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L’elaborazione dell’informazione secondo i processi top down e bottom up, i risvolti sulla pratica psicoterapeutica

Top down (dall'alto verso il basso) e bottom up (dal basso verso l'alto) sono due diversi modi di elaborare i dati sensoriali con cui entriamo in contatto

Di Redazione

Pubblicato il 30 Gen. 2019

Aggiornato il 04 Feb. 2019 11:54

Anche nell’ambito della pratica psicoterapeutica si parla di processi top down e bottom up. I primi sarebbero quelli del pensiero esecutivo, consapevole, razionale e verbalizzabile. I processi bottom up invece sarebbero automatici, emotivamente carichi, associativi, inseriti nell’esperienza immediata e connessi con la sensorialità corporea.

La percezione consiste nell’elaborazione delle sensazioni elementari che vengono convogliate dagli organi di senso. Nel processo di elaborazione l’informazione viene codificata, organizzata, riconosciuta e interpretata.

Il processo di percezione può essere diviso in stadi:

  • lo stadio primario: attraverso i processi visivi primari vengono definite e descritte le caratteristiche fisiche dello stimolo visivo, senza però che ne siano determinati il significato, l’uso e la funzione. L’analisi e l’elaborazione delle caratteristiche fisiche permette di far emergere l’oggetto strutturato.
 È la psicologia della Gestalt ad aver approfondito proprio lo stadio primario della percezione.
  • lo stadio secondario: lo stimolo strutturato, attraverso il confronto con le conoscenze depositate in memoria, viene riconosciuto.

Le modalità di confronto sono definite bottom up (elaborazione dal basso verso l’alto), e top down (dall’alto verso il basso). Top down e bottom up quindi si riferiscono a due diversi modi di elaborare i dati sensoriali con cui entriamo in contatto. L’elaborazione dall’alto verso il basso, cioè top down, si basa su processi cognitivi che coinvolgomo attenzione e memoria, l’elaborazione sarebbe «guidata dai concetti», cioè basata sulle rappresentazioni contenute in memoria. L’elaborazione bottom up invece si basa principalmente sullo stimolo esterno e sulle sue caratteristice percettive, si fa riferimento quindi a una modalità di elaborazione «guidata dai dati», che parte dai dati sensoriali (le singole parti dello stimolo).

Elaborazione TOP DOWN

L’elaborazione top down è definita come lo sviluppo del riconoscimento di pattern attraverso l’uso di informazioni contestuali. Ad esempio, leggendo un paragrafo scritto con una grafia difficile, sarà più semplice capire cosa lo scrittore vuole trasmettere se leggiamo l’intero paragrafo piuttosto che concentrandoci sulle singole parole. Il cervello infatti, è in grado di percepire e comprendere l’essenza del paragrafo grazie al contesto fornito dalle parole circostanti.

Elaborazione TOP DOWN e la Teoria di Gregory

Lo psicologo Richard Gregory sostiene che l’elaborazione è un processo di tipo top down. 
Dato che noi non vediamo delle semplici configurazioni ma vediamo oggetti complessi, perché questo sia possibile è necessaria una attiva ricerca della migliore interpretazione possibile delle caratteristiche disponibili. Secondo Gregory tale interpretazione, definita «controllo delle ipotesi», non può che avvenire secondo un approccio top down grazie al quale «costruiamo» le nostre percezioni attraverso i nostri processi cognitivi [Gregory 1990].

Secondo Gregory quindi sono le nostre esperienze e conoscenze su uno stimolo, immagazzinate in memoria, che ci aiutano a fare inferenze. Creiamo cioè un’ipotesi percettiva sullo stimolo percepito, basata sulla sua memoria e sulle esperienze passate correlate ad esso. Per Gregory quindi la percezione consiste nel fare la migliore ipotesi su ciò che stiamo vedendo. In termini di percezione visiva, Gregory sostiene che circa il 90% delle informazioni visive viene perso dal momento in cui arriva al cervello per l’elaborazione. Nelle illusioni visive, come ad esempio il cubo Necker, secondo Gregory il cervello crea ipotesi errate, facendo diversi errori percettivi.

