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Vinicio Capossela e le ultime note della canzone d’autore

Vinicio Capossela con la sua musica può essere considerato forse uno degli ultimi rappresentanti della canzone d'autore

Di Gaspare Palmieri

Pubblicato il 09 Feb. 2024

La musica e le canzoni d’autore

Il mondo della musica e in particolare quello della canzone stanno cambiando vorticosamente, allo stesso ritmo con cui il nostro mondo e le nostre vite stanno cambiando a causa della rivoluzione digitale. 

La portabilità della musica iniziata con i walkman a pile negli anni 80 si è evoluta nello streaming su smartphone, auto, computer, portando praticamente e potenzialmente la musica ovunque. Un dato che mi ha sorpreso parecchio qualche mese fa è stato apprendere che Spotify, la principale e più utilizzata piattaforma per ascoltare musica e podcast, rilascia oltre centomila nuovi brani al giorno. Se ci pensiamo sono un’enormità, rispetto all’epoca in cui si usavano dischi e CD, rappresentando una produzione musicale anche superiore alle richieste. 

Se guardiamo alla musica italiana, i record di ascolti vengono detenuti dagli artisti rap e trap, il nuovo linguaggio musicale di cui giovani e giovanissimi si nutrono quotidianamente e da molti criticato perché considerato diseducativo per alcuni contenuti ricorrenti come sessismo (appellativi come puta, bitch), riferimenti a uso di sostanze stupefacenti (soprattutto cannabis), idolatria del denaro e della ricchezza ostentata (il cosiddetto cash, auto e firme di lusso). 

Che piaccia o no il rap è il principale codice musicale del nostro tempo, che è stato riconosciuto anche da un’antica istituzione come il Club Tenco, che nel 2022 ha conferito sorprendentemente la Targa Tenco come “miglior album in assoluto” a Marracash. 

Ma qualcuno può chiedersi: esiste ancora la cosiddetta “canzone d’autore”, una definizione nata nel 1969 dal giornalista Enrico De Angelis, per identificare un tipo di canzone diversa da quelle nate per soli fini commerciali e dotata di un’intenzione artistica più sofisticata, alla stregua di un film d’autore rispetto a un cinepanettone per intenderci. La canzone d’autore è una canzone che ti può far pensare a temi esistenziali, che può portarti a farti delle domande, a differenza di un altro tipo di brano commerciale la cui finalità è intrattenerti o distrarti dalla tua quotidianità, cosa comunque utile e da non sottovalutare. 

Mi ricordo una volta in cui ebbi la fortuna di pranzare con Francesco Guccini in un ristorante e un fan si avvicinò per chiedere un autografo e salutarlo dicendogli “Grazie Francesco, le tue canzoni mi hanno insegnato a pensare…”. Ecco, le canzoni d’autore, come certi film o certi libri possono davvero aiutarti a pensare, divenendo passaggi importanti della tua formazione o crescita personale, come va più di moda dire oggi. 

La canzone d’autore e Vinicio Capossela

Uno degli ultimi rappresentanti di questo genere ormai un po’ demodé è Vinicio Capossela, che nell’aprile 2023 è uscito con l’album Tredici canzoni urgenti”, vincitore a sua volta della Targa Tenco come miglior album del 2023.   

Conosco e seguo Vinicio fin dal primo album All’una e trentacinque circa”, un disco uscito nel 1990, grazie all’aiuto di Francesco Guccini e Renzo Fantini (compianto Manager di Francesco e Paolo Conte). 

Allora avevo sedici anni e Vinicio muoveva i primi passi musicali proprio da Modena, insieme ad alcuni musicisti jazz della zona e l’idea di avere così vicino a noi uno che ce l’aveva fatta, che dal circolo Arci di provincia era passato alle case discografiche, ci rendeva un po’ più orgogliosi della nostra “piccola città, bastardo posto” di gucciniana memoria, fino quasi a gasarci un po’. 

