expand_lessAPRI WIDGET

Terapia a Seduta Singola (TSS) e Psicoanalisi: una convergenza parziale tra opposti? 

Nell'ambito della prima visita psichiatrica si potrebbe parlare di terapia a seduta singola (TSS)? Quali sarebbero le peculiarità della TSS?

Di Stefano Gherardi

Pubblicato il 24 Mag. 2023

La Terapia a Seduta Singola (TSS) si discosta enormemente dal contesto psicoanalitico puro. Ma allora, dove sta l’ipotetica convergenza parziale tra questi due “mondi” apparentemente così opposti?

Riassunto

Da anni mi occupo della prima visita psichiatrica, da me sempre più considerata come un tentativo di terapia a seduta singola (TSS), indipendentemente dall’orientamento teorico dell’operatore. Nel corso della mia attività come psichiatra e psicoterapeuta, prima pubblico e poi privato, ho dovuto constatare che, in realtà, noi vediamo spesso i pazienti una o due volte in tutto, dal 30 al 50% circa dei casi. Tutti gli operatori dovrebbero pertanto avere una formazione specifica sulla terapia a seduta singola, data la sua efficienza, efficacia e prevalenza. Già in passato ho vagliato la prima visita attraverso la lente del modello manageriale della “Qualità Totale”, che ti insegna a far bene le cose subito, la prima volta, riducendo o eliminando così tutti gli sprechi identificati dalla “Lean Health”. In tal modo, si liberano risorse che possono essere impiegate per fare altro, innovare, ecc.

La terapia a seduta singola si discosta molto da quanto avviene nel contesto psicoanalitico classico. Ma allora, dove sta l’ipotetica convergenza parziale tra questi due “mondi” apparentemente così opposti? A mio parere, ciò risiede nell’utilizzo dello strumento intuitivo in entrambi i contesti terapeutici. L’intuizione è un mezzo di conoscenza dell’altro e di se stessi, veloce, preciso, profondo, affidabile e senza il quale, a volte, non riesci a comprendere il caso. Le ipotesi intuitive vanno ovviamente sempre verificate, ma si adattano perfettamente ai tempi molto ristretti ed ai metodi della terapia a seduta singola. Dal 2018 al 2022 ho verificato, con un metodo auto-valutativo di tipo meta-cognitivo, che sono ricorso all’intuizione in circa il 30% delle terapia a seduta singola da me effettuate, con una costanza sorprendente. Vari psicoanalisti come Reik, Berne, Bion, ecc. hanno sottolineato l’importanza dell’uso dell’intuizione per cogliere la verità del paziente, ponendo tale mezzo al centro del trattamento psicoanalitico. Questa dote del terapeuta presenta ovviamente caratteristiche sia innate che acquisite e non ha un “colore politico” (ad esempio, anche i cognitivisti si occupano da molto tempo ed in modo massiccio dei processi cognitivi duali, intuitivi e logico-analitici). Pertanto, uno stimolo ad averne coscienza e fiducia, accompagnato da una formazione alla sua conoscenza ed al suo utilizzo è possibile ed auspicabile, sia per chi si occupa di terapia a seduta singola che di psichiatria, psicoterapia e psicoanalisi.

Introduzione

Paragonare la terapia a seduta singola al trattamento psicoanalitico, così apparentemente opposti (anche semplicemente per motivi temporali), è una specie di azzardo intellettuale e scientifico. Tanti anni fa un Professore Universitario di Psicoterapia definì questo mio tentativo come un qualcosa di “inusitato”. Ma, a mio parere, non lo era allora e non lo è tuttora. È vero che nella terapia a seduta singola gli operatori vedono spesso il paziente 1 o 2 volte, mentre nella psicoanalisi avviene esattamente il contrario. Riporto apposta all’inizio del presente lavoro i risultati di ricerche a cui ho collaborato, o condotto in prima persona, dove tale dato è evidente. Ma ho anche riscontrato, nel corso di anni di terapia a seduta singola da me praticata in libera professione, un mio uso frequente (circa il 30%) dell’intuizione per la comprensione e la cura dei casi. L’intuizione è il “ponte” che collega, almeno parzialmente, la terapia a seduta singola al trattamento psicoanalitico. Come vedremo, alcuni pensieri di alcuni psicoanalisti sul loro metodo di lavoro, riecheggiano alcuni aspetti intrinseci della terapia a seduta singola. Infine, dedicherò un cenno all’importanza di una formazione specifica degli operatori alla terapia a seduta singola e all’utilizzo della loro facoltà intuitiva innata e acquisita per la comprensione e la cura dei casi.

