Ringraziamo Franco Del Corno, Vittorio Lingiardi e Paolo Migone che il 9 aprile 2023 sul Sole 24 Ore hanno risposto all’intervento di Gilberto Corbellini del 29 febbraio ribadendo l’efficacia delle psicoterapie: “esistono ormai prove incontrovertibili che per l’ansia e la depressione la psicoterapia in media è efficace e, in alcuni casi – anche se la contrapposizione è insensata – più dei farmaci”.
Inoltre, scrivono giustamente i tre colleghi, “la psicoterapia sembra essere efficace quanto le farmacoterapie a breve termine, ma più efficace a lungo termine. È questo dato del miglioramento a lungo termine che ci sembra particolarmente interessante, perché significa una minor incidenza di ricadute”. In particolare, Del Corno, Lingiardi e Migone hanno citato i dati della recente meta-analisi del 14 gennaio 2023 pubblicata su World Psychiatry di Pim Cuijpers “Cognitive behavior therapy vs. control conditions, other psychotherapies, pharmacotherapies and combined treatment for depression: a comprehensive meta-analysis including 409 trials with 52,702 patients”
L’intervento di Del Corno, Lingiardi e Migone è ulteriormente meritevole in quanto si domanda anche perché, con questi dati, si continui a “contrapporre l’approccio biologico alla psicoterapia, a volte addirittura svalutandola” quando invece è chiaro che “la psicoterapia sembra essere efficace quanto le farmacoterapie a breve termine, ma più efficace a lungo termine”. Nonostante questo, “dati come questi vengono ignorati dalla maggioranza dei medici e degli amministratori della salute mentale. Il trattamento principale è sempre quello farmacologico”. Invece sarebbe giusto investire sulla psicoterapia perché determina miglioramenti più stabili nel tempo e, come scrivono Del Corno, Lingiardi e Migone “è questo dato del miglioramento a lungo termine che ci sembra particolarmente interessante, perché significa una minor incidenza di ricadute”.
A nostra volta noi confermiamo tutto quello che scrivono i nostri tre colleghi e ringraziamo il loro sforzo a favore della psicoterapia. Ci permettiamo di aggiungere una sola notazione forse pignola che non vuole essere una critica. Del Corno, Lingiardi e Migone scrivono che il lavoro di Pim Cuijpers, dopo aver passato in rassegna ben 409 studi sulla terapia della depressione, per un totale di 52.702 pazienti, giunge alla conclusione che «è documentato che la terapia cognitivo-comportamentale per la depressione è efficace nelle sue diverse formulazioni e per differenti età, tipologie di pazienti e contesti. Tuttavia, da questa meta-analisi non emerge con evidenza una superiorità della CBT rispetto ad altre psicoterapie per la depressione»
Un commento all’articolo
È a quel “tuttavia” che vorremmo aggiungere un commento. Il lavoro di Cuijpers a favore delle psicoterapie si basa soprattutto sulla terapia cognitivo-comportamentale, che è il trattamento psicologico che mostra di gran lunga il maggior numero di dati a favore. Nel lavoro di Cuijpers, su 409 studi ben 271 sono dedicati alla terapia cognitivo-comportamentale che si dimostra più efficace dei trattamenti non psicologici. Quindi il dato a favore delle psicoterapie è soprattutto un dato a favore della terapia cognitivo-comportamentale. E le altre psicoterapie? Cuijpers cita altri 87 studi che hanno confrontato terapia cognitivo-comportamentale e altre psicoterapie. Il risultato è che la terapia cognitivo-comportamentale risulta leggermente superiore alle altre psicoterapie ma che questa superiorità non è più statisticamente significativa se prendiamo in considerazione solo i dati più rigorosi e più affidabili.
Questo dato pone varie questioni da discutere. La prima è che la psicoterapia cognitivo-comportamentale deve prendere atto di un parziale ridimensionamento della sua superiorità nel trattamento della depressione, superiorità che per anni è stata data per scontata e che era fondata sul fatto che questa psicoterapia era l’unica la cui efficacia fosse messa alla prova empiricamente. Ora, in base ai primi confronti, questa superiorità si ridimensiona, diventa solo leggera e scompare se prendiamo in esame i dati più rigorosi. Questo dato ci dice che la terapia cognitivo-comportamentale non può limitarsi a vantare i suoi pregi ma deve affrontare nuove sfide, dopo avere vinto quella di prima psicoterapia di provata efficacia.
