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Neuroetica delle Dipendenze – Report dal convegno di Trieste

Neuroetica delle Dipendenze - nel convegno di Trieste si è parlato di Dipendenze con l'apporto di diversi ambiti disciplinari e delle ultime ricerche

Di Massimo Zedda

Pubblicato il 14 Gen. 2019

Dal 3 al 5 dicembre 2018 si è svolto presso la SISSA (Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati) a Trieste la quarta edizione della Scuola Neuroetica delle Dipendenze curata dal Prof. Stefano Canali (Laboratorio Interdisciplinare per le Scienze Naturali e Umanistiche).

 

L’evento è stato organizzato in collaborazione con l’Osservatorio sulle tossicodipendenze della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia (Azienda per l’Assistenza Sanitaria n. 2 “Bassa Friulana-Isontina”), l’Università di Roma Tre, Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo, la Società Italiana Tossicodipendenze, la Società Italiana di Neuroetica e Filosofia delle Neuroscienze e infine con la Società Italiana di Storia, Filosofia e Studi Sociali della Biologia e della Medicina.

Dipendenze: l’importanza di un confronto interdisciplinare

Il razionale delle tre giornate riflette l’interesse degli specialisti del settore delle dipendenze verso le neuroscienze, le definizioni di malattie e l’impatto di esse nella collettività, confronto necessario ed importante per sviluppare linee di pensiero integrate e finalizzate a trattare al meglio i pazienti.

Sul sito dell’evento si legge che

L’affermazione delle neuroscienze sta diffondendo l’idea del primato del cervello e delle ricerche sul sistema nervoso per la comprensione della natura dell’uomo, dei suoi comportamenti normali o patologici, degli ambiti di autonomia e libertà, quindi di responsabilità dentro cui può muoversi un individuo nella sua normale vita di relazione, quando eventualmente si ammala e nel momento in cui accede al sistema di cura. Questa prospettiva è ulteriormente sostenuta dagli sviluppi delle neurotecnologie e della neurofarmacologia, che stanno proponendo strumenti di indagine sul cervello e di modulazione dei suoi stati sempre più potenti e potenzialmente efficaci in clinica e nella prevenzione dei disturbi del comportamento.

I relatori hanno presentato gli interventi attraverso la modalità frontale; la novità di questa edizione è stata l’introduzione di tavole rotonde successive ad ogni gruppo di interventi, promuovendo l’interazione pubblico/relatori, ponendo le basi per una modalità formativa in cui le risposte dei relatori risultano arricchenti e veicolano prospettive di lavoro, permettendo di uscire dal quadro canonico della lezione frontale ed inserendosi nella partecipazione attiva del pubblico verso i contenuti.

La necessità di un dialogo fra prospettive plurali, l’esigenza di coniugare vari approcci interdisciplinari, insieme alle tempistiche ridotte, hanno permesso interventi brevi ma precisi nel cogliere le criticità dei modelli, presentando soluzioni e aprendo ad un futuro ricco di nuove prospettive. Inoltre, i lettori hanno sperimentato la panoramica delle ricerche scientifiche attuali, gli argomenti chiave del dibattito odierno ed il ruolo che queste hanno sulla riflessione dello sviluppo dei futuri modelli di intervento.

Interventi maieutici, in grado di sviluppare nel pubblico linee di pensiero al di fuori del confine delle certezze e in grado di stimolare il dubbio che è alla base del processo di sviluppo dell’azione futura. Dubbio che non pone i professionisti nell’impossibilità dell’agire ma apre la strada a nuove e più raffinate modalità di accesso alla cura della sofferenza che i nostri pazienti portano.

Dipendenze: i contributi giunti a Trieste

Nello specifico, la scelta dei contenuti dei singoli interventi, dettata dalla volontà di rispondere a precise domande formalizzate e caratterizzanti l’edizione 2018, è stata proficua nonostante il limite temporale (da 15 a 20 minuti per relatore); in concerto con gli interventi del pubblico ha prodotto riflessioni di nota, alcune delle quali provo a sintetizzare.

Gli ultimi quarant’anni hanno visto svilupparsi e crescere l’interesse di cura verso gli individui con dipendenze, lo scenario clinico ha visto cambiamenti che sono stati descritti con la voce dell’esperienza sul campo. Per esempio, muovendosi inizialmente all’interno del paradigma riduzionista della psichiatria organicistica, attraverso lo sviluppo delle neuroscienze, si auspica ora la possibilità di un dibattito che renda conto dello sviluppo della neuroscienza cognitiva clinica e sia in grado di restituire nella clinica la fertilità dei risultati epistemologici conseguiti ad un livello sperimentale.

Ulteriore riflessione riguarda i servizi; strutturati esclusivamente per l’individuo dipendente da sostanze psicoattive, da circa 10 anni si rivolgono, in un’ottica preventiva, anche verso quel sottogruppo della popolazione caratterizzato dal consumo ma potenzialmente a rischio.

La trasmissione della cultura neurobiologica ha aiutato gli operatori a comprendere il funzionamento dei network cerebrali e la dinamica della biochimica all’interno del cervello, riducendo i pregiudizi e i giudizi di parte o moralistici verso i soggetti dipendenti.

