Dal workshop Trauma, Attaccamento e Corpo
Roma il 29 e 30 giugno 2013
Intervista a Kekuni Minton
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“Per favore non credete alle mie parole senza farne esperienza se funziona per voi, se funziona nella vostra pratica clinica allora utilizzatelo altrimenti buttatelo, la terapia è un po’ come un grosso esperimento, un grosso laboratorio.
Ed è poi quello che facciamo nella psicoterapia sensomotoria un piccolo esperimento con il paziente volta per volta, ci chiediamo sempre se per quel paziente funziona, avendo ben in testa che se non funziona si proverà qualcos’altro, trovando un’altra tecnica più adatta per lui.”
Durante il workshop Trauma, attaccamento e corpo tenutosi a roma il 29 e 30 giugno scorsi, ho avuto l’opportunità di intervistare Kekuni Minton, trainer fondatore dell’istituto di psicoterapia sensomotoria a Boulder in Colorado. Mi hanno colpito la disponibilità di Kekuni e la grande competenza nel lasciarsi “traghettare” dalle mie domande…
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Som: In questi giorni ci ha parlato di due tipi di ferite: ferite d’attaccamento e ferite traumatiche, quali sono le tecniche specifiche per lavorare con le une e con le altre, e in cosa differiscono maggiormente?
Per quanto riguarda l’esperienza traumatica, le ferite traumatiche l’attivazione e la minaccia reale e percepita, sono più estreme e potenzialmente letali per l’individuo. Di fronte ad una minaccia estrema affiorano le risposte di difesa animali estreme, e la maggior parte di queste risposte vengono attivate nelle aree sottocorticali del cervello: parliamo di risposte di attacco e fuga all’estremità elevata dello spettro e sottomissione e morte simulata nella parte bassa dello spettro. La dissocizione può avvenire in entrambe le estremità dello spettro parliamo, dunque, di difese sottocorticali e primitive.
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Quando parliamo di ferite di attaccamento non siamo quasi mai di fronte ad una situazione che viene percepita come potenzialmente letale, molto spesso le difese non sono di tipo sottocorticale ed animale, ma sono difese che si attivano contro oggetti interni dolorosi, emozioni dolorose, stati relazionali dolorosi ed esperienze sul sé dolorose.
Le difese, quindi, sono molto diverse.
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Tuttavia ci sono anche delle anologie, entrambe comprendono dei comportamenti appresi a livello procedurale sulla base di esperienze passate.
“La memoria procedurale determina il nostro modo di esperire il presente e di prevedere il futuro, preparandoci nel momento presente a quello che avverrà, sulla base delle nostre esperienze passate”.
Som: La psicoterapia sensomotoria ha un substrato neurobiologico molto forte come è possibile condividere questa cornice con i nostri pazienti?
La sensomotoria è un approccio che si integra facilmente con altri approcci psicoterapici io stesso non uso unicamente la psicoterapia sensomotoria nei miei percorsi terapeutici, con alcuni pazienti, ad esempio, utilizzo maggiormente tecniche sensomotorie, mentre con altri l’EMDR o altri metodi\tecniche.
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Quindi la conoscenza del corpo e dei meccanismi di interconnessione tra corpo mente ed emozioni che si ottengono grazie alle tecniche sensomotorie si possono applicare ed integrare con molti altri metodi, e quando sono integrate in un percorso terapeutico il paziente non ha più bisogno di una grossa cornice teorica ma solo di una parte di psicoeducazione. Quando parliamo di ferite traumatiche possiamo parlare di una sofferenza non solo psicologica ed emotiva ma anche corporea, scritta nel corpo, quindi diventa necessario lavorare su tutti e tre i livelli, per questo possiamo usare sia tecniche sensomotorie che di altri strumenti psicoterapeutici.
Diventa utile vedere in che modo il corpo partecipa non solo nelle risposte somatiche ma anche nel modo di elaborare le cognizioni e le emozioni.
Nella mia pratica clinica qualsiasi modello io utilizzi sono sempre consapevole di tutte e tre i livelli: corpo, cognizione ed emozioni. E per quelli che lavorano anche a livello spirituale possiamo dire che ci sono quattro livelli da tenere sempre presenti nel lavoro con il paziente. Per cui io includo sempre il corpo nel mio lavoro e ritengo basti davvero un po’ di psicoeducazione per avvicinare i pazienti a questa tecnica.