La seconda è la natura di questo avvicinamento degli altri trattamenti alla terapia cognitivo-comportamentale. Anche gli altri trattamenti devono affrontare alcuni limiti del loro successo. Ci sono varie osservazioni che si possono avanzare. La prima è che è la terapia cognitivo-comportamentale stessa che si fa carico del confronto, organizzando o partecipando alla realizzazione degli 87 studi di confronto. La terapia cognitivo-comportamentale rimane quindi all’avanguardia dello sforzo di analisi, quello stesso sforzo che ha permesso a tutte le psicoterapie di non poter più essere considerate trattamenti inaffidabili rispetto ai farmaci.
Il programma IAPT e la Consensus Conference in Italia
Il ruolo chiave svolto dalla terapia cognitiva comportamentale è riconosciuto dagli stessi Del Corno, Linguardi e Migone, quando scrivono che “può essere interessante segnalare (…) che nel 2022 è stato pubblicato in Italia il documento finale della «Consensus Conference sulle terapie psicologiche per ansia e depressione», costituita con il patrocinio dell’Istituto Superiore di Sanità a partire da un convegno organizzato da Ezio Sanavio a Padova nel novembre 2016. A quel convegno era stato invitato David Clark, che aveva presentato il programma inglese Improving Access to Psychological Therapies (migliorare l’accesso alle terapie psicologiche), da lui promosso assieme a Richard Layard, docente di Economia alla London School of Economics, e poi attivato dal governo inglese nel 2008. Secondo London School of Economics, migliorando l’accesso ai trattamenti psicologici nei Servizi di salute mentale è possibile ottenere non solo un maggiore benessere per gli utenti, ma anche un guadagno per le casse dello Stato (minori assenze lavorative, maggiori entrate per l’erario, minori spese sanitarie e costi indiretti dei disturbi, etc.)”. Non c’è bisogno di aggiungere che sia la Consensus Conference italiana che il programma inglese Improving Access to Psychological Therapies sono iniziative promosse da esponenti della terapia cognitivo comportamentale come il prof. Sanavio di Padova e il prof. Clark di Oxford.
Quali sono gli altri trattamenti?
C’è poi da chiedersi quali siano questi altri trattamenti. Cuijpers confronta la terapia cognitivo-comportamentale con i seguenti trattamenti: psicoterapia supportiva, attivazione comportamentale, psicoterapia interpersonale, psicoterapia psicodinamica, psicoterapie processuali di terza onda, problem-solving e altre terapie. Osserviamo che vi sono almeno tre trattamenti che appartengono all’ombrello cognitivo-comportamentale in senso lato (attivazione comportamentale, psicoterapie processuali di terza onda e problem-solving), che la psicoterapia interpersonale promuove una ristrutturazione cognitiva consapevole di problemi interpersonali vietando una impostazione psicodinamica stretta basata su interpretazioni di relazioni transferali inconsce e che i trattamenti supportivi e altri, non sempre ben definibili, integrano in essi stessi aspetti di ristrutturazione cognitiva. Rimangono solo 7 studi che confrontano modelli davvero diversi tra loro in termini teorici come gli studi che paragonano terapia cognitivo-comportamentale e psicoterapia psicodinamica, anche se in termini clinici sappiamo che la psicoterapia psicodinamica ha mescolato all’oro della psicoanalisi il piombo delle tecniche spurie, compresi interventi di ristrutturazione cognitiva. Insomma, anche la distinzione tra terapie cognitivo comportamentali e terapie che non lo sono va ridimensionata. La componente cognitiva è diventata significativa anche in altri trattamenti.
In conclusione
Bene fanno Franco Del Corno, Vittorio Lingiardi e Paolo Migone a difendere l’efficacia della psicoterapia per i disturbi mentali contro i dubbi di Corbellini e bene anche fanno a citare, sia pure di sfuggita, che la psicoterapia efficace non è solo quella cognitiva-comportamentale. Tuttavia, a nostra volta ci riserviamo di ricordare che lo sforzo di analisi rigorosa dell’efficacia è merito dell’impostazione empirica della terapia cognitiva-comportamentale, impostazione che poi è stata accolta dagli altri paradigmi psicoterapeutici e che la possibilità di rendere misurabile l’efficacia dei trattamenti psicologici significa impostare questi trattamenti secondo linee guida tipiche della terapia cognitiva-comportamentale: interventi operazionalizzati, modelli di funzionamento della mente empiricamente controllabili, il che spesso significa l’abolizione delle variabili non verificabili, come quelle dell’inconscio profondo. A sua volta, la psicoterapia cognitiva-comportamentale sta iniziando ad assorbire dagli altri paradigmi descrizioni più dettagliate dei processi terapeutici che non consentono più di considerare la psicoterapia cognitiva-comportamentale una black-box il cui funzionamento è dato per scontato come descritto nel modello teorico ma un processo articolato che va investigato con l’osservazione diretta di ciò che accade in seduta tra terapeuta e paziente.