Elaborazione BOTTOM UP

Nell’approccio di elaborazione bottom up, la percezione inizia dall’input sensoriale, dallo stimolo. Pertanto, la percezione può essere descritta come basata sui dati. Ad esempio, c’è un fiore al centro del campo di una persona. La vista del fiore e tutte le informazioni sullo stimolo vengono trasportate dalla retina alla corteccia visiva nel cervello. Il segnale viaggia in una direzione.

Elaborazione BOTTOM UP e Teoria di Gibson

Secondo quanto sostiene Gibson ogni stimolo possiede informazioni sensoriali sufficientemente specifiche da renderne possibile il riconoscimento senza l’intervento dei processi cognitivi superiori (teoria ecologica). La percezione non è soggetta a ipotesi, ma è piuttosto un fenomeno diretto: “What you see is what you get”. Il nostro ambiente, secondo Gibson, può fornire sufficienti dettagli relativi allo stimolo (ad esempio dimensioni, forma, distanza, ecc.), e la percezione dello stimolo potrebbe non dipendere dalla conoscenza pregressa o dall’esperienza passata dello stimolo stesso.

Processi cognitivi quali la memoria per accedere all’esperienza passata non sarebbero quindi necessari per riconoscere lo stimolo, che avrebbe già un proprio «ordine interno» che ne consentirebbe una percezione diretta. L’ordine interno, costituito dalla distribuzione spaziale e temporale dello stimolo, permette una diretta «disponibilità» al suo riconoscimento.
 Gibson ha definito questa disponibilità dello stimolo «affordance». 
L’affordance sarebbe ciò che permette all’osservatore di estrarre le caratteristiche che definiscono l’uso e le finalità dell’oggetto percepito.

Sempre secondo la teoria della percezione diretta, l’affordance suggerita dall’oggetto all’osservatore si basa però non soltanto sui fattori fisici posseduti dall’oggetto, ma anche sullo stato psicologico e fisiologico dell’osservatore. 
Una delle critiche che vengono mosse alla teoria della percezione diretta di Gibson è quella che si riferisce alle illusioni ottiche, che dimostrerebbero che le sole caratteristiche dello stimolo non permettono una sua corretta percezione. Gibson ha risposto argomentando che gli stimoli a cui fa riferimento Gregory nelle illusioni ottiche sono immagini artificiali, non immagini che possono essere trovate nel normale ambiente visivo di una persona. La parallasse del movimento supporta questo argomento: la parallasse è il fenomeno per cui un oggetto sembra spostarsi rispetto allo sfondo se si cambia il punto di osservazione. Quando viaggiamo su un treno in rapido movimento, percepiamo che gli oggetti più vicini a noi scorrono più velocemente, mentre oggetti più lontani si muovono più lentamente. Quindi, siamo in grado di percepire la distanza tra noi e l’oggetto in base alla velocità con cui si sposta.

Top down o bottom up?

Non si hanno certezze sul tipo di elaborazione che viene più frequentemente impiegato, ma è stato dimostrato che l’utilizzo della modalità bottom up oppure di quella top down dipende in buona misura dal contesto in
cui è inserito l’oggetto percepito e dal grado di conoscenza che l’osservatore ne ha.

 Chi è a favore dell’ipotesi di elaborazione bottom up ammette che il processo finale, cioè la denominazione dello stimolo percepito, può essere raggiunto solo attraverso un confronto tra l’input sensoriale e la rappresentazione mentale dello stimolo. 
La differenza quindi si limita al fatto che nella elaborazione bottom up il processo di confronto parte dal basso e procede fino a quando lo stimolo viene strutturato nella sua interezza e può quindi essere verificata la corrispondenza con la rappresentazione interna dello stimolo.

Forse le due teorie descritte non sono del tutto opposte perché a ben vedere non c’è una netta contrapposizione tra il principio del controllo delle ipotesi proposto da Gregory e l’affordance dello stimolo oltre che lo stato psicologico e fisiologico dell’osservatore ipotizzato da Gibson.

