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Jamais vu: quando qualcosa di familiare diventa stranamente nuovo

Il jamais vu è un’esperienza unica che rivela i meccanismi complessi della percezione e della memoria. Qual è il suo significato?

Di Caterina Borgese

Pubblicato il 13 Dic. 2024

Cos’è il jamais vu?

Il jamais vu è un fenomeno psicologico in cui una persona sperimenta una sensazione di estraneità pur trovandosi in una situazione familiare (Moulin et al., 2021). In altre parole, di fronte ad uno stimolo già noto si ha l’impressione di sperimentare qualcosa di nuovo; il termine, infatti, deriva dal francese e può essere tradotto con l’espressione ‘’mai visto prima’’. 

Quotidianamente può accadere di sperimentare la fugace sensazione che il volto di una persona familiare sia improvvisamente diverso o strano. Tuttavia, l’esperienza più comune di jamais-vu è quella relativa alle parole: in seguito alla ripetizione scritta o orale di una determinata parola per noi familiare, abbiamo la sensazione (seppur breve) che ciò che abbiamo scritto o detto, sia inspiegabilmente sbagliato o strano (Moulin et al., 2021). 

Deja-vu e jamais-vu a confronto

Il jamais vu è generalmente considerato l’opposto del déjà-vu. L’esperienza del déjà-vu si verifica quando la persona percepisce un nuova situazione che sta vivendo come familiare. Questo marcato senso di familiarità emerge nonostante non ci siano prove concrete ad indicare che la situazione sia già stata vissuta in passato (Burwell & Templer, 2017). Il deja-vu viene solitamente considerato come un’illusione derivante da un breve periodo di attività anomala nelle strutture legate alla memoria (O’Connor & Moulin, 2010). 

Sia il déjà vu che il jamais vu vengono spesso descritti come sintomi nell’epilessia e nell’emicrania (Bigal et al., 2003). Rispetto al déjà-vu, il jamais vu è meno comune nelle popolazioni normali e molto più diffuso in alcune condizioni neuropsichiatriche (Burwell & Templer, 2017).

Perché sperimentiamo il jamais vu?

La letteratura sul jamais vu è radicalmente diversa da quella sul déjà vu, infatti sono pochi gli studi scientifici sull’argomento che hanno tentato di delineare una teoria comune.

In uno dei primi esperimenti, pur non menzionando direttamente il jamais vu, Severance e Washburn nel 1907 presentarono a sei partecipanti una serie di parole da osservare per alcuni minuti. I ricercatori riferirono che, col passare del tempo, le parole venivano percepite come strane e prive di significato. In modo analogo, Titchener (1919) ha chiesto ai partecipanti di ripetere a voce alta una parola per più volte. Il risultato ottenuto è stato simile: dopo poco tempo, i soggetti riferivano che il suono della parola perdeva il suo significato e risultava vuoto. Questo fenomeno fu successivamente definito ‘’sazietà semantica’’, che può verificarsi a seguito di ripetizione verbale, prolungata ispezione visiva oppure scrittura ripetuta della parola-stimolo (Smith & Klein, 1990). Secondo Balota e Black (1997) sperimentiamo la sazietà semantica perché l’elaborazione eccessiva di uno stimolo porta all’assuefazione. Il recente studio di Moulin e colleghi (2021) ha confermato che la sazietà semantica rappresenta il processo cognitivo alla base del jamais vu.

Inoltre, van der Hoult e colleghi (2008) hanno esplorato le basi cognitive dei comportamenti di controllo ripetuti associati al disturbo ossessivo-compulsivo. Secondo gli autori,  l’esecuzione di comportamenti ripetitivi risulta controproducente per la memoria, poiché paradossalmente tendiamo ad avere meno fiducia verso gli elementi che abbiamo verificato più volte. 

Il jamais vu, dunque, ci indica che qualcosa è diventato eccessivamente automatico, fluido o ripetitivo. In tal senso, la sensazione di irrealtà sperimentata funge da meccanismo di controllo della realtà. Ciò accade perché i nostri sistemi cognitivi devono rimanere flessibili, consentendoci di concentrare l’attenzione dove necessario piuttosto che perderci in compiti ripetitivi per periodi prolungati. 

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Caterina Borgese
Caterina Borgese

Redattrice di State of Mind

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Moulin, C. J. A., Bell, N., Turunen, M., Baharin, A., & O’Connor, A. R. (2021). The the the the induction of jamais vu in the laboratory: word alienation and semantic satiation. Memory (Hove, England), 29(7), 933–942.
  • Burwell, R. D., & Templer, V. L. (2017). Jamais vu all over again. Nature neuroscience, 20(9), 1194–1196. 
  • O’Connor, A. R., & Moulin, C. J. (2010). Recognition without identification, erroneous familiarity, and déjà vu. Current psychiatry reports, 12(3), 165–173. 
  • Severance, E., & Washburn, M. F. (1907). The loss of associative power in words after long fixation. The American Journal of Psychology, 18, 182-186.
  • Titchener, E. B. (1919). A textbook of psychology. New York, NY: Macmillan.
  • Smith, L., & Klein, R. (1990). Evidence for semantic satiation: Repeating a category slows subsequent semantic processing. Journal of Experimental Psychology: Learning, Memory, and Cognition, 16, 852–861.
  • Balota, D. A., & Black, S. (1997). Semantic satiation in healthy young and older adults. Memory & Cognition, 25(2), 190-202. 
  • van den Hout, M. A., Engelhard, I. M., de Boer, C., du Bois, A., & Dek, E. (2008). Perseverative and compulsive-like staring causes uncertainty about perception. Behaviour Research and Therapy, 46, 1300–1304
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