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Relazioni e terapia razionale emotiva: come la REBT può aiutarci a gestire le nostre emozioni e le nostre relazioni

La Rational Emotive Behaviour Therapy (REBT) evidenzia come pensieri e le credenze disfunzionali influenzano le emozioni e le relazioni

Di Linda Confalonieri

Pubblicato il 19 Dic. 2024

Aggiornato il 20 Dic. 2024 10:56

L’intreccio tra emozioni e relazioni

Emozioni e relazioni sono profondamente interconnesse: le prime spesso nascono e si mantengono nelle relazioni, che a loro volta evolvono e sono influenzate dalle emozioni (Anolli, 2003).

Emozioni negative, difficoltà e sfide emotive sono dunque spesso parte imprescindibile delle nostre relazioni affettive, sentimentali o amicali. In alcune situazioni potremmo persino sentirci sopraffatti da un insieme di stati emotivi negativi persistenti, frequenti e abitudinari, come ad esempio ansia, rabbia, dolore, profonda tristezza, imbarazzo, colpa, vergogna, invidia e gelosia. 

Ad esempio: sentirsi ansiosi per il timore di perdere il partner pensando che potrebbe lasciarci per un’altra persona; provare ansia all’idea di comunicare i propri sentimenti e le proprie opinioni all’interno di una relazione; essere sopraffatti dalla gelosia e dal controllo dell’altro con aumento della rabbia, della frustrazione e dell’ostilità; sentirsi feriti interpretando alcuni comportamenti dell’altro come segnali di mancanza di interesse, di cura e di amore. 

Pensieri e credenze che attivano le emozioni

L’essenza della Rational Emotive Behaviour Therapy (REBT) è che i nostri pensieri e le nostre credenze sono alla base delle nostre reazioni emotive. Secondo Albert Ellis, se all’interno di una relazione amicale o sentimentale emergono pensieri e credenze disfunzionali (o per dirla con le parole di Ellis “Unhealthy”) su sé o sull’altro, allora tali pensieri si accompagneranno a stati emotivi e comportamentali altrettanto disfunzionali. 

Ma facciamo un passo indietro e distinguiamo cosa è una credenza funzionale da una disfunzionale. Secondo la REBT vi sarebbero 4 caratteristiche chiave che ci consentono di definire una credenza disfunzionale: la credenza in questione è rigida, illogica, non supportata da prove empiriche e fatti realistici o falsa, e per nulla utile agli scopi e al benessere dell’individuo. Alla base delle credenze disfunzionali ritroviamo richieste imperative e il dialogo interiore è colmo di doverizzazioni rivolte al sé, all’altro, al mondo: “Lui deve rispondermi subito al messaggio”, “Le cose devono andare in un certo modo”. 

Le credenze funzionali, e quindi più sane, sono flessibili, logiche, aderenti alla realtà e utili per gli scopi e il benessere della persona. La versione funzionale e quindi “più sana” suonerebbe quindi in questi termini: “vorrei tanto che lui mi rispondesse immediatamente ai messaggi; tuttavia, posso tollerarlo e non significa che non mi ami”. Alla base della credenza funzionale vi è una preferenza, “un vorrei”, e non una rigida doverizzazione. 

Le credenze disfunzionali nelle relazioni

Molteplici credenze altamente disfunzionali possono sostenere pattern emotivi e comportamentali problematici a diversi livelli all’interno delle relazioni. Basti pensare a frasi come “Non posso sopportare quando un mio amico è in disaccordo con me, devo assolutamente evitare che questo accada”, “Non potrei sopportare l’idea che lui mi lasci”, “Senza di lui io non potrei sopravvivere e nulla avrebbe più senso”, “Se non ho un partner significa che non valgo nulla/ho qualcosa che non va”. 

Queste credenze disfunzionali chiaramente sono interconnesse all’autostima, all’idea che la persona ha di sé e dell’altro, spingono la persona verso modalità di relazione e di comportamento che possono essere disfunzionali: ad esempio, il dipendente affettivo si porta dentro dolorose credenze disfunzionali di scarso valore, incapacità e scarsa autonomia che si legano a intense angosce abbandoniche, comportamenti dipendenti ed eccessivamente compiacenti, repressione della soddisfazione dei propri bisogni individuali e sensi di colpa ingiustificati. Su tali meccanismi bisogna agire a livello terapeutico: una recente review ha indicato, oltre ad altri approcci, anche la terapia cognitivo-comportamentale (CBT) può essere indicata come un potenziale trattamento delle condizioni di dipendenza affettiva (Ozal, et al., 2023; Sanches et al, 2019) con al centro un lavoro sui pensieri disfunzionali e sulla disregolazione emotiva

Interrogandoci se i nostri pensieri siano disfunzionali o meno, e quindi attraverso la fine revisione e il faticoso lavoro di ricostruzione delle nostre credenze disfunzionali, possiamo quindi agire sulle emozioni e sui nostri comportamenti che tanto impattano nelle nostre relazioni personali. In tal senso, regoliamo le emozioni e recuperiamo maggiori margini di agire consapevolmente per favorire il nostro benessere all’interno della relazione. In alcuni casi, questo passaggio può essere complesso e doloroso ed è quindi essenziale richiedere un aiuto specialistico a livello psicoterapico per poter lavorare sul proprio benessere e sulle proprie modalità di vivere le relazioni affettive, amicali, familiari e sentimentali. 

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Linda Confalonieri
Linda Confalonieri

Redattrice di State of Mind

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