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Il segreto del grande musicista: la pratica, il flow e imparare a “lasciare andare”

Una recente ricerca ha esplorato gli aspetti neurobiologici del flow in un gruppo di jazzisti durante la fase di improvvisazione

Di Gaspare Palmieri

Pubblicato il 31 Ott. 2024

Il fenomeno del flow

Vi è mai capitato di trovarvi così assorbiti nel fare qualcosa, che il mondo esterno sembra scomparire e il tempo pare non esistere? Probabilmente sì, e sicuramente questo fenomeno succede spesso agli artisti e ai creativi, musicisti in primis, ma anche ad atleti e a tante altre persone che sperimentano il cosiddetto stato di flow

Il flow è stato concettualizzato per la prima volta dallo psicologo ungherese Mihaly Csikszentmihalyi (1990), come una condizione mentale in cui una persona è talmente coinvolta nell’attività che sta svolgendo, che sembra non esistere nient’altro all’infuori di essa; l’attività diventa così soggettivamente piacevole che si potrebbe protrarla a lungo, anche solo per il gusto di farla. Quando si è nel flow ci si sente focalizzati, concentrati, ma piacevolmente rilassati allo stesso tempo, in grado di produrre risultati senza apparenti sforzi.

Il flow e uno studio su musicisti jazz

Gli aspetti neurobiologici di questo fenomeno non sono ancora chiari, tuttavia un recente studio di un gruppo di ricercatori dell’Università di Drexel (Rosen et al., 2024)  ha esplorato il flow in un gruppo di jazzisti durante la fase di improvvisazione. 

Lo studio mostra come entrare in stato di flow sia più facile per musicisti esperti  che abbiano maggiore possibilità di “lasciarsi andare”, dando la possibilità di funzionare a circuiti cerebrali specializzati, con una ridotta supervisione della coscienza. 

Non vi è ancora chiarezza su come possa avere origine questo stato, alcune teorie ipotizzano che si tratti di uno stato di iper-focalizzazione che esclude le distrazioni esterne, consentendo performance aumentate (Harris et al., 2017). Secondo altre sarebbe il risultato di una combinazione di una grande esperienza e una volontaria riduzione della supervisione conscia, che consentirebbe la conduzione di processi più intuitivi ed automatici (Bashwiner et al., 2016). 

Nella ricerca sono stati inclusi trentadue chitarristi jazz di differente livello di esperienza, il cui cervello è stato studiato tramite Elettroencefalogramma (EEG). Creando una simulazione di un concerto live, è stato chiesto loro di improvvisare su sei basi musicali jazz preregistrate di diverso grado di difficoltà, in modo da permettere a tutti i musicisti di potersi esprimere al meglio delle proprie possibilità. Al termine dell’improvvisazione è stata somministrata una scala di autovalutazione, la Core Flow State Scale, che misura il livello di flow percepito durante la performance da parte dei musicisti. 

Quattro jazzisti esperti hanno poi valutato in modo cieco tutte le improvvisazioni registrate, considerando creatività, gusto estetico e perizia tecnica. 

Tramite l’EEG è stata misurata l’attività cerebrale dei musicisti durante la performance, per capire in particolare le differenze di attività nella fasi di alto e basso flow, tenendo presente il livello di esperienza dell’artista. 

È stata posta particolare attenzione alle aree cerebrali implicate nel processo uditivo, tattile e controllo esecutivo, per confermare l’ipotesi che lo stato di flow comporti una riduzione nella supervisione della coscienza, che si concretizza nella possibilità di suonare in modo meno controllato, più spontaneo e intuitivo. 

L’analisi dei dati ha mostrato come negli stati di alto flow, come confermato dai musicisti nei self-report, si manifesta un aumento dell’attività nelle regioni cerebrali dell’emisfero sinistro implicate nel processo uditivo e tattile, che ovviamente sono di importanza cruciale durante l’esecuzione musicale, confermando come un alto livello di “assorbimento” sul piano sensoriale sia una componente importante dello stato di flow

Quando siamo nel flow si verificano dei cambiamenti a livello dell’attività cerebrale, in particolare nella regione frontale che riveste un ruolo importante nello sviluppo della consapevolezza, delle funzioni esecutive e motorie. 

Questo fenomeno prende il nome di ipofrontalità transitoria, una riduzione dell’attività della corteccia prefrontale, che si caratterizza per una minore guida del sistema cognitivo e consente l’esecuzione di un compito in modo più fluido e intuitivo. 

I musicisti più esperti hanno mostrato anche una ridotta attività del cosiddetto Default Mode Network, una modalità di funzionamento cerebrale che si attiva quando produciamo pensieri autoreferenziali, quando recuperiamo memorie autobiografiche, quando la mente vaga e quando non siamo focalizzati sugli stimoli ambientali. 

Nonostante le limitazioni metodologiche associate al solo utilizzo dell’EEG, lo studio ha mostrato come i musicisti più esperti raggiungessero più facilmente alti stati di flow. Tale osservazione rivela come l’esperienza in una certa attività, e soprattutto la pratica, possano portare la persona ad assumere una tale sicurezza nel gesto artistico, che diviene quasi spontaneo, riuscendo appunto a lasciare andare tutto il resto. 

Alcune considerazioni sul flow

Questi risultati possono avere delle ripercussioni pratiche sulla formazione artistica per lo sviluppo di idee creative: da una parte la pratica, che porta ad acquisire la competenza tecnica e la sicurezza in quel campo specifico, dall’altra parte allenare la capacità di ritirare il controllo cognitivo (lasciare andare), quando è stata raggiunta la competenza sufficiente. 

Queste conclusioni ricordano le famose parole del grande jazzista Charlie Parker il cui motto era “Devi imparare il tuo strumento. Quindi fai pratica, fai pratica, fai pratica. E poi, quando finalmente arrivi sul palco dell’orchestra, dimentica tutto e suona e basta”. 

Anche il grande produttore musicale Rick Rubin nel suo bellissimo libro sulla creatività (2023) ipotizza un processo simile quando scrive “Spesso le idee più innovative arrivano da persone che padroneggiano le regole a tal punto da riuscire a scavalcarle … oppure da quelli che non le hanno mai imparate”. 

Lo studio presenta alcune limitazioni rispetto all’utilizzo del solo EEG per la valutazione neurologica, sicuramente l’uso di tecniche più sofisticate come la risonanza magnetica funzionale (fMRI) potrebbe fornire ulteriori elementi interessanti. 

Riferimenti Bibliografici
  • Bashwiner, D.M., Wertz, C.J., Flores, R.A., Jung, R.E. (2016). Musical creativity revealedin brain structure: interplay between motor, default mode and limbic networks. Sci. Rep. 6 (1), 18. 
  • Csikszentmihalyi, M. (1990). Flow. The Psychology of Optimal Experience. Harper Perennial, New York, NY.
  • Harris, D.J., Vine, S.J., Wilson, M.R. (2017). Neurocognitive mechanisms of the flow state. Prog. Brain Res. 234, 221243.
  • Rosen, D., Oh, Y., Chesebrough, C., Zhang, F.(Z.), Kounios, J. (2024). Creative flow as optimized processing: Evidence from brain oscillations during jazz improvisations by expert and non-expert musicians, Neuropsychologia, Volume 196, 108824. 
  • Rubin, R. (2023). L’atto creativo: un modo di essere. Mondadori
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