Dati del contesto psichiatrico pubblico

Nel 1988 pubblicammo uno studio (Gallo et al., 1988) fatto per valutare l’entità e le motivazioni dell’auto-dimissione da parte degli utenti del Centro di Salute Mentale dell’Unità Sanitaria Locale di Imola nel 1985. Gli auto-dimessi furono l’8.6% dell’utenza complessiva di quell’anno. Il 26.1% delle prime visite si auto-dimisero. Il 47.7 % di tutti gli auto-dimessi ebbe solo 1-3 consultazioni. Il motivo principale di tale comportamento risultò l’essersi “sentiti migliorati” (52.8 %). I nostri dati risultarono quasi completamente in linea con quelli riscontrati precedentemente da altri Autori reperiti in letteratura.

Dopo molti anni, ebbi l’idea di applicare i principi del modello industriale della “Qualità Totale” al Dipartimento di Salute Mentale (DSM) e da allora cominciai a comprendere sempre più l’importanza di un radicale mutamento della prima visita psichiatrica secondo i principi di tale modello, per poter tendere ad un DSM di eccellenza (Gherardi, 2007). Ma il punto di svolta avvenne l’anno successivo, quando compresi l’importanza della terapia a seduta singola e dell’uso dell’intuizione al suo interno (Gherardi, 2008). Durante gli anni successivi ho approfondito sia la terapia a seduta singola che l’uso dello strumento intuitivo e dal 2008 sono diventato uno psichiatra e psicoterapeuta libero professionista.

Dati del contesto psichiatrico privato

Ho sviscerato sempre di più l’utilizzo dell’intuizione nella terapia a seduta singola, soprattutto  in campo psicoanalitico (vedi i miei articoli sulla Rivista online “State of Mind”, 2019, 2020, 2022), e dal 2018 ho anche usato un metodo meta-cognitivo auto-valutativo, per comprendere se uso o meno l’intuizione durante la TSS. Riporto qui i dati del quinquennio 2018-2022. Faccio però prima un passo indietro. Nel 2011, il 39.9% dei pazienti venne da me 1-2 volte, nel 2012 il 34.4% (Gherardi, 2014). Ripetendo tale analisi nel 2018 e nel 2022 i risultati sono stati ancora più sorprendenti. Nel 2018 ho visto 1-2 volte il 51.2 % delle TSS e ho utilizzato l’intuizione in circa la metà di tali casi, come anche in circa la metà non l’ho usata. Da ciò si deduce che l’uso o meno dell’intuizione non influenza il numero delle sedute successive.  I dati del 2022 lo confermano. Anche in questo caso, il 50.6% delle TSS sono state di 1-2 incontri. Infine, un altro dato ancor più interessante. Dal 2018 al 2022 ho usato stabilmente l’intuizione durante le TSS in circa il 30% dei casi (dal 29.8% al 34.7%). Questi risultati comportano, a mio parere, due necessità:

  1. Molto spesso il terapeuta vede il paziente 1-2 volte, per cui la conoscenza, la formazione e la pratica competente della TSS diventano fondamentali.
  2. Il terapeuta utilizza spesso l’intuizione per capire e curare il paziente, per cui ne deve essere cosciente, averne fiducia, esserne consapevole, fare una formazione specifica ed un addestramento costante all’esercizio di tale abilità innata e acquisita.

