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“Crisalide”, la LIBET tra le righe di una storia di Anna Metcalfe

Grazie alla narrazione di tre personaggi, "Crisalide” ci offre la possibilità di analizzare in chiave LIBET la vita della protagonista

Di Milvia Spinetta

Pubblicato il 04 Lug. 2024

Crisalide: presentazione dei personaggi in chiave LIBET

Mi piaceva guardarla. All’inizio non se ne accorgeva o non gliene importava niente. Non faceva mai come fanno certe persone, che quando qualcuno le guarda lo sentono – una zona calda sul viso o sul collo – e poi, senza neanche farci caso, si girano. L’aveva imparato. Faceva parte del suo grande progetto, restare il più immobile possibile. Diventare inamovibile.

L’incipit di “Crisalide” di Anna Metcalfe ci porta nel cuore di una relazione – quella di Elliot con la protagonista – e dentro alcune modalità di questa donna di cui, una volta terminato il libro, ancora non so il nome perché non viene citato. Se è vero che un libro di narrativa pura ha poco a che fare con la psicoterapia, è anche vero che se sei psicoterapeuta di professione, non smetti di esserlo del tutto se ti piacciono i libri e li leggi per diletto. Ed è tra le pagine di un buon libro che arrivano i collegamenti e inizi a pensare: “questo è un piano semi-adattivo? Il tema potrebbe essere quest’altro?”. 

E’ pazzesco come la narrativa sappia creare significati e ponti di connessione in maniera spontanea e naturale sui temi dolorosi di cui le persone parlano quando fanno psicoterapia e che gli psicoterapeuti cercano di inquadrare in maniera clinica.

Ma senza indugiare oltre, andiamo al cuore di questa storia. Non sappiamo il nome di questa protagonista e, per come è strutturata la storia, se ne colgono le emozioni e i punti di vista solo attraverso la narrazione di tre personaggi. Il primo, Elliot comincia ad ammirarla nelle sale di una palestra, innamorandosene: si domanderà dove sarà andata a finire quando lei non si allenerà più per un po’ di tempo, la ritroverà, la avrà per qualche  sfuggente settimana perché inizieranno una breve storia d’amore, dopo gli toccherà ammirarla solo attraverso lo schermo di un social perché lei sparirà senza apparente motivo. 

Gli psicologi ti dicono di trovare una narrazione, di costruire una storia intorno alla tua tristezza. Ma quando succede una cosa che ha perfettamente senso, che comprendi in maniera assoluta, allora non sai più dove sbattere la testa. Non esiste nessun viaggio terapeutico, nessun momento epifania, solo una scalata lenta e deprimente fino all’accettazione. E’ molto più difficile che imparare a raccontarsi delle storie su persone che in passato ti hanno ferito. Significa riconoscere che, per loro, eri insignificante, un ostacolo sulla loro strada (Elliot).

Il secondo personaggio è il mio preferito: Bella, la madre della protagonista. Qui si parla di genitorialità, delle difficoltà di una madre che cresce da sola la sua bambina: in questa parte ci sono tutte le informazioni per cogliere e ipotizzare i processi di apprendimento all’interno di concettualizzazione LIBET. La protagonista da bambina non frequentava altri luoghi oltre alla sua casa col giardino, finché non iniziò ad andare prima all’asilo e dopo a scuola, dove aveva frequenti crisi, iniziava a tremare non riuscendo a smettere. La madre la portò da pediatri, neuropsichiatri infantili, psicoterapeuti, senza che mai si trovasse una spiegazione a queste manifestazioni sintomatologiche. Bella è una madre affaticata e ritirata dal mondo – lavorava da casa e non frequentava altre persone o luoghi. Ha sempre cercato di ascoltare sua figlia, questo bisogna concederglielo. Non è reso esplicito nel testo, ma è forse una mamma spaventata, che si protegge dal mondo creando un nido tutto suo. 

Con lei in casa, ho scoperto di avere iniziato quel genere di vita che avevo sempre sperato ma a cui da sola non ero mai arrivata (Susie).