Un’altra teoria della percezione è quella dell’analisi tramite sintesi formulata da Neisser (1976) che si colloca a metà strada tra la teoria diretta di Gibson e la teoria costruttivista proposta da Gregory. Neisser concilia le due posizioni estreme bottom up (elaborazione guidata dai dati) e top down (elaborazione guidata dalle conoscenze). I dati in memoria (credenze/aspettative, schemi anticipatori) guidano la nostra attività di esplorazione (top down), e i nuovi dati acquisiti provenienti dall’esplorazione a loro volta modificano le nostre aspettative e credenze (bottom up). Per Neisser percepire non è uguale ad assegnare un oggetto ad una categoria, ma costruire schemi adatti alle varie situazioni. Tali schemi possono subire continue modifiche in relazione alle nuove informazioni provenienti dall’ambiente. Questo meccanismo ha funzioni adattive. In questo ciclo percettivo hanno molta importanza le dimensioni del movimento e del tempo. Con il movimento del soggetto si hanno continui cambiamenti nella disposizione ottica degli oggetti e ciò rende più chiara la realtà che si sta osservando. Il tempo invece è fondamentale, perché ci vuole del tempo per percepire.

[FONTE: Psichepedia]

Anche la teoria della percezione di Marr (1982) prevede un livello di elaborazione di tipo bottom up ed un livello più avanzato che si baserebbe invece su processamenti top down.
 Secondo la teoria di Marr, la percezione inizia fin dall’immagine retinica dello stimolo che, attraverso stadi successivi, viene trasformata in una rappresentazione sempre più complessa. In particolare, per uno stimolo tridimensionale sarebbero necessari tre distinti stadi per arrivare ad una percezione completa:

  1. definito «schizzo primario bidimensionale 2-D» dello stimolo visivo che colpisce l’occhio. In particolare, nel primo stadio non è coinvolta la percezione cosciente; le caratteristiche di forma e grandezza simili vengono automaticamente accorpate.

  2. costituito da uno «schizzo a due dimensioni e mezzo» che aggiungerebbe al primo stadio gli indizi di profondità e orientamento. Nel secondo stadio lo stimolo comincia a delinearsi ma soltanto nelle sue parti visibili all’osservatore e, naturalmente, la rappresentazione cambia cambiando il punto di osservazione. In questo stadio quindi non ci formeremo la rappresentazione delle quattro gambe di un tavolo se non si trovano nel nostro campo percettivo e l’immagine del tavolo cambierà cambiando il nostro punto di osservazione. Allo stesso modo non ci formeremo la completa rappresentazione della superficie del tavolo se alcune sue parti sono coperte da fogli, libri o altro. Per questo motivo questo stadio viene anche definito «percezione centrata sull’osservatore».
  3. definito «modello tridimensionale 3-D» nel quale si ottiene la rappresentazione tridimensionale dello stimolo e le relazioni spaziali tra le sue varie parti. Nel terzo stadio si forma infine la rappresentazione tridimensionale dell’oggetto. In questa fase la rappresentazione precedente viene integrata dalle conoscenze acquisite nell’esperienza passata. 
Dato che Marr ha dimostrato che un modello di percezione visiva può essere specificato in maniera talmente dettagliata da poter essere simulato su computer, la sua teoria viene anche
definita «teoria computazionale» della percezione.

[FONTE: Opsonline]

Processi top down e bottom up in psicoterapia

Anche nell’ambito della pratica psicoterapeutica si parla di processi top down e bottom up. I primi sarebbero quelli del pensiero esecutivo, consapevole, volontario, dichiarativo e quindi immediatamente verbalizzabile e infine processabile dal pensiero razionale. I processi bottom up invece sarebbero automatici, emotivamente carichi, associativi, inseriti nell’esperienza immediata e connessi con la sensorialità corporea ma non sempre immediatamente controllabili volontariamente (Kahneman, 2011-2012; Martin & Sloman, 2013). La dicotomia top down e bottom up è sicuramente limitata e limitante e finisce per separare processi largamente sovrapposti. A volte, tuttavia, davanti ad alcuni rischi e possibili derive, può essere utile distinguerli e attribuire a essi e alla loro interazione un peso scientifico specifico.

