Nel primo capitolo del libro, Francesco Gazzillo definisce la Control-Mastery Theory (CMT) una teoria integrativa, dinamico-cognitiva, di matrice relazionale del funzionamento mentale, della psicopatologia e del processo terapeutico, sviluppata dal San Francisco Psychotherapy Research Group e dal Control-Mastery Theory-Italian Group.
I presupposti teorici di base sono: la modalità di adattamento conscia e inconscia come motivazione sovraordinata del funzionamento della mente, raffinato prodotto dell’evoluzione; l’esecuzione inconscia di molte delle funzioni mentali complesse (stabilire obiettivi, definire piani funzionali, ecc.); l’importanza del senso di sicurezza e la naturale prosocialità umana.
Da questi presupposti teorici derivano delle indicazioni terapeutiche: non si tratta di guidare il paziente, ma di farlo sentire al sicuro e di aiutarlo come vuole (inconsciamente) esserlo e farlo arrivare dove vuole (inconsciamente) arrivare.
Per ottenere buoni risultati le credenze, costruite nel rapporto con i caregiver e durante la storia di sviluppo del paziente, assumono un ruolo centrale.
Il sistema di credenze è coerente e gerarchico, ed esse possono essere consapevoli o inconsce, esplicite e verbali, o implicite, procedurali e affettivo-corporee. Per la CMT le credenze orientano l’attenzione, plasmano la percezione e l’interpretazione della realtà, le emozioni, le motivazioni e le manifestazioni del temperamento.
Le credenze influenzano il comportamento in quattro modi diversi: compiacenza con la credenza; ribellione alla credenza; identificazione con la persona nella relazione con la quale si è costruita la credenza; controidentificazione con la persona nella relazione con la quale si è costruita la credenza.
Antonio ha imparato ad essere disponibile con gli altri per essere accolto e accettato dai suoi genitori. Questo lo rende altruista e ben disposto ad aiutare gli altri (compiacenza), ma alcune volte sente l’eccessivo peso e lo stress e si rannicchia in un isolamento assoluto, senza che gli altri possano raggiungerlo in alcun modo (ribellione). Apprezza gli altruisti e critica gli egoisti (identificazione), ma in alcune circostanze apprezza chi riesce ad essere molto più centrato su sé stesso e i suoi bisogni (controidentificazione).
Durante lo sviluppo della storia di vita di una persona si possono formare delle credenze patogene influenzate da traumi che mettono a rischio il senso di sicurezza e generano la psicopatologia.
La CMT ha messo in evidenza cinque classi di credenze patogene che generano sensi di colpa disadattivi: il senso di colpa del sopravvissuto (sono più fortunato degli altri), il senso di colpa da separazione/slealtà (separarsi, differenziarsi è una grave offesa vero le persone care), il senso di colpa da responsabilità onnipotente (devo rendere felici le persone care), il senso di colpa da burdening (i miei bisogni appesantiscono gli altri), l’odio di sé (sono inadeguato, sbagliato, difettoso, cattivo).
L’autorità attribuita a queste credenze, nonostante la motivazione del soggetto a disconfermarle, non consente la disconferma e impedisce il perseguimento di obiettivi sani e adattivi. Nelle relazioni importanti si cerca comunque la disconferma delle credenze patogene attraverso test, a cui il paziente, ad esempio, in terapia sottopone il terapeuta, test che possono essere considerati anche modalità con le quali si accerta il livello di sicurezza per raggiungere obiettivi adattivi o padroneggiare traumi.
Anche i test sono stati classificati dalla CMT in due categorie: quelli da transfert (il terapeuta ha un ruolo simile ai caregiver) e quelli da passivo in attivo (il paziente si identifica con i caregiver e attribuisce al terapeuta il ruolo del Sé traumatizzato). Nei test da transfert il paziente cerca risposte diverse da quelle che ha sempre ricevuto, mentre in quelli da passivo in attivo cerca un modello di ruolo. I test di transfer suscitano, naturalmente nel clinico risonanze emotive specifiche che vanno governate con disciplina interiore. In sostanza, in terapia, i pazienti formulano in continuazione test osservativi per capire quanto le loro credenze patogene siano vere o false. Il terapeuta dispone di indicatori per valutare il testing: il paziente pone una richiesta che può essere anche implicita; il terapeuta sperimenta emozioni forti; il terapeuta si sente spinto a intervenire; il paziente si comporta in modo più illogico, provocatorio, assurdo del solito.
La risposta ai test che disconferma le credenze patogene attraverso un atteggiamento diverso da quello assunto dai caregiver o dall’atteggiamento che il paziente ha assunto con loro dà vita a un’esperienza correttiva che favorisce il cambiamento.
Un’altra procedura terapeutica importante per la CMT è la comunicazione che favorisce l’insight del paziente.
Ogni paziente arriva in terapia con un piano, generalmente inconscio, per stare meglio. Alcuni elementi del piano sono anche esplicitati con l’intenzione inconscia di farli comprendere al terapeuta con quelle che sono definite comunicazioni di coaching (cosa vuole ottenere, quali sono i suoi obiettivi, come raggiungerli, quali sono le credenze patogene e i traumi).