Il terzo personaggio che ci regala il suo punto di vista è l’amica Susie. Colleghe di lavoro, sarà lei ad aiutare la protagonista della storia quando quest’ultima dovrà affrontare una separazione dolorosa e partirei a concettualizzare proprio da questo punto: l’evento invalidante. La protagonista, ovvero la Crisalide della nostra storia, arriverà al culmine di una relazione violenta: il compagno con cui convive la manipolerà, sminuendo le sue competenze di fronte ai colleghi che hanno in comune e dicendole di rinchiudersi per ore o giorni – a discrezione di lui – dentro a una soffitta di casa, senza telefonino, talvolta senza cibo o possibilità di andare in bagno. E lei non se ne lamenterà mai, proprio come faceva a scuola quando le compagne la bullizzavano e lei infine le difendeva e prendeva le loro parti, “alleandosi col nemico” forse per non sentirsi debole? Per farsi accettare?

Quando le veniva fatto un torto, mia figlia acquistava potere. Si ergeva dalla parte della ragione e la usava come arma (Bella).

Ma a un certo punto della relazione con questo compagno violento si romperà il piano della nostra Crisalide: l’iper accondiscendenza (o dipendenza affettiva, che suonerebbe più come sintomo in realtà). E partirà nella sua mente quello che io ho individuato come tentativo di protezione da ogni dolore: lei inizierà a sfruttare le poche relazioni che ha con gli altri – più precisamente con Elliot, Susie e la madre. E lo farà per raggiungere i suoi obiettivi: allontanarsi dalla situazione invalidante (andrà a stare dalla sua amica Susie per un po’, avanzando richieste a livello materiale), “mettersi addosso” più muscoli possibili attraverso allenamenti intensissimi (la relazione col suo compagno di palestra Elliot sembra essere molto di ispirazione a questo) e isolarsi da tutti, diventando molto popolare sui social per le sue performance di controllo fisico assoluto. 

Crisalide: l’esordio psicopatologico

La determinazione con cui la Crisalide perseguirà i propri obiettivi e l’aiuto indiscusso che prenderà dagli altri si ricollega al controllo sociale e, clinicamente parlando, l’esordio psicopatologico che si potrebbe leggere tra le righe in questa storia profuma di funzionamento narcisistico di personalità (un funzionamento che non ci è tanto dato di chiarire se fosse presente prima nella vita della protagonista, se non pochi e poveri cenni).

I tre personaggi si sentiranno terribilmente attratti dalla Crisalide, la ammireranno e asseconderanno in situazioni di vita quotidiana in cui viene assodato che lei può non dare spiegazioni: sembra che il suo piccolo mondo le ruoti intorno e che lei ne definisca il centro. Seppur si trovi in una situazione poco carina dopo la rottura con il compagno, saprà volgere le difficoltà in una direzione chiara e univoca, come se avesse un intento di girare con fatica ma determinazione la medaglia del suo rapporto con gli altri, seguendo un pensiero che potrebbe suonare così: “se sono stata schiacciata a terra, d’ora in avanti non darò possibilità a nessuno di replicare, anzi… vi, inchinerete voi a me e vi assicuro che non ne potrete fare a meno”. Potrebbe essere questo un aspetto di metacontrollo? Senza dover chiedere a voce troppo alta, le persone intorno a lei automaticamente le daranno ciò di cui lei ha bisogno, considerando ciò un privilegio vero e proprio.

Anche virtualmente, senza sentirne l’odore o senza toccarla, lei esercita un potere sulle persone che la incontrano; una volta che l’hai conosciuta, è difficile tornare alla vita di prima.

Crisalide: il tema doloroso

Il tema doloroso sembra essere legato a emozioni come paura e allarme, che emergono fugacemente nel testo e mi riconducono a minaccia e incapacità; in alternativa si potrebbe leggere tra le righe una vergogna, un senso di indegnità, un senso di esclusione: andrebbe indagato meglio. Come la protagonista si “protegge” dal tema? Usare le relazioni sociali per i propri scopi, costruire un corpo enormemente muscoloso, mangiare sano fino all’ultimo chicco di riso, ritirarsi dal mondo e aprire un canale social… rimanere immobile per ore in performance che ispireranno e faranno il giro di tutto il mondo (in contrasto a tutte le crisi di tremori di cui soffriva da piccola, e talvolta anche da adulta): questi sono i piani semi-adattivi, di cui il controllo assoluto del corpo mi sembra che occupi il trono regale. Chissà che non ricerchi in quella fermezza anche l’immobilità della mente? Chissà cosa dice la sua mente, che nella storia non parla mai direttamente.

Spesso mi interrogo sui suoi follower, su quel che vogliono da lei. Forse desiderano possedere un corpo altrettanto immobile e forte; forse la vedono come una persona che ha imparato a non lasciarsi toccare dal resto del mondo.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Metcalfe, A. (2024). Crisalide. Ada Arduini
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