, fascicolo 56, pp. 73-85, Di Renzo Editore, Roma.
  • Salles, V. (2015). Spazi oltre i confini. Alpes Italia, Roma.
  • Tart, C. T. (1977). Stati di coscienza. Ubaldini, Roma.
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  • Wilber, K. (2014). Psicologia Integrale. Coscienza, spirito, psicologia e terapia. Crisalide, Latina.
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