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Vivere dopo la morte: clonazione digitale e risvolti etici

Attraverso la clonazione digitale si crea una copia digitale della mente di una persona, dando vita a un'immortalità digitale che supera la barriera della morte fisica

Di Annalisa Balestrieri

Pubblicato il 30 Apr. 2024

Cos’è la clonazione digitale?

La clonazione digitale è una tecnologia emergente che coinvolge algoritmi di apprendimento automatico attraverso i quali diventa possibile manipolare audio, foto e video in modo così realistico da rendere estremamente difficile distinguere ciò che è reale da ciò che invece non lo è.

Si tratta di tecnologie disponibili al pubblico che possono portare benefici ma stanno creando non poche preoccupazioni da un punto di vista etico e legale.

Come funziona la clonazione digitale

Per dar vita a un clone è necessario alimentare l’algoritmo con numerosi video e registrazioni vocali che gli insegnino a creare un duplicato esatto dell’originale. Questo clone digitale personalizzato consiste in una replica di tutti i dati e comportamenti noti di una persona, in grado di replicarne scelte, preferenze, tendenze comportamentali e processi decisionali. 

L’ultima frontiera di questa evoluzione tecnologica si sta rivolgendo alla clonazione digitale con lo scopo di creare un’immortalità digitale che consente al defunto di continuare a vivere nel cyberspazio. Non solo catturando la presenza visiva di qualcuno che non c’è più ma anche il suo modo di comportarsi, il suo atteggiamento e le sue capacità cognitive. Si crea una copia digitale della mente di una persona, dando vita a un’immortalità digitale che consente di continuare a interagire con i propri cari anche dopo la morte, superando la barriera della morte fisica.

Quali sono le implicazioni della clonazione digitale?

Tra le principali perplessità e le potenziali preoccupazioni che queste tecnologie portano con sé troviamo la violazione dei dati e della privacy personale. Anche ammettendo che il defunto avesse in vita dato il consenso alla creazione di un suo clone digitale, non può essere stato in grado di autorizzare tutte le azioni future che un clone digitale potrebbe intraprendere sostituendosi a lui.

Senza contare la possibile creazione di deepfake, cioè le manipolazioni intenzionali. Considerando che le app capaci di offrire questi servizi sono potenzialmente a disposizione di chiunque, diventa difficile difendersi da un eventuale uso malizioso delle stesse. Questo non solo invade la privacy dell’individuo ma solleva anche varie preoccupazioni etiche.

E cosa dire dei risvolti psicologici? Continuare a interagire con i propri cari defunti come può incidere sulla capacità di elaborare il lutto? Con quali conseguenze?

Domande a cui è ancora difficile dare risposte ma che creano inquietudine e preoccupazione.

Come difendersi dal deepfake?

Se in linea di massima possiamo aver definito i possibili rischi di queste tecnologie, la difficoltà arriva nel momento in cui si cerca di dare un contorno giuridico a queste pratiche al fine di farle rientrare in uno specifico ordinamento in grado di sanzionare i comportamenti scorretti.

Diffondere deepfake può causare danni non solo in termini economici ma soprattutto in termici psicologici ed etici.

La protezione contro queste minacce si può pensare creando un modo per poter analizzare o rilevare l’autenticità di un video ma parallelamente sarà indispensabile intervenire con apposite leggi che regolino l’uso di queste nuove tecnologie perseguendo ogni abuso.

Siamo favorevoli alla clonazione digitale e alla “resurrezione virtuale”?

Un interessante studio è stato condotto negli Stati Uniti da Masaki Iwasaki, docente dell’Università Nazionale di Seul, e successivamente pubblicato sull’Asian Journal of Law and Economics. Ha coinvolto un campione di 222 soggetti di diversa età, grado di istruzione e livello socio economico. Alle persone coinvolte è stato descritto uno scenario immaginario nel quale si ipotizzava che una giovane donna fosse morta in un incidente stradale. Parenti e amici, provati da questa perdita, stavano valutando se ricorrere all’intelligenza artificiale per farla rivivere come androide digitale.

A questo punto è stata introdotta una variante: a metà dei partecipanti è stato detto che in vita la donna non aveva espresso il consenso a un’eventualità del genere, all’altra metà è stato invece detto che l’aveva fatto.

Il risultato è stato che il 97% di chi rientrava nel primo gruppo ha ritenuto sconveniente resuscitarla digitalmente senza che lei avesse esplicitamente espresso questa intenzione, mentre il 58% del secondo gruppo si è detto favorevole, in considerazione del fatto che ci fosse un consenso scritto dell’interessata.

Successivamente la ricerca si è spostata su un piano personale, chiedendo al campione coinvolto se nel loro caso sarebbero stati favorevoli a essere virtualmente “resuscitati”. Il 59% si è detto contrario a dare il consenso e, dato forse ancora più significativo,  il 40% ha ritenuto che la clonazione digitale sia inaccettabile in ogni caso, spiegando la loro posizione con motivazioni di tipo etico, religioso e psicologico, e sostenendo la necessità di affrontare un corretto processo di elaborazione del lutto.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Maras, M.H. Determining authenticity of video evidence in the age of artificial intelligence and in the wake of Deepfake videos. Consultato online qui. 
  • Masaki, I. (2023). Digital Cloning of the Dead: Exploring the Optimal Default Rule. Consultato on line qui. 
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