TSS, intuizione e psicoanalisi

Di psicoanalisti che mettono l’intuizione al centro del metodo psicoanalitico (Reik, Berne, ecc.) me ne sono precedentemente occupato in altri articoli (2019, 2020) e poi, in modo particolare, nel mio ultimo lavoro intitolato “I luminari della prima impressione” (2022) a cui rimando il lettore. In questa sede vorrei riprendere brevemente il pensiero di Reik secondo quello di Safran (2011). Per tale Autore, Reik ha anticipato le maggiori tendenze del pensiero psicoanalitico contemporaneo (il bisogno di una costante auto-riflessione sulle proprie associazioni inconsce mentre si lavora col paziente per comprenderlo e curarlo, orientando quindi la propria attenzione anche verso il proprio interno; l’importanza di una costante auto-analisi; l’inevitabilità della partecipazione dell’analista agli “enactment” coi pazienti; la natura intersoggettiva della relazione analitica e l’irriducibile soggettività dell’analista. A tale riguardo, Ogden (che riprenderemo in seguito) ha usato il termine “reverie” di Bion per riferirsi alle associazioni interne dell’analista usate per decodificare l’inconscio del paziente e ha introdotto, a tal fine, il concetto di “terzo analitico”. Infine, Ogden, come altri analisti influenzati dal pensiero di Bion, ha concettualizzato l’identificazione proiettiva come una forma di comunicazione inconscia. Purtroppo, nonostante queste fondamentali anticipazioni concettuali di Reik, molti fattori hanno contribuito ad una sua marginalizzazione da parte dei pensatori psicoanalitici contemporanei (Safran, 2011).

Bion

Un altro psicoanalista che ha sancito la centralità dell’intuizione in psicoanalisi è stato Bion, specialmente in un suo breve contributo del 1967, che qui cercherò di sintetizzare. “L’osservazione” psicoanalitica ha a che fare non con quello che è successo (memoria), né con quello che succederà (futuro, desiderio), ma con quanto sta succedendo (presente). Inoltre, tale “osservazione” non si occupa di impressioni sensoriali o di oggetti sensibili. E’ questo il mondo reale dello psicoanalista. La consapevolezza dell’accompagnamento sensoriale delle esperienze emotive è un ostacolo all’intuito dello psicoanalista nei confronti della realtà con la quale egli deve essere unito. Ogni seduta psicoanalitica non deve avere nessuna storia e nessun futuro. L’unica cosa importante in qualsiasi seduta è quella che è ancora sconosciuta e quindi non si deve permettere a nulla di distrarre l’attenzione dall’intuirla.

In qualsiasi seduta, ha luogo un’evoluzione. Questa evoluzione è la cosa che lo psicoanalista deve essere pronto ad interpretare. Altrimenti non si potrà osservare tale evoluzione della seduta nell’unica occasione in cui la si può osservare, cioè mentre essa avviene. Cambierà così in futuro la configurazione della psicoanalisi. Grosso modo, sembrerà che il paziente non si svilupperà lungo un lasso di tempo, ma ogni seduta sarà completa in sé. Si potrà misurare il “progresso” dal maggior numero e dalle maggiori varietà di stati d’animo, di idee e di atteggiamenti visibili in una data seduta qualsiasi. Le sedute saranno meno ingombrate dalla ripetizione di materiale che avrebbe dovuto sparire e, di conseguenza, si avrà un “tempo” più veloce all’interno di ogni seduta. Lo psicoanalista dovrebbe mirare a raggiungere uno stato mentale tale da sentire che ad ogni seduta  non avesse mai visto il paziente prima. Questa procedura è estremamente penetrante e bisogna costruire la propria tecnica psicoanalitica su una base ferma dell’intuizione di questa evoluzione. La seduta in evoluzione è inconfondibile e l’intuirla non la deteriora. Se gli si dà la possibilità, comincia presto e decade tardi e le interpretazioni derivano dall’esperienza con un individuo unico. Come si può intravedere, molti dei concetti espressi da Bion evocano più o meno chiaramente  i capisaldi del modello manageriale della “Qualità Totale”, della “Lean Health” (riduzione o eliminazione degli sprechi) (Toussaint & Gerard, 2010) ed alcuni principi della TSS.

Ogden

Thomas H. Ogden compie un’analisi del succitato lavoro di Bion, affermando che tale Autore propone una nuova metodologia che soppianta la “consapevolezza” dal suo ruolo centrale nel processo analitico e, al suo posto, instaura l’intuire (largamente inconscio) dell’analista della realtà psichica inconscia del paziente (la verità, la realtà) del momento presente, diventando un tutt’uno con ciò e a prescindere dalle percezioni sensoriali.

Per Ogden, la “reverie”, il sognare ad occhi aperti, è paradigmatico dell’esperienza clinica dell’intuire la realtà psichica in un determinato momento analitico. Per entrare in uno stato di “reverie” (che è sempre in parte un fenomeno intersoggettivo), l’analista deve affrontare un atto di auto-rinuncia, che gli permette di entrare insieme al paziente in uno stato condiviso intuitivo ed essere un tutt’uno con una realtà psichica disturbante che il paziente, da solo, non è in grado di sopportare.

Il vero punto importante di ogni seduta è ciò che è ancora sconosciuto e a niente va permesso di distrarci dall’intuire ciò. Ogden va anche oltre il pensiero di Bion, affermando che tale processo esperienziale condiviso di intuizione di tale realtà psichica perturbante, vissuta da entrambi gli Attori come un divenire un tutt’uno con essa, rappresenta per entrambi un processo di cambiamento. Tale evoluzione è ciò che lo psicoanalista deve essere pronto ad interpretare e questo processo di continuo cambiamento è il vero soggetto della psicoanalisi.

Formazione alla TSS e all’intuizione

Una formazione ed un’implementazione specifica, indipendentemente dagli orientamenti teorici delle Scuole di Specializzazione di Psichiatria o di Psicoterapia, è necessaria già da molto tempo e per vari motivi, tra cui spicca il dato di realtà inconfutabile (ed evidenziato ormai da decenni di ricerca) che una larga percentuale di pazienti viene da noi 1 o 2 volte. Basta questo per capire che dobbiamo essere diagnostici e terapeutici già al primo (e forse anche ultimo) incontro, stimolando quindi fin da subito le risorse interne ed esterne auto-terapeutiche di tali persone.

Se dirigessi oggi un DSM, renderei obbligatoria la formazione in TSS per tutte le figure professionali che compongono il gruppo di lavoro e proporrei a tutte le Scuole di Specializzazione di Psichiatria e di Psicoterapia tale tipo di formazione specifica. A tal fine, abbiamo la fortuna di avere già in Italia un’opportunità formativa specializzata rappresentata dalla Scuola Psicologica Romana di TSS (Cannistrà & Piccirilli, 2018).

Per quanto riguarda invece la formazione all’intuizione e all’empatia, vorrei richiamare brevemente le considerazioni dello psicoanalista Greenson, da me riportate nel mio ultimo lavoro (2022). L’empatia e l’intuizione sono correlate. Entrambe sono metodi speciali per una rapida e profonda comprensione del paziente. L’empatia conduce spesso all’intuizione. Arrivi ai sentimenti e alle immagini attraverso l’empatia, ma è l’intuizione che dà il segnale all’Io analitico che tu hai veramente compreso il paziente. L’intuizione coglie gli indizi che l’empatia raccoglie. L’empatia è essenzialmente una funzione dell’Io esperienziale, mentre l’intuizione deriva dall’Io analizzante. Ci possono però anche essere antitesi tra le due. Gli empatici non sono sempre degli intuitivi e gli intuitivi sono spesso degli empatici inaffidabili. Sia l’intuizione che l’empatia danno a una persona un talento per la psicoterapia e i terapisti migliori sembrano possederle entrambe. L’empatia è un requisito di base; l’intuizione è un “extra bonus”. Infine, da quanto mi risulta, tra gli psicoanalisti solo Waelder, in un suo articolo del 1962, si è spinto ancora più avanti fino a sottolineare il ruolo fondamentale dell’intuizione nell’addestramento dei futuri terapeuti di psicoterapia breve, per la sua rapidità, profondità e precisione, adatta ai tempi limitati disponibili. Mi sembra che, come in Bion, anche nel pensiero di Greenson e di Waelder si possano rintracciare alcune convergenze tra psicoanalisi e TSS.

Conclusioni

La risposta alla domanda “provocatoria” contenuta nel titolo del mio presente articolo è affermativa. Nel corso della mia attività professionale ho dovuto prendere atto, ma in modo sempre più pro-attivo, che, in realtà, noi vediamo spesso i “nostri” pazienti una o due volte. I pazienti infatti non ci appartengono, sono “di se stessi” e si rapportano con noi più o meno liberamente, in base alle loro dinamiche interne ed interpersonali. Anche noi operatori abbiamo le nostre libertà come, ad esempio, una certa possibilità di selezionarli, ecc.. Quindi, il gioco è reciproco. Ma le resistenze psichiche dell’operatore a tale dato di fatto sono massicce e perduranti: facciamo tanta fatica a prendere veramente consapevolezza di tale realtà. Personalmente, dopo decenni di lavoro, stento ancora a “crederci”. 1 paziente su 2 che vedo per la prima volta, lo vedrò 1 o 2 volte e poi mai più. Volenti o nolenti, tutti gli operatori dovrebbero avere pertanto una formazione specifica sulla TSS, data la sua efficienza, efficacia e prevalenza. Già in passato ho vagliato la prima visita/TSS attraverso la lente del modello manageriale della “Qualità Totale”, che ti insegna a far bene le cose subito, la prima volta, riducendo o eliminando così tutti gli sprechi (8 sono gli sprechi identificati secondo il modello della “Lean Health”). La TSS si discosta enormemente dal contesto psicoanalitico puro, dove i candidati e i terapeuti hanno aspettative di trattamento diverse, i pazienti sono selezionati fin dall’inizio, le sedute sono frequenti, regolari e prolungate nel tempo. Ma allora, dove sta l’ipotetica convergenza parziale tra questi due “mondi” apparentemente così opposti? A mio parere, tale punto in comune risiede nell’importanza e nella frequenza con cui si utilizza lo strumento intuitivo in entrambi i contesti. L’intuizione è un mezzo di conoscenza dell’altro e di se stessi, veloce, preciso, profondo, affidabile e senza il quale, a volte, non riesci a giungere ad una comprensione del caso. Le ipotesi intuitive vanno ovviamente sempre verificate, ma si adattano perfettamente ai tempi molto ristretti ed ai metodi della TSS.  Vari psicoanalisti come Reik, Berne, Bion, ecc. hanno sottolineato l’importanza dell’uso dell’intuizione per cogliere la realtà, la verità del paziente, ponendo lo strumento intuitivo al centro del trattamento psicoanalitico. Tale dote intuitiva del terapeuta presenta ovviamente caratteristiche sia innate che acquisite, non ha un’ideologia unica (ad esempio, anche i cognitivisti si occupano da molto tempo ed in modo massiccio dei processi cognitivi duali, intuitivi e logico-analitici). Pertanto, uno stimolo ad averne coscienza e fiducia, accompagnato da una formazione alla sua conoscenza ed al suo utilizzo è possibile ed auspicabile, sia per chi si occupa di TSS che di psichiatria, psicoterapia e/o di psicoanalisi. Come sappiamo, l’intuizione è una facoltà mentale innata, ma anche acquisita. Ovviamente, ci sono persone che nascono con una maggiore predisposizione biologica, psicologica interna ed intersoggettiva a tale capacità, come si sa che varie condizioni psicopatologiche possono farla variare qualitativamente e quantitativamente. Ma, in tutti i casi, se noi “crediamo” al nostro inconscio ed a quello degli altri, ad una loro intercomunicazione diretta, ebbene, abbiamo la capacità di potenziare e di utilizzare sempre più questo utilissimo strumento intersoggettivo, per la comprensione e la cura dell’altro ed, in fondo, anche di noi stessi.

 

Si parla di:
Categorie
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Gallo, E., Gherardi, S., Giovannini, G. (1988). Intervista ad ex-utenti che     hanno   interrotto unilateralmente il rapporto con un servizio psichiatrico territoriale. Gli Ospedali della Vita, 15:3, 41-48.
  • Gherardi, S. (2007). Il Dipartimento di Salute Mentale eccellente. Psichiatria di Comunità, 6:2, 118-126.
  • Gherardi, S. (2008). Dalla prima visita psichiatrica alla terapia a seduta singola: un nuovo paradigma? Psichiatria di Comunità, 7:3, 141-148.
  • Gherardi, S. (2019). Il processo duale (intuizione ed analisi) come fulcro della consultazione terapeutica bi-sistemica singola e della comprensione psicoanalitica secondo Theodor Reik. Pubblicato in tre parti sulla Rivista online www.stateofmind.it, ID: 170438, 170482, 170561.
  • Gherardi, S. (2020). Il paziente espressivo e il terapeuta curioso: acceleratori interattivi della comprensione terapeutica. Rivista online www.stateofmind.it, ID: 175768.
  • Gherardi, S. (2022). I luminari della prima impressione. Rivista online www.stateofmind.it, ID: 196671.
  • Gherardi, S. (2014). La consultazione terapeutica bi-sistemica singola: un’interfaccia dinamica tra auto ed etero-terapia in psichiatria. Rivista Sperimentale di Freniatria, 137:1, 57-65.
  • Safran, J.D. (2011). Theodor Reik’s listening with the third ear and the role of self-analysis in contemporary psychoanalytic thinking, Psychoanalytic Review, 98:2, 205-216.
  • Bion, R.W. (1967). Notes on memory and desire. Psycho–analytic Forum, 2:3, 271-280.
  • Toussaint, J., Gerard, R.A. (2010). On the mend, revolutionizing healthcare to save lives and transform the industry, Lean Enterprise Institute.
  • Ogden, T.H. (2015). Intuiting the truth of what’s happening: on Bion’s “notes on memory and desire”, The Psychoanalytic Quarterly, 84:2, 285-306.
  • Cannistrà, F., & Piccirilli, F. (2018). Terapia a seduta singola. Principi e pratiche, Giunti, Firenze.
  • Greenson, R.R. (1960). Empathy and its vicissitudes. International Journal of Psychoanalysis, 41, 418-424.
  • Waelder, R. (1962). Symposium: selection criteria for the training of psycho-analytic students, International Journal of Psychoanalysis, 43, 283-286.
CONSIGLIATO DALLA REDAZIONE
Intuizione e psicoterapia: il ruolo delle capacità intuitive del terapeuta
I luminari della prima impressione

Nel presente articolo l'autore discute i lavori degli psicoanalisti che hanno dato un contributo alla comprensione e all’uso clinico delle capacità intuitive

ARTICOLI CORRELATI
L’umorismo è una cosa seria. Intervista a Luca Nicoli, sull’uso dell’umorismo e del gioco nella pratica psicoanalitica

Intervista al Dott. Luca Nicoli sull’utilizzo dell’umorismo e del gioco con i pazienti nella pratica psicoanalitica

Hans e gli altri (2023) di Marco Innamorati – Recensione del libro

"Hans e gli altri" utilizza i casi di dieci insigni terapeuti riguardanti dei bambini per illustrare lo sviluppo della psicoanalisi

WordPress Ads
cancel