Som: L’abilità di Mindfulness sembra essere trasversale nell’applicazione di tecniche della psicoterapia sensomotoria, qual è secondo lei il goal e il valore aggiunto di questa abilità?
Ottima domanda. Noi pensiamo alla mindfulness in due modi: da una parte come tecnica psicoterapeutica che pervade tutto il nostro sistema di lavoro, tecniche metodi e teorie, dall’altra consideriamo la mindfulness come una capacità neurologica e psicologica, è la capacità di riflettere su stessi, e senza la capacità di riflette su stessi diventa molto difficile autoregolarsi e notare i nostri pattern di apprendimento procedurale, pattern emotivi e cognitivi abituali.
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Da qui il fatto che una volta che abbiamo la capacità di riflettere su di noi siamo capaci di osservare i nostri pattern abituali, quindi prima di tutto notiamo di avere una specifica credenza negativa e successivamente possiamo notare gli effetti di questa credenza negativa sul corpo sulle emozioni sul pensiero, e proprio grazie alla mindfulness abbiamo la possibilità di scegliere, abbiamo davanti diverse opzioni di pensiero e di comportamento.
Questo è di fatto il messaggio centrale degli esistenzialisti, Sartre, Heidegger ed Hegel, l’abilità di riflettere su noi stessi ci consente di cambiare ci consente di essere una persona diversa; e anche i filosofi esistenziali moderni concordano su questo e lo stesso dicasi per i filosofi buddisti antichi e stiamo parlando di milioni di anni fa, l’abilità centrale che bisogna apprendere per cambiare noi stessi profondamente è l’autoconsapevolezza.
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E’ come il motto di Socrate “conosci te stesso, fino a quando non conosci te stesso non potrai mai cambiare”. Un famoso terapeuta mi ha detto “non potrai mai cambiare una cosa se non sai cosa stai facendo”, questa conoscenza deriva solo della mindfulness. Noi, ad oggi, non consideriamo la mindfulness solo come tecnica psicologica, ma come un’ abilità fondamentale per la crescita e lo sviluppo personale.
Som: Abbiamo parlato della terapia sensomotoria e dell’EMDR e di come in ogni fase le tecniche della psicoterapia sensomotoria possano andare ad implementare l’efficacia del protocollo EMDR. Ci puo dire in sitensi qual è la forza di questa integrazione e quale il valore aggiunto dell’utilizzare tecniche della psicoterapia sensomotoria nel protocollo EMDR?
Io ritengo che l’ EMDR sia una tecnica di elaborazione estramamente potente, e già include il corpo nel suo protocollo, più che altro in termini di consapevolezza corporea. Ci si è concentrati molto nell’ EMDR su come elaborare le convinzioni negative, sono stati spesi molti sforzi nel metodo nella teoria e nella ricerca e lo stesso dicasi per le emozioni, si è spesa molta enfasi su come lavorare con le emozioni con l EMDR. Ora quando parliamo del corpo, invece, troviamo poca ricerca, e sicuramente c’è spazio per molta altra ricerca in questo settore.
Pat Hodgen ha cercato la ragione del lavoro sul corpo sin dal 1978, mentre io mi sono associato a lei nel 1988 da li ci siamo concentrati molto sull’obiettivo di ragionare sul funzionamento del corpo, su quale era la logica delle risposte sottocorticali difensive e animali, su quale fosse la logica delle ferite di attaccamento nel corpo, in quale modo le ferite di attaccamento rimangano “incorporate”, in che modo l’apprendimento procedurale influenza l’elaborazione emotiva e cognitiva e in che modo è possibile modificare le ferite di attaccamento a livello somatico.
Basti pensare che la letteratura sull’attaccamento è estremamente focalizzata sul corpo, momento per momento viene studiato il comportamento fisico della madre e del neonato e le loro modalità di comunicazione\relazione corpo a corpo, ma in molte tecniche di psicoterapia non c’è lo stesso focus momento per momento.
Direi che l’EMDR è un modello aperto e si possono integrare aspetti da diversi punti di vista: sono 30 anni che studiamo la logica del corpo e molti esponenti della scuola dell’ EMDR sono interessati alla nostra ricerca per poter integrare il nostro modello nelle 8 fasi del protocollo. Credo che la forza per ogni approccio psicoterapico dovrebbe essere quella di avere un modello aperto all’integrazione con nuovi modelli e teniche, e bisognerebbe porsi una domanda: Funziona? Se non funziona lo si butta via, mentre se funziona lo si utilizza.
Per favore non credete alle mie parole senza farne esperienza se funziona per voi, se funziona nella vostra pratica clinica allora utilizzatelo altrimenti buttatelo, la terapia è un po’ come un grosso esperimento, un grosso laboratorio. Ed è poi quello che facciamo nella psicoterapia sensomotoria un piccolo esperimento con il paziente volta per volta, ci chiediamo sempre se per quel paziente funziona, avendo ben in testa che se non funziona si proverà qualcos’altro, trovando un’altra tecnica più adatta per lui.
SOM: quali sono nella sua esperienza clinica i pazienti che lavorano meglio con la psicoterapia sensomotoria?
Direi per due tipi di pazienti. Con i pazienti che hanno subito un trauma il lavoro sul corpo è estramamente efficace e diventa molto importante lavorare con la loro capacità di autoregolarsi, lavorare con la mindfulness e lavorare con le risposte somatiche di difesa estrema. Per il lavoro con questi pazienti trovo che le tecniche della psicoterapia sensomotoria siano molto efficaci.
Per quanto riguarda la seconda categoria, parliamo del lavoro sugli aspetti delle ferite di attaccamento, come ho già detto la teoria e la ricerca sull’attacamento sono estremamente orientati sul corpo, nel modo in cui il corpo della madre e del bambino comunicano tra loro, non credo, quindi, sia possibile lavorare con le ferite dell’attaccamento solo ad un livello astratto, credo che il lavoro vada fatto all’interno della relazione con il contatto oculare, con la relazione corpo a corpo, e c’è sempre il contatto oculare il tono di voce, la vostra postura che comunica un qualcosa al paziente e allo stesso modo il corpo del paziente vi sta dicendo qualcosa, che forse il paziente meglio non saprebbe esprimere.
Per cui il paziente deve imparare che il corpo in una relazione è la sostanza che trasmette il materiale necessario alla relazione stessa.
Ci sono due accenti nell’ambito della relazione terapeutica che secondo me vale la pena di studiare uno è quello di prendere le esperienze di attaccamento mancanti e di trasformarle in un esperimento con il paziente e ovviamente questo non lo si fa nel vuoto ma nel concreto nella relazione con il paziente.
Un altro modo di lavorare sul corpo è quello che pone l’accento sulla differenziazione, l’abilità di tollerare i propri stati interiori che vengono attivati in una relazione e di auto regolarli senza proiettarli sull’altro, lavorare con il proprio disagio interiore, lavorare sullo stress di stare in un ralazione, sullo stress di stare in una relazione intima, di far si che qualcun altro ci conosca profondamente e riuscire a rimanere aperti in questa esperienza.
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Molte delle nostre ferite di attaccamento nelle relazioni fanno si che le persone si chiudano a livello mentale emotivo e somatico e spesso le persone non sanno nemmeno di chiudersi a tutti e tre i livelli, quindi aprirsi di nuovo ed essere in contatto intimo con un’altra persona non comporta solo un elaborazione astratta, ma significa provarlo da dentro in una relazione e per molti la prima persona con cui la si
prova è proprio il terapeuta, quindi bisogna esperire in una relazione cosa significa essere aperti in una relazione, un po’ come in un laboratorio, non parliamo solo di relazioni, ma le mattiamo in pratica in vivo.
Tante riflessioni mi porto via da questo convegno e dalla chiacchierata che ho avuto la possibilità di fare con Kekuni: ritorna la Mindfulness e la possibilità di insegnare ai nostri pazienti a riflettere sul sé, sulle proprie emozioni e pensieri, aiutandoli ad aumentare la finestra di consapevolezza e di conseguenza aumentando le possibilità di scelta rispetto alle proprie azioni, passando non solo attraverso pensieri ed emozioni, ma anche e soprattutto attraverso l’esperienza corporea. Ritorna la relazione come veicolo importante di cambiamento.
Citiamo infine una frase di Van der Kolk “Finchè si è in grado di elaborare in parallelo o in duplice consapevolezza, non si viene ritraumatizzati. La corteccia prefrontale ci consente di avere questa presenza osservante ed essa deve essere coltivata con i pazienti. Ma essa non si coltiva facendo loro rivivere ripetutamente i traumi e facendoli abreagire, quando incoraggiamo la riesperienza spesso feriamo il paziente ancora di più”.
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