Credo che valga la pena soffermarci un attimo su quest’ultima opera di Vinicio, tralasciando per oggi le altre novantanovemila canzoni che usciranno, partendo proprio da una dichiarazione di Vinicio a riguardo: Sono canzoni che riguardano un mondo irragionevole e in fase di trasformazione. Viviamo un’epoca fatta di emergenze civili, umanitarie, sessiste, fasciste, xenofobe, ambientali. Siccome sono le emergenze a muoverci a qualche forma di reazione, l’urgenza di questi brani è la risposta all’atomizzazione della società che oggi sembra ridotta all’individuo, persino se si parla di istituzioni o di geopolitica”. 

Una delle prime cose che colpisce al primo ascolto di questo disco è proprio la dimensione politica e sociale delle canzoni, in un mondo musicale (in particolare nel rap-trap) dove tutti raccontano sé stessi, il proprio ego, i propri sogni, i propri amori, le proprie frustrazioni, le proprie gioie o sfortune. 

Negli anni sessanta e settanta la canzone aveva assunto il significato di strumento di protesta per il cambiamento sociale o il pacifismo e alcuni brani sono diventati veri inni in questo senso. 

Le canzoni urgenti di Vinicio non diventeranno certo inni, ma aiutano a pensare sulla direzione che sta prendendo il mondo, con un intento profondamente riflessivo. Sono canzoni che fanno pensare che esista ancora un “noi” collettivo e non solo tanti “io” sofferenti o gaudenti, o se non esiste forse l’autore tenta di alimentare la speranza che possa esserci nei suoi brani o anche grazie ai suoi brani.

Il disco si apre con una splendida canzone d’amore Il bene rifugio”, che sottolinea come nel mondo materiale dove il denaro nelle sue varie forme (oro, petrolio, gas, etc.) comanda quasi sempre, la vera ricchezza siano le relazioni affettive e intime. Mi è piaciuto molto l’accenno romantico alle neuroscienze “Il tuo cervello rettiliano, il tuo sistema limbico, tu che hai acceso i talami e messo l’oro al mattino”. 

“All you can eat” è a mio avviso uno dei brani più riusciti perché racconta con un groove jazz-blues la bulimia del nostro tempo dei consumi, dove il riempirsi di tutto (cibo, musica, stimoli digitali, etc.) è la risposta al timore del vuoto e della perdita dei punti di riferimento ideologici, culturali e psicologici. La metafora del ristorante All you can eat dove puoi mischiare pizza, sushi e tortellini alla panna per me rispecchia in modo molto efficace la nostra attuale libertà che può diventare assenza di regola, in cui “Se non c’è principio né speranza, allora mangia”. 

A questo tema si può associare il brano “Sul divano occidentale”, che con ritmi mediorientali racconta del nostro assistere come a un film allo “spettacolo” dei conflitti e delle altre disgrazie che accadono quotidianamente nel mondo e che alimentano i nostri timori anche nel comfort casalingo, Sul divano fronteggiamo le paure, sul divano”. 

“La cattiva educazione” è forse uno dei brani più riusciti e toccanti del disco in quanto tratta il tema attualissimo del femminicidio, un tema un po’ trascurato dalla musica d’autore (al momento mi viene in mente solo Brunori ha scritto il branoColpo di pistola”). Vinicio ci ricorda che “È stata la cattiva educazione che non ha mai insegnato l’emozione”, a significare come sia importante quella educazione emotiva di cui oggi si parla quasi quotidianamente dopo gli ultimi fatti di cronaca. 

Non mancano i momenti leggeri come il Cha Cha Chaf della pozzanghera”, un tenero invito a perdere un po’ il controllo e tornare metaforicamente al gioco preferito dei bambini “Non mi sgridate con la vostra pulizia, con la vostra cura piena di paura”

“Il tempo dei regali” ci ricorda dell’importanza di coltivare il sentimento della gratitudine, che ormai diverse ricerche confermano essere alla base del benessere psicologico. La gratitudine e il riconoscere i regali che abbiamo ricevuto anche nel nostro passato può contrapporsi a sentimenti più difficili da gestire come la nostalgia

Chiude il disco il brano “Con i testi che ci abbiamo”, un brano che parla dell’importanza di essere consapevoli di sé e di accettarsi per quello che siamo, con pregi e difetti, in modo tale che “di un limite faremo una possibilità”.

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