L’Istituto Gestalt Therapy Kairos ha organizzato, lo scorso 10 e 11 giugno, un seminario incentrato sulla presentazione di come il trauma venga trattato secondo l’approccio della psicoterapia sensomotoria; si tratta di un approccio elaborato da Pat Ogden, che si avvale dell’integrazione di vari contributi, tra cui quello del terapeuta gestaltico Ron Kurtz.
Dopo l’apertura dei lavori, effettuata dalla dottoressa Giovanna Silvestri, e l’intervento del vice presidente dell’Enpap Federico Zanon, i direttori della Scuola, il dottor Giovanni Salonia e la dottoressa Valeria Conte, effettuano una relazione volta a mettere in luce l’importanza fondamentale che sia le parole che i processi corporei rivestono in ambito psicoterapeutico; questi ultimi rappresentano la chiave d’accesso ai vissuti più profondi del paziente.
La giornata di studio si va ad inserire nell’attività di confronto tra l’approccio gestaltico ed altri approcci, rispetto alle pratiche terapeutiche; in questo contesto di confronto intellettuale e professionale il dott. Kekuni Minton, didatta del Sensorimotor Psychoterapy Institute, illustra alcuni aspetti del trattamento, soffermandosi su come la psicoterapia sensomotoria vada ad intervenire sulla psiche e sul soma della persona che ha subito un trauma. I lavori del seminario si concludono con una tavola rotonda in cui tutti i relatori rispondono alle domande formulate dai partecipanti e si confrontano vicendevolmente sulle tematiche in esame.
Il trauma secondo la psicoterapia sensomotoria
Il trauma, nella prospettiva della teoria sensomotoria, va ad interferire con la nostra capacità di assimilare nuove informazioni e di creare nuove rappresentazioni della realtà: la persona traumatizzata rimane legata ai ricordi traumatici, che necessitano di essere sottoposti ad un adeguato processo di rielaborazione. Si tratta di un processo molto delicato, dato che implica la riattivazione di memorie traumatiche, le quali possono generare nel paziente un vissuto interno di minaccia: lavorare sull’elaborazione del trauma può essere vissuto come un riproporsi dell’evento traumatico originario, dal cui ricordo doloroso la persona cerca di difendersi.
La psicoterapia sensomotoria lavora non solo con le memorie dichiarative (le memorie esplicite, ossia i ricordi consapevoli che vengono richiamati alla memoria attraverso processi cognitivi e verbali), ma, anche e soprattutto, con le memorie implicite (gli apprendimenti procedurali, cui è possibile avere accesso attraverso processi somatici). In questo quadro viene mutuato da Daniel Siegel il concetto di “integrazione orizzontale”: si integrano i processi cognitivi di attribuzione di significato, attuati dall’emisfero sinistro del cervello, con i processi emotivi, legati alla corporeità e alla regolazione degli affetti, in cui è implicato l’emisfero destro.
Il processo di rielaborazione del trauma con la psicoterapia sensomotoria
La psicoterapia sensomotoria opera in base al presupposto che nel trattamento delle memorie traumatiche il limitarsi al solo parlare con il paziente di quanto accaduto, per favorire un processo di consapevolizzazione, possa rivelarsi controproducente, accentuando i processi di disregolazione emozionale e irrigidendo i meccanismi di difesa che agiscono, in modo automatico ed inconsapevole, a livello corporeo.
Il terapeuta lavora con i vissuti corporei del paziente, oltre che con la storia di vita; si avvale di memorie implicite e cerca, nella fase iniziale del trattamento, di stabilizzare il paziente a livello corporeo, ripristinando il senso di sicurezza personale, minato dal trauma, e un adeguato livello di arousal, ossia di attivazione.
La persona che ha subito un trauma può presentare uno stato di allarme, di eccessiva attivazione (iperarousal), mediato dal sistema nervoso simpatico, oppure una condizione di scarsa attivazione, debolezza, mancanza di energia (ipoarousal), mediata dal sistema nervoso parasimpatico; può verificarsi anche uno stato denominato “freeze” (congelamento), in cui il livello di attivazione è alto (uno stato di iperarousal), ma la reazione osservabile è di immobilità, “difesa di congelamento”, di fronte ad un pericolo imminente. Nella fase iniziale del trattamento il terapeuta cerca di riportare la persona in uno stato di arousal (attivazione) ottimale, denominato “finestra di tolleranza”; il trattamento segue le linee guida postulate già da Pierre Janet nel trattamento del trauma e si struttura in tre fasi: riduzione e stabilizzazione dei sintomi, trattamento delle memorie traumatiche e, infine, reintegrazione della personalità.
La cornice teorica neurobiologica viene mutuata dalla teoria polivagale, elaborata da Stephen Porges, il quale definisce “neurocezione”, la modalità che l’essere umano ha di rapportarsi agli altri e all’ambiente circostante, attuando un processo di interazione, in assenza di pericolo, o mettendo in atto dei meccanismi di difesa (attacco/fuga, o immobilizzazione) in presenza di un pericolo; si tratta di un processo che avviene in modo automatico, al di fuori della coscienza, attraverso circuiti neurali che individuano, nell’ambiente, una situazione di sicurezza, di pericolo o di rischio di vita, determinando una risposta adattativa corrispondente.
Il processo terapeutico viene denominato “bottom up”: mentre nei processi “top down” l’intervento si focalizza in prima battuta sulle funzioni verbali e cognitive, legate alla corteccia frontale, per poi “scendere” ai processi emozionali (sistema limbico) e, infine, ai processi corporei, nella psicoterapia sensomotoria si parte dal “ basso” (bottom), ossia dai vissuti corporei, per poi salire, progressivamente, alla consapevolezza emozionale e alle funzioni verbali e cognitive di attribuzione di senso.
Il verificarsi di un evento traumatico può determinare uno stato di dissociazione strutturale della personalità: una parte del sé della persona è implicata nella vita quotidiana e mette in atto normali condotte di interazione con l’ambiente (condotte di esplorazione, attaccamento, sessualità, regolazione dell’energia etc.), mentre un’altra parte del sé è rimasta “fissata” all’esperienza traumatica e mette in atto condotte di difesa (attacco/fuga, freezing, sottomissione etc.) quando qualcosa, nell’esperienza presente del soggetto, rievoca il trauma; il terapeuta lavora con le parti dissociate, che vanno riportate alla coscienza, e che emergono sia sotto forma di memorie somatiche, che nella relazione terapeutica, attraverso agiti e identificazioni proiettive.
Oltre che con il corpo si lavora, in una fase successiva del percorso, con i vissuti di attaccamento; il terapeuta individua l’esperienza di attaccamento che manca al paziente e la offre, come “esperimento”, per aiutare il paziente a familiarizzare con un vissuto nuovo: relazionarsi con una figura di attaccamento che risponde ai suoi bisogni.
Il trattamento è finalizzato all’acquisizione della capacità, da parte del paziente, di attuare una corretta autoregolazione, di entrare in contatto e in intimità con l’altro e di avere un senso di integrazione del sé.