La psicoterapia dei Disturbi di Personalità è un ambito che richiede allo psicoterapeuta la capacità di abbracciare una complessità sia teorica, nella comprensione del funzionamento del paziente, che pratica, nella scelta degli strumenti clinici da utilizzare nel corso del processo psicoterapeutico. La psicoterapia dei Disturbi di Personalità prevede infatti oltre alla messa in discussione e la presa di distanza dagli schemi disfunzionali, anche la costruzione di parti di sé più funzionali (Livesley, 2003); questo secondo obiettivo è spesso il più difficile e richiede più tempo rispetto al precedente (Dimaggio et al., 2013).

Ogni psicoterapia con pazienti con Disturbi di Personalità non segue un andamento lineare e una volta arrivati ad alcuni obiettivi di realizzazione personale, di contatto relazionale e di solidità nell’immagine positiva di sé, il raggiungimento degli obiettivi successivi non è affatto scontato.
 Nell’attraversare durante il percorso di cambiamento stati di malessere i pazienti faticano nuovamente ad acquisire distanza critica dalle rappresentazioni patogene. Arrivati a questo punto della psicoterapia, il lavoro sulla consapevolezza, sugli schemi e sulla differenziazione è importante ma può fare da sfondo e da contenitore ad un lavoro più specifico: il lavoro sul corpo. In questa fase il lavoro sul corpo diventa centrale ed è finalizzato a sciogliere le memorie corporee legate agli schemi e ad ampliare gli stati mentali positivi per abitarli e renderli più stabili (Ogden, 2016; Van Der Kolk, 2015)
.

Sempre più clinici e ricercatori che si occupano di traumi propongono di integrare nelle terapie fondate su approcci bottom up (corpo-emozioni-pensiero), basati sul corpo, che non necessitano di funzioni superiori integre, ma che possono integrarle. Ad esempio, mentre nei processi top down l’intervento si focalizza in prima battuta sulle funzioni verbali e cognitive, legate alla corteccia frontale, per poi “scendere” ai processi emozionali (sistema limbico) e, infine, ai processi corporei, nella psicoterapia sensomotoria si parte dal “basso” (bottom), ossia dai vissuti corporei, per poi salire, progressivamente, alla consapevolezza emozionale e alle funzioni verbali e cognitive di attribuzione di senso.

La psicoterapia sensomotoria si viluppa negli anni ’80 dalle tecniche di mindfulness e progressivamente va a integrarsi con i contributi della psicoterapia psicodinamica, cognitivo-comportamentale, delle neuroscienze, della ricerca sull’attaccamento e sulla dissociazione, orientata specificatamente al trattamento delle esperienze traumatiche dello sviluppo (Fisher & Ogden, 2009; Ogden & Minton, 2000; Ogden, Minton & Pain, 2006; Ogden, Pain & Fisher, 2006). Obiettivo principale della psicoterapia sensomotoria è aiutare il paziente a regolare le funzioni neurovegetative alterate, modificando i sintomi somatoformi e alcune credenze patogene, soprattutto riguardanti il corpo (Liotti & Farina, 2011).

A seconda, quindi, delle diverse esigenze del paziente in un dato momento del processo psicoterpeutico si può spaziare dall’EMDR alla Terapia Sensomotoria, alla Mindfulness, a tecniche importate dalla Terapia Gestalt, in un’integrazione continua tra il cosiddetto lavoro top down e quello bottom up.

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La dicotomia top down e bottom up è sicuramente limitata e limitante e finisce per separare processi largamente sovrapposti. A volte, tuttavia, davanti ad alcuni rischi e possibili derive, può essere utile distinguerli e attribuire a essi e alla loro interazione un peso scientifico specifico.

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