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Il gioco come strumento di capacità inter-relazionale in età prescolare

Il gioco sociale, che si pone tra il gioco solitario e quello collettivo, è stato affrontato da molti studiosi, tra questi si ricorda Mildred Parten

Di Stefania Dessì

Pubblicato il 30 Gen. 2023

Mildred Parten stabilì alcune categorie relative allo sviluppo dei giochi infantili. Pertanto, lo sviluppo del gioco sociale passa attraverso sei livelli.

 

 La seconda infanzia, che va dai 2 ai 6 anni, è il periodo del gioco, inteso quale strumento di acquisizione di abilità relazionali, nonché di sviluppo di capacità cognitive ed emotive. L’attività ludica in questa età permette al bambino non solo di prendere coscienza del proprio spazio, