Introduzione
Il concetto di stress è stato introdotto da Selye (1965), con la sua definizione di “risposte non specifiche dell’organismo a qualsiasi richiesta di cambiamento”. In termini generali, lo stress si riferisce alle reazioni fisiologiche scatenate da eventi stressanti, noti anche come stressor. Lo stress, secondo la definizione di Selye, è una conseguenza inevitabile della vita; si verifica quando le richieste poste all’organismo (nel senso più ampio che comprende sia gli aspetti fisiologici sia quelli psicologici) superano la sua capacità di spendere energia per mantenere l’omeostasi. Lo stimolo della richiesta può essere percepito come piacevole o spiacevole. Secondo Selye, nel trattamento del disagio, il grado di richiesta è fondamentale. Pertanto, se tutto lo stress può essere suddiviso in eustress o distress, e il distress è rappresentato da una domanda eccessiva o insufficiente, ne consegue che l’eustress può essere considerato come una quantità di stress intermedia tra l’eccesso e il difetto, un livello ottimale di stress. Questa differenziazione porta all’idea che sia la sotto-stimolazione che la sovra-stimolazione possono portare al distress, mentre lo stress moderato porta all’eustress (Fevre et al., 2003).
L’eustress
Selye coniò il termine “eustress” per indicare lo stress positivo, aggiungendo il prefisso greco “eu” alla parola “stress”, che suggerisce l’idea di qualcosa di buono o vero. Viviamo quindi un eustress ogni volta che ci troviamo in una nuova situazione in cui interagiamo con fattori ambientali che percepiamo o valutiamo positivamente dal punto di vista soggettivo. Questo tipo di stress è contraddistinto da specifiche caratteristiche, che ovviamente non si riferiscono ai fattori scatenanti, ma alla nostra percezione soggettiva, derivante dalla nostra valutazione cognitiva ed emotiva. Possiamo affermare che lo stress positivo è desiderabile, prevedibile e gestibile, o almeno così è la forma in cui lo percepiamo. Questa categoria comprende le situazioni che scegliamo di affrontare, e che pertanto sono chiaramente desiderabili. Si tratta di eventi che non generano eccessiva incertezza, ma al contrario, offrono un certo grado di sicurezza e prevedibilità, situazioni controllabili in cui ci sentiamo sicuri delle nostre capacità e risorse per affrontarle. Sono le sfide che ci stimolano quotidianamente, contribuendo al miglioramento della nostra vita: siano esse di natura sportiva, professionale, scolastica o di qualsiasi altra tipologia, sia individuali che di gruppo. Esse rappresentano un’opportunità di crescita e sviluppo personale che scegliamo di affrontare per il puro piacere di farlo (Tafet, 2018).
Il distress
Lo stress negativo viene denominato “distress” ed è associato a situazioni indesiderate, inattese e incontrollabili, quelle che non scegliamo né vogliamo, ma ci troviamo semplicemente costretti ad affrontare e che quindi risultano sgradevoli e spesso inevitabili. Questo tipo di stress è causato da situazioni che portano a stati di ansia, depressione e altri esiti negativi come, ad esempio, la perdita del lavoro o la rottura di una relazione. Tali eventi generano incertezza, poiché i risultati non possono essere chiaramente previsti, rendendoli imprevedibili. Si tratta di situazioni incontrollabili, in cui l’insicurezza che sperimentiamo ci fa dubitare dell’efficacia delle nostre risorse. In questo contesto, è fondamentale sottolineare l’importanza della valutazione cognitiva, secondo la quale è sufficiente credere che una situazione sia incontrollabile – sia perché abbiamo perso il controllo, sia perché non l’abbiamo mai avuto – affinché le nostre risposte si adattino a questa convinzione (Tafet, 2018).
In base a cosa sperimentiamo eustress o distress?
Selye (1987; in Fevre et al., 2003) ha esplicitamente sostenuto che la natura stressante di un particolare stimolo è governata dal modo in cui si interpreta e si sceglie di reagire ad esso. Selye ha osservato che è l’individuo a determinare se il fattore di stress è eustress o distress. Harris (1970) ha equiparato l’eustress al piacere, mentre Edwards e Cooper (1988) hanno definito l’eustress come una discrepanza positiva tra percezioni e desideri (a condizione che la discrepanza sia saliente per l’individuo). Il punto in comune tra questi autori è che l’eustress è principalmente il risultato di una percezione positiva dei fattori di stress. Ne consegue che il distress è principalmente il risultato di una percezione negativa dei fattori di stress. Tuttavia, attingendo alla letteratura generale, possiamo ipotizzare che un fattore di stress possa essere caratterizzato in base alla sua tempistica, al fatto che sia percepito come desiderabile o meno, che sia benefico o meno, che la richiesta sia autoimposta o imposta dall’esterno e, se imposta dall’esterno, che cosa rappresenta per l’individuo quella fonte (un amico, un manager, una norma istituzionale, ecc). E ancora, la domanda principale se un particolare stress possa essere identificato come eustress o distress può essere risolta solo valutando ciò che la richiesta rappresenta per l’individuo.
Ponendo l’individuo sotto il controllo dello stress che sperimenta, Selye (1987) ha suggerito che imparare a reagire ai fattori di stress con emozioni positive (ad esempio, gratitudine, speranza) è probabile che massimizzi l’eustress e minimizzi il distress. Al contrario, reagire con emozioni negative (come l’odio, la mancanza di speranza, la rabbia e l’impulso alla vendetta) è considerato un fattore largamente responsabile dell’esperienza di distress.