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Il mio terapeuta non ha più risposto: il fenomeno del ghosting in psicoterapia

Dato l’impatto emotivo sul paziente e la violazione etica che costituisce, il ghosting in terapia ha recentemente goduto di approfondita attenzione clinica

Di Micol Agradi

Pubblicato il 14 Apr. 2023

Aggiornato il 22 Mag. 2023 12:16

Lo studio di Farber e colleghi (2022) si è posto lo scopo di indagare la prospettiva del paziente rispetto al fenomeno e alle implicazioni etiche e cliniche del ghosting da parte del terapeuta.

 

 La conclusione della psicoterapia costituisce la fase finale della relazione fra paziente e terapeuta, dove il primo ha l’occasione di rivedere gli obiettivi postisi, descrivere i cambiamenti che ha affrontato e lavorare sui sentimenti che accompagnano la cessazione del rapporto terapeutico (Vasquez et al., 2008). Questo passaggio richiede che i terapeuti mettano in atto una serie di interventi appropriati, in sintonia con le esigenze del paziente, che ha il diritto di trarre il massimo beneficio dal trattamento. Quando un terapeuta fallisce nel soddisfare i requisiti clinici, etici e pratici della fase di conclusione della terapia si parla di “cessazione inappropriata”. In particolare, lo studio di Farber e colleghi (2022) si è proposto di indagare il ghosting, ossia un’inappropriata chiusura del trattamento psicoterapeutico in cui il terapeuta cessa di comunicare con il paziente senza preavviso. Sulla base di questa definizione, gli obiettivi degli autori sono stati due: valutare il punto di vista del paziente rispetto al processo, alle cause e alle conseguenze del ghosting del terapeuta e analizzare le implicazioni etiche e cliniche del fenomeno.

Il ghosting del terapeuta: cos’è e quali sono i suoi riferimenti normativi

Dal 2015 circa il termine “ghosting” è utilizzato principalmente in campo sentimentale per descrivere il fenomeno in cui un partner smette bruscamente di vedere, inviare messaggi o chiamare l’altro senza dare una spiegazione. Attualmente, il verbo è utilizzato in modo più ampio per riferirsi a tutte quelle situazioni in cui una parte cessa di comunicare con l’altra quando sarebbe atteso un ulteriore interscambio (come tra paziente e terapeuta).

Dal punto di vista normativo, a livello nazionale il Codice Deontologico degli Psicologi Italiani stabilisce degli standard appropriati di condotta professionale che, rispetto alla conclusione etica del rapporto professionale, citano che lo psicologo debba fornire un supporto alla conclusione del trattamento, suggerendo servizi di salute mentale alternativi. Sono state avanzate varie proposte per fornire ai terapeuti istruzioni specifiche e pratiche per la fase di conclusione, come quella di un contratto terapeutico che includa informazioni su quando e come il trattamento terminerà, sui rinvii dei pazienti in caso di attesa o emergenza imprevista e sul supporto pre-terminale che aiuti i pazienti a gestire le potenziali sfide una volta conclusa la terapia (Vasquez et al., 2008).

Le reazioni dei pazienti

Secondo la letteratura, le reazioni positive dei pazienti alla cessazione del rapporto terapeutico sono associate all’opportunità di aver rivisto gli obiettivi di trattamento e i risultati, di essersi impegnati in discussioni orientate al futuro e di aver condiviso i loro sentimenti riguardo alla fine del trattamento con il terapeuta (Marx e Gelso, 1987). Similmente, è stato dimostrato che tali sentimenti positivi sono legati a una stretta relazione paziente-terapeuta e alla soddisfazione del primo per il trattamento complessivo (Roe et al., 2006; Knox et al., 2011). Al contrario, i soggetti che avevano sperimentato sentimenti negativi durante la fase finale della terapia hanno riportato di non aver avuto l’opportunità di riflettere insieme al terapeuta quanto inerente alla conclusione del percorso e, per questo, di aver vissuto una rottura della relazione (Anderson et al., 2019).