Dipendenze e stigma sociale

A tal proposito, si è discusso molto sugli effetti dello stigma, sia dell’auto-stigmatizzazione sia della stigmatizzazione (es. il “tossico”), aspetti controversi, entrambi da ridurre nel contesto attuale. Sicuramente condividere le scoperte neurobiologiche contribuisce a ridurre determinati stigmi tra gli operatori in primis, ma è fondamentale che tali risultati siano estesi alla popolazione stessa. In questo senso, sembra particolarmente rilevante il ruolo della divulgazione scientifica con l’obiettivo di diffondere l’utilizzo di un linguaggio appropriato, nonché finalizzato alla responsabilizzazione del soggetto che fa uso di sostanze, attenuando la condizione di malato come scusante per i comportamenti messi in atto.

Nell’ottica storica, si ipotizzava che il soggetto dipendente esprimesse nell’uso e abuso di sostanze la perdita del controllo volontario del comportamento e che questo fosse associabile ad una “mancanza morale” o a un vizio del soggetto. Successivamente, la ricerca ha dimostrato e chiarito che anche gli individui con gravi dipendenze mostrano non solo di avere una visione complessa delle loro scelte, ma anche una capacità di gestione del loro rapporto con le sostanze in alcune situazioni. A tal proposito, in alcune nazioni i servizi hanno messo a punto delle strategie di rinforzo dell’auto-controllo erogando delle ricompense ai soggetti motivati a perseverare nell’astinenza; scelta difficile ma che contribuisce alla diminuzione nell’uso delle sostanze, insegnando che la perdita del controllo volontaria è un concetto confutabile. Se l’individuo mantiene il controllo della volontà, allora la dipendenza potrebbe essere definita al di fuori dei canoni di patologia mentale.

A sostegno, un elegante contributo, ha sottolineato come in passato si pensasse che l’azione controllata dal dipendente fosse regolata dalle conseguenze (Goal directed), cioè volta alla ricerca dell’incentivo, mentre attualmente si ipotizza sia determinata da stimoli abituali che la precedono.

Come ultima analisi storica, la cura della dipendenza è presentata attraverso l’ottica clinica, dove l’assenza di sintomatologia ha per molto tempo rappresentato l’obiettivo principale degli interventi, mentre oggigiorno si avverte la necessità, supportata dalla ricerca, di passare ad un “ottica riabilitativa”, con al centro il soggetto, la qualità della vita ed il suo funzionamento nella società, contesto nel quale dev’essere ben integrato, svolgendo attività lavorativa, sociale e relazionale in condizioni di astinenza.

Dipendenze: dall’obiettivo astinenza all’obiettivo recovery

La riabilitazione avrà quindi come obiettivo il recupero dell’equilibrio personale e relazionale, attraverso il concetto di guarigione funzionale (recovery).

In questo senso si è mosso il team che ha realizzato lo strumento per valutare il funzionamento del soggetto dipendente, l’icf-dipendenze che

Costituisce la prima applicazione italiana dell’ICF nell’ambito delle dipendenze patologiche. Prima che una dotazione di strumenti, si tratta di una prospettiva culturale e metodologica capace di rinnova profondamente l’approccio alla cura, gli obiettivi, le priorità di intervento, la collaborazione interprofessionale all’interno delle équipe.

Un ringraziamento particolare va riconosciuto ai pazienti curati dai servizi che volontariamente hanno portato la loro testimonianza rispetto alla propria storia di dipendenza dall’esordio alla guarigione, passando attraverso la consapevolezza e la cura degli operatori. Essi hanno raccontato i loro vissuti emotivi e le problematiche del pensiero desiderante insostenibile, mettendo in risalto le difficoltà riscontrate nell’uscita dalla dipendenza e nel mantenimento dello stato attuale senza ricadute nel craving, o come affrontarlo per arginare le possibili conseguenze delle eventuali recidive.

Le relazioni si sono alternate ad alcune comunicazioni libere proposte dai partecipanti, professionisti operanti nel territorio e ricercatori; a mio avviso, queste ultime hanno rappresentato un’occasione importante di condivisione tra i relatori e il pubblico, inclusi gli studiosi di fama nazionale ed internazionale che hanno preso parte alla Scuola, i quali hanno potuto esprimere un punto di vista informato su ricerche ed esperienze con le quali, altrimenti, non avrebbero modo di entrare in contatto. Un ulteriore esempio di valore aggiunto di cui la Scuola Neuroetica delle Dipendenze è fautrice privilegiata.

In ultima analisi sottolineo l’importanza di aver inserito nel piano organizzativo due cene di gruppo, durante le quali l’aspetto anche goliardico non ha oscurato ma amplificato la realizzazione della rete di contatti tra professionisti e permesso una maggiore conoscenza personale dei partecipanti. La splendida città di Trieste, con lo sfondo storico e culturale, ci ha accompagnato in brevi e piacevoli passeggiate dove la distanza interpersonale si è trasformata in collante di volontà espresso con modalità cooperativa e piacevolmente affascinate dalla ricerca della conoscenza.

La conclusione delle tre giornate di lavoro ha visto l’interesse condiviso del pubblico alla realizzazione di progetti di studio/intervento volti ad analizzare il fenomeno delle dipendenze in un’ottica di ricerca futura; i contributi dei vari professionisti e ricercatori andranno ad ampliare il quadro di conoscenza del fenomeno, oltre a proporre modalità di fronteggiamento del problema, sviluppare strategie per arginare le conseguenze e promuovere eventuali azioni di prevenzione.

Un ringraziamento particolare al Prof. Stefano Canali ed allo staff organizzativo per la realizzazione dell’evento.

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