La formulazione del piano del paziente è, quindi, un presupposto essenziale su cui si basa l’intervento terapeutico e si articola in cinque sezioni: gli obiettivi; gli ostacoli/credenze patogene; i traumi da stress e/o da shock; i test che il paziente proporrà; gli insight che il paziente potrebbe voler raggiungere. Quando si trattano coppie, famiglie, adolescenti e bambini entrano nella formulazione i circoli viziosi e virtuosi relazionali in atto con genitori e partner, le credenze patogene dei partner e dei genitori e le esperienze correttive che questi pazienti cercano.
Questa lunga premessa sui concetti fondamentali della CMT, trattati nei primi due capitoli del libro, rappresenta il presupposto imprescindibile che ci conduce alla lettura degli altri capitoli del volume “La Control-Mastery Theory nella pratica clinica”.
La prima parte del volume si occupa del lavoro con l’adulto, la seconda prende in considerazione gli adolescenti, la terza i bambini e le famiglie, la quarta il lavoro con le coppie, infine nell’ultima parte è riportato il lavoro con i pazienti seguiti dai servizi sociali e sanitari. Tutte le parti sono corredate da alcuni casi clinici che illustrano le procedure e le tecniche seguite nella trattazione.
Una lettura quella del libro “La Control-Mastery Theory nella pratica clinica” che mette bene in evidenza ciò che ci sembra differenziare maggiormente l’approccio della CMT da altri modelli, ad esempio cognitivo-comportamentali. Nell’approccio CMT è la motivazione autonoma e inconscia del paziente a raggiungere i suoi obiettivi, padroneggiare i suoi traumi e acquisire un maggior controllo su di sé e la sua realtà che guida l’intervento. Il piano del paziente tende inconsciamente a disconfermare le credenze patogene che generano circoli viziosi e sofferenza, ma è ostacolato dalle credenze patogene che si sono create nel rapporto con i caregiver e i traumi vissuti. Nella formulazione del caso Life themes and plans Implications of biased Beliefs: Elicitation and Treatment (LIBET) (Sassaroli, Ruggiero, Caselli, 2023) i piani semiadattivi, strategie di gestione rigida dei “temi dolorosi” realizzate adottando comportamenti di sicurezza anche a costo di rinunciare ad aree significative di sviluppo personale, temporaneamente e parzialmente funzionali” si dimostrano disadattivi perché inflessibili e pervasivi di fronte alla mutazione del contesto di vita del paziente.
In questo caso i piani sono consapevolmente agiti perché ritenuti erroneamente efficaci e il lavoro terapeutico in prima istanza cerca di disconfermarne proprio l’utilità e la necessità.
Per la CMT è il paziente a stabilire, in modo in genere inconscio, l’agenda della terapia e gli interventi del terapeuta dovranno essere pro-plan o plan compatibili, in modo da disconfermare le credenze patogene e favorire un’esperienza emozionale correttiva. Molto dell’intervento si gioca sul superamento dei test a cui è sottoposto il clinico e l’attenzione alla dimensione relazionale assume un’importanza essenziale rispetto ai risultati. I processi di rottura e riparazione interattiva e relazionale (Beebe, Lachmann, 2002) rappresentano un ingrediente imprescindibile e la capacità del terapeuta di fornire una riparazione adeguata è l’elemento terapeutico per il miglioramento del paziente.
L’intervento nella LIBET ha un’attenzione meno marcata rispetto alla relazione e si attua non in maniera esclusiva, ma soprattutto sui processi che generano la psicopatologia.
Un concetto che invece avvicina i due approcci è quello di credenza.
I “temi dolorosi” nella LIBET costituiscono focalizzazioni attenzionali su stati mentali negativi vulnerabili organizzati in credenze automatiche negative di sé (self-belief) e caratterizzati da un’elevata attivazione emotiva influenzata da esperienze dello sviluppo personale percepite come intollerabilmente dolorose. Anche nella CMT le credenze patogene svolgono un ruolo simile e si generano nello sviluppo di vita personale del paziente e il lavoro terapeutico è volto a disconfermarle. Nella Libet è accentuato, però, un aspetto più processuale rispetto alla creazione di stati attenzionali focalizzati su queste credenze che sviluppano temi dolorosi e il lavoro terapeutico, successivo a quello svolto sui piani, tende a rendere i temi dolorosi meno intollerabili e condizionanti.
Una lettura gradevole e formativa quella di La Control-Mastery Theory nella pratica clinica che suggerisco di fare parallelamente ad altri due volumi: Teoria e pratica dell’alleanza terapeutica (Safran, Muran, 2003) e La relazione terapeutica. Storia, teoria e problemi (Semerari, 2022). Questi due testi sono molto significativi nell’illustrare il ruolo, anche con le imprescindibili differenze da approccio ad approccio, che la relazione terapeutica e l’alleanza terapeutica giocano per il trattamento del paziente.