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Uno sguardo sull’efficacia del debriefing psicologico

L’efficacia del debriefing psicologico a seguito di esperienze traumatiche è ad oggi controversa soprattutto per gli effetti a lungo termine

Di Francesca Naldi

Pubblicato il 31 Lug. 2023

Introduzione

In Australia, un incidente d’autobus ha sollevato l’importanza di affrontare le conseguenze psicologiche degli eventi traumatici. Nonostante le vittime siano state sottoposte al debriefing psicologico, la letteratura suggerisce che questo intervento potrebbe non essere realmente d’aiuto.

Il debriefing psicologico

L’idea che parlare delle proprie reazioni emotive a un trauma possa essere più risolutivo che “reprimerle” è in accordo con una lunga e illustre tradizione psicologica secondo cui la divulgazione delle proprie emozioni possa apportare diversi benefici alla salute mentale. L’interesse verso interventi psicologici tempestivi in seguito agli eventi traumatici affonda le sue radici nella metà degli anni ’80, durante i quali si è constatato un incremento rilevante dell’impiego di sessioni occasionali di una procedura denominata “critical incident stress debriefing”, conosciuta anche come “psychological debriefing” (Rose et al., 2002).

Il debriefing psicologico è un trattamento volto a ridurre la morbilità psicologica che insorge dopo l’esposizione a un trauma. L’obiettivo principale è quello di prevenire lo sviluppo del disturbo da stress post-traumatico (PTSD). La maggior parte degli interventi di debriefing psicologico prevede una singola sessione che può durare da una a tre ore, nei giorni immediatamente successivi a un evento traumatico. Il processo di debriefing psicologico viene frequentemente effettuato in forma collettiva e il suo contenuto abbraccia solitamente l’insegnamento riguardante le risposte allo stress, l’incoraggiamento a condividere quanto si ricorda dell’esperienza, una serie di strategie fondamentali per il controllo dello stress e, all’occorrenza, indicazioni informative.

Sebbene le persone tendano a riferire che il debriefing è utile subito dopo la sua somministrazione, l’effetto a medio e lungo termine del debriefing psicologico sulla risposta al trauma è molto discutibile. Oltre all’impegno di tempo richiesto all’individuo, questo tipo di trattamento comporta il confronto con aspetti di esperienze traumatiche, il cui costo emotivo potrebbe non giustificare un intervento precoce. Infatti, una meta-analisi ha rilevato che il debriefing psicologico dopo un evento traumatico è associato a un aumento dei sintomi post-traumatici (Van Emmerik et al., 2002), ed è stato suggerito che il debriefing psicologico possa interferire con i naturali processi di recupero dopo un evento traumatico.

Le reazioni psicologiche ai disastri

L’efficacia del debriefing psicologico e di altri interventi precoci rimane una delle aree più controverse della ricerca, sollevando questioni di fondamentale importanza per l’ambito della salute mentale. È anche diventato altamente politicizzato, poiché i disastri e le richieste di risarcimento per lesioni psicologiche hanno comportato la divulgazione del dibattito sul debriefing. Considerando che la prevalenza del PTSD è stimata al 2-3%, l’efficacia dell’intervento precoce è anche un’importante questione di salute pubblica (Rose et al., 2002).

Gli studi attestano che la maggior parte degli individui è in grado di adattarsi alle esperienze traumatiche senza che si manifesti la necessità di una particolare forma di supporto psicologico.

Indagini prolungate lasciano intendere che circa il 75% dei sopravvissuti al trauma non riscontrerà alcuna forma di disturbo duraturo nel tempo. Vi è la possibilità che alcuni individui possano sperimentare un breve periodo di disagio, ma successivamente si adattano alla situazione, mentre un esiguo numero di persone, generalmente rappresentante una minoranza di circa il 10%, può trovarsi ad affrontare complicazioni persistenti. Quest’ultimo gruppo necessita di un’assistenza mirata per mitigare gli ostacoli che possono insorgere nell’ambito del benessere psicologico. Gli esperti convergono nell’affermare che chi sperimenta un evento traumatico è in grado di fare affidamento sulle proprie capacità di fronteggiamento e sulle reti sociali al fine di superare l’esperienza avversa.

Questo ha portato a un serio interrogativo sul valore del debriefing psicologico nel periodo immediatamente successivo alle esperienze traumatiche.

Le prove a nostra disposizione indicano che i trattamenti, quali il debriefing psicologico, mirati a prevenire il disturbo da stress post-traumatico (PTSD) e altre patologie psicologiche nei sopravvissuti al trauma, non sono raccomandati, poiché tali interventi non sortiscono gli effetti desiderati nell’evitare l’insorgenza dei suddetti disturbi. L’evento sismico e lo tsunami che hanno colpito l’Oceano Indiano nel 2004 hanno indotto l’Organizzazione Mondiale della Sanità a diffondere un comunicato che rimarcava la sconsigliabilità di sottoporre gli individui al debriefing psicologico. Tale presa di posizione si è basata sull’osservazione che non vi erano riscontri oggettivi a sostegno dell’efficacia di tale intervento. Oltre alla sua inefficacia, il debriefing può persino rivelarsi nocivo per alcuni individui, potenziando il rischio di sviluppare il disturbo da stress post-traumatico (PTSD). Il contingente di sopravvissuti al trauma che si dimostra particolarmente suscettibile alle conseguenze avverse del debriefing è costituito da coloro che hanno sperimentato una profonda sofferenza nella fase iniziale immediatamente successiva all’evento traumatico. Questo può essere attribuito al fatto che i ricordi di eventi traumatici possono essere più intensi o vividi rispetto ad altri tipi di ricordi, potenzialmente a causa dell’attivazione del sistema di risposta allo stress durante l’evento traumatico. Questa attivazione può essere associata all’emissione di ormoni dello stress come il cortisolo, che possono influenzare il consolidamento dei ricordi.

Prima di procedere con qualsiasi intervento psicologico, è consuetudine sottoporre la persona a una valutazione iniziale. Tuttavia, nel caso del debriefing psicologico, questa valutazione preliminare non avviene, quindi non si stimano i rischi che tale intervento potrebbe comportare per l’individuo.

L’alternativa al debriefing psicologico

Il debriefing psicologico è stato abbandonato dalla maggioranza delle organizzazioni internazionali, lasciando spazio al ”primo soccorso psicologico”. Questo nuovo approccio si prefigge l’intento di fornire sostegno e strategie di adattamento volte ad agevolare gli individui nel confrontarsi con le immediate ripercussioni delle avversità. Il primo soccorso psicologico si distingue dal debriefing psicologico, poiché non sollecita gli individui a svelare le proprie risposte emotive inerenti al trauma che li ha colpiti.

Pur assistendo ad un crescente consenso intorno al pronto soccorso psicologico, risulta complessa l’attribuzione di un giudizio sull’efficacia dello stesso, in quanto non si pone esplicitamente l’obiettivo di prevenire patologie quali il PTSD.

Conclusione

L’evidenza suggerisce che si dovrebbero concentrare le risorse sull’identificazione e il trattamento di coloro che presentano disturbi riconoscibili in seguito a un trauma, come il disturbo da stress acuto, la depressione e il PTSD. L’enfasi dovrebbe essere posta sempre più sulla selezione precoce di coloro che sono a rischio di sviluppare una psicopatologia e gli interventi precoci dovrebbero essere rivolti a questo gruppo (NICE 2005). In questo senso è necessario sviluppare strategie migliori al fine di soddisfare le esigenze dei sopravvissuti.

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