Adolescenza e disagio psicologico nell’era digitale
Il tema del disagio psicologico adolescenziale è un argomento molto dibattuto. L’aumento dei disturbi come ansia, depressione e isolamento sociale tra i giovani porta a interrogarsi sul possibile ruolo che le tecnologie (in particolare i social) hanno sulla formazione dell’identità e del benessere emotivo delle nuove generazioni.
Secondo molti esperti, il tempo trascorso online e la modalità con cui i social vengono usati rappresentano fattori rilevanti, ma non gli unici. Altri elementi critici riguardano la difficoltà delle figure adulte a svolgere un’adeguata funzione educativa (di supporto emotivo e modello) e di mediazione tra i ragazzi e il mondo digitale (Lancini, 2024, 2025).
La giornata di molti ragazzi ruota attorno all’universo digitale e la vita online, di fatto, concorre alla formazione emotiva. Se per molti adolescenti stare in rete, scambiarsi contenuti e messaggi, può essere un elemento di apertura al mondo esterno, per altri invece i social possono contribuire a generare ansia perché espongono al giudizio dei like, senza controllo; i giovani, inoltre, possono trovarsi a gestire sollecitazioni non adeguate all’età. Tuttavia, la complessità dell’adolescenza richiede uno sguardo ampio: il disagio psicologico adolescenziale non può essere attribuito solo a queste cause ma è il risultato di più fattori correlati.
Comunicazione reale e virtuale
Jonathan Haidt nel libro la “Generazione ansiosa” (2024) individua almeno due fattori che concorrono alla disagio psicologico adolescenziale delle nuove generazioni: l’esposizione precoce e massiccia al mondo digitale e il prendere forma di un nuovo stile genitoriale (già alla fine degli anni ’80), più ansioso e protettivo, che limita l’autonomia dei figli nel mondo reale ma non li tutela adeguatamente in quello virtuale.
Il risultato, secondo l’autore, è una generazione fragile, cresciuta con minore autonomia e maggiore dipendenza dall’approvazione dei social. Haidt parla di una “Riconfigurazione dell’infanzia”, avvenuta tra il 2010 e il 2015, in coincidenza con l’ampia diffusione degli smartphone e dei social.
Uno degli aspetti messo in luce dall’autore è la differenza qualitativa tra le relazioni in presenza e quelle digitali. Nelle prime, la reazione emotiva dell’altro è immediata: ciò rende più semplice provare a chiarire eventuali malintesi e modulare l’interazione in tempo reale. Al contrario, nelle relazioni online, come nelle chat, gli scambi sono asincroni e rendono possibile nascondere le proprie reazioni. Si può evitare di far capire se un messaggio è stato letto, rimandare la risposta per riflettere su cosa scrivere o, volutamente, far intendere che il messaggio non è stato considerato importante. La comunicazione mediata consente così l’uso di “messaggi di copertura”, che interferiscono con la comprensione reciproca.
Social e fattori di rischio
Pur riconoscendo le problematicità che possono avere i social per i giovanissimi è opportuno chiedersi se siano sufficienti a spiegare il crescente malessere tra gli adolescenti; per alcuni esperti come, per esempio, Matteo Lancini la causa sarebbe più (o anche) da ricercare nella mancanza del supporto di un adulto che, inoltre, indurrebbe i giovani a cercare risposte online e quindi i due aspetti sono connessi. Sembra andare in questa direzione lo studio di Salerno et al. (2025) condotto sostiene che conta più il come vengono usati che il quanto. La ricerca ha indagato per sei mesi il nesso tra il tempo trascorso su Instagram e Tik Tok e lo stato emotivo: il 58% degli adolescenti sono risultati utilizzatori salutari, cioè usano i social in modo moderato (una o due ore al giorno) con un basso livello di disagio e nessun segno di dipendenza, il 25% invece sono stati definiti utilizzatori vulnerabili (usano i social sette-otto ore al giorno) perché hanno difficoltà a staccarsi dai social, controllano di continuo le notifiche e sono irritabili quando non possono connettersi; mentre il 16% è un utilizzatore intensivo (otto-nove ore al giorno) ma non mostra segni di dipendenza né di disagio psicologico.
Social e disagio giovanile: l’impatto nascosto dei contenuti
Tuttavia, quando si parla di social media, non basta considerare il tempo trascorso online: è fondamentale valutare anche la qualità dei contenuti. Come evidenzia l’articolo “Genitori contro TikTok: promuove tra i giovani contenuti nocivi”, gli adolescenti possono imbattersi in materiali violenti, dannosi o sessualmente espliciti anche senza cercarli. Questo può accadere perché gli algoritmi delle piattaforme digitali non si limitano a proporre contenuti sulla base delle abitudini dell’utente, ma tendono a privilegiare ciò che cattura l’attenzione o genera reazioni forti con il rischio di esporre anche bambini e adolescenti a stimoli che fanno leva su fragilità emotive o insicurezze, attivando pensieri o comportamenti potenzialmente dannosi in una fase delicata dello sviluppo (Rai News, 2024).
Per Jean Twenge (2022), psicologa esperta di adolescenza, i social possono contribuire a far emergere sintomi depressivi, ansia e insoddisfazione. Pertanto, non è importante solo il tempo passato sui social ma altrettanto come e cosa si guarda.
È essenziale, perciò, non essere fruitori passivi, ma sviluppare consapevolezza sul funzionamento dei social, anche dal punto di vista comunicativo; il loro uso, nelle fasi di crescita, richiederebbe un’attenta valutazione, così come ogni attività svolta in questa delicata fase della vita. Andrebbe promossa una maggiore consapevolezza degli adolescenti anche spiegando i rischi connessi ai social, così da ridurre gli effetti negativi sul piano emotivo e cognitivo.
Comprendere questi meccanismi è essenziale per proteggere sé stessi e accompagnare bambini e adolescenti verso un uso più critico e responsabile. Famiglia e scuola possono avere un ruolo chiave nel promuovere un uso più sicuro e consapevole.