Tutti noi, di questi tempi, conosciamo la sensazione di disagio nell’indossare la mascherina, obbligatoria per la protezione dal CoVid-19.
Molte riflessioni sono state fatte sulle ricadute che il volto coperto può avere nelle relazioni interpersonali. Sappiamo che si possono capire al meglio le emozioni dell’altro se ne vediamo il viso completo, tramite il sistema dei neuroni specchio, che di fronte ad una persona con la bocca coperta siamo meno abili nel distinguere le sue emozioni, in particolare la gioia ed il disgusto e che il blocco del proprio mimetismo facciale diminuisce l’accuratezza nella comprensione delle emozioni altrui.
Ma cosa accade alle nostre emozioni quando la loro espressione somatica è parzialmente ostacolata dall’utilizzo delle mascherine?
Secondo l’embodied cognition noi conosciamo il mondo attraverso il nostro corpo, con il corpo possiamo agire sulle nostre cognizioni e sugli stati mentali ed i cambiamenti della postura e della mimica facciale incidono sulla nostra percezione. In particolare, secondo la Facial Feedback Hypothesis, il movimento dei muscoli del viso comunica ciò che proviamo non solo agli altri ma anche a noi stessi. Tornando a Charles Darwin: amplificare o inibire l’espressione di un’emozione incide sulla sua intensità percepita della stessa.
Gli studi condotti sull’argomento, in cui ai partecipanti era stata indotta meccanicamente un’inibizione dell’espressione emotiva, per esempio tenendo una penna in bocca o bloccando alcuni muscoli del viso attraverso l’iniezione di una tossina botulinica, hanno dato risultati concordanti con l’ipotesi precedente.
Unendo l’esperienza clinica, gli studi citati e le sensazioni personali, possiamo ragionevolmente supporre che la mascherina sul viso possa essere considerata un impedimento fisico alla piena espressione facciale delle emozioni, con tutte le conseguenze che ne derivano. Con il viso parzialmente coperto possiamo trovare maggiori difficoltà a comprendere quali emozioni stiamo provando e possiamo percepirle meno intense.
Se questo fenomeno è facilmente superabile nei soggetti sani, che probabilmente lo compensano in modo spontaneo, maggiori difficoltà possono trovarsi in persone affette da disturbi di personalità, guidate tipicamente da schemi interpersonali disfunzionali, con una forte componente affettiva incarnata spesso poco consapevole. In ogni caso, che sia per il fenomeno dell’embodied cognition, per le difficoltà di comprensione dell’emozione altrui a causa del viso coperto o per i disagi dovuti al senso di “stranezza” nell’indossare una maschera di fronte al proprio terapeuta, è necessario ripensare alle terapia vis à vis in studio tenendo conto della presenza delle mascherine.
Come possiamo aiutare il paziente in terapia a superare questa impasse?
Molti psicoterapeuti hanno optato per la psicoterapia online, per motivi di sicurezza e per ovviare alla restrizione del setting causata dalle mascherine. Quando questo non è possibile e scegliamo di lavorare in studio, occorre compensare con interventi diretti al setting, alla relazione ed alle tecniche corporee. Per chi ancora usa la scrivania può essere il momento di spostarsi sulle poltrone, per avere una visione completa del corpo dell’altro e della sua postura, che compensa in parte la mancanza di informazioni provenienti dalla parte inferiore del viso.
La gestualità tutta italiana nel parlare ci viene in aiuto, enfatizzando la comunicazione di ciò che proviamo e talvolta lasciando poco spazio all’interpretazione!
Gli interventi sulla relazione possono essere ancora più incisivi. Occorre verbalizzare molto ciò che proviamo, chiedere frequenti feedback sulle emozioni del paziente, aiutandolo a spostare l’attenzione dal ragionamento alle emozioni. La terapia dovrebbe essere sempre più calda e vivace.
Utilizzare le tecniche corporee ci aiuta sempre, a maggior ragione in queste circostanze: se induciamo in immaginazione un’emozione, possiamo aiutare il paziente a percepirla, nominarla, individuare le sensazioni somatiche ad essa correlate e memorizzarle per favorirne il riconoscimento anche al di fuori dello studio.
Probabilmente l’uso delle mascherine ci porterà a cambiare abitudini e a spostare la nostra attenzione sulla parte superiore del volto altrui, restituendo agli occhi il valore di “specchio dell’anima”, in attesa di poter rivedere il viso completo dei nostri pazienti e poter mostrare il nostro in completa sicurezza.