Lo studio di Farber et al. (2022)

Nonostante non esistano ancora studi empirici sul ghosting del terapeuta, il fenomeno è presente e discusso apertamente sui social media. Tuttavia, poco si sa sulle circostanze in cui si verifica e sulle conseguenze subite dai pazienti. In questa direzione, lo studio di Farber (et al., 2022), dopo aver intervistato 77 pazienti ghostati dai loro terapeuti, ha concluso che:

  • i pazienti hanno tentato di ricontattare più volte il loro terapeuta in seguito al ghosting;
  • la maggior parte di loro non è più riuscita a rimettersi in contatto con il proprio terapeuta;
  • essi molto spesso attribuivano l’abbandono al fatto che il loro terapeuta li trovava troppo difficili o ai problemi psicologici o agli eventi della vita del loro terapeuta;
  • riferivano shock, frustrazione, ansia, risentimento e tristezza come risultato del ghosting, anche se tali emozioni si dissipano nel tempo;
  • tendevano a considerare normale l’ultima seduta con il loro terapeuta, rinnegando la responsabilità di essere stati ghostati e credendo che il loro terapeuta debba sentirsi in colpa per questo comportamento.

Il fatto i pazienti che sono stati ghostati sperimentino emozioni negative non è sorprendente: essere respinti senza motivo da una persona con cui si sono condivise confidenze ed emozioni suscita comprensibilmente reazioni intense, specie per coloro che hanno subito esperienze di rifiuto interpersonali. In effetti, la maggior parte degli intervistati ha percepito la loro ultima seduta come abbastanza tipica, tanto che l’abbandono da parte del terapeuta è stato vissuto come scioccante.

 Nonostante queste considerazioni, la maggior parte dei pazienti sosteneva che il proprio terapeuta fosse una brava persona; essi sarebbero quindi contemporaneamente arrabbiati con il terapeuta, pensando che la responsabilità primaria dei terapeuti sia quella di prendersi cura dei propri pazienti fino all’ultimo, ma anche disposti a perdonarli per l’errore fatto, credendosi dei pazienti troppo difficili.

Per quanto emerso, sembra che la decisione di fare ghosting al paziente sia spesso data da motivi di autoprotezione (emotiva o fisica), disinteresse, vincoli di tempo (troppo occupato) o sentimenti sullo stato generale della relazione. L’alternativa al ghosting richiederebbe il coraggio di fidarsi delle conseguenze di rivelazioni difficili ma oneste ai pazienti.

Conclusioni

Visto l’impatto emotivo sui pazienti e il danno creato alla reputazione dei professionisti della salute mentale, il ghosting del terapeuta dovrebbe essere riconosciuto come una violazione etica specifica e particolarmente dannosa. Parallelamente, i principi che regolano la gestione appropriata della fine del trattamento dovrebbero porre attenzione alle implicazioni deleterie dell’abbandono del terapeuta. Infine, considerando che lo studio di Farber (et al., 2022) ha esaminato solo la prospettiva dei pazienti, le ricerche successive potrebbero indagare il punto di vista del terapeuta che ha deciso di non mantenere più il contatto con il paziente.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Anderson, K. N., Bautista, C. L., & Hope, D. A. (2019). Therapeutic alliance, cultural competence and minority status in premature termination of psychotherapy. American Journal of Orthopsychiatry, 89(1), 104–114. doi: 10.1037/ort0000342
  • Farber BA, Hubbard E, Ort D. (2022). Patients' experiences of being "ghosted" by their psychotherapists. Psychotherapy (Chic), 59(4):545-553. doi: 10.1037/pst0000454.
  • Knox, S., Adrians, N., Everson, E., Hess, S., Hill, C., & Crook-Lyon, R. (2011). Clients’ perspectives on therapy termination. Psychotherapy Research, 21(2), 154–167. doi: 10.1080/10503307.2010.53 4509
  • Marx, J. A., & Gelso, C. J. (1987). Termination of individual counseling in a university counseling center. Journal of Counseling Psychology, 34(1), 3– 9. doi: 10.1037/0022-0167.34.1.3
  • Roe, D., Dekel, R., Harel, G., Fennig, S., & Fennig, S. (2006). Clients’ feelings during termination of psychodynamically oriented psychotherapy. Bulletin of the Menninger Clinic, 70(1), 68–81. doi: 10 .1521/bumc.2006.70.1.68
  • Vasquez, M. J. T., Bingham, R. P., & Barnett, J. E. (2008). Psychotherapy termination: Clinical and ethical responsibilities. Journal of Clinical Psychology, 64(5), 653–665. doi: 10.1002/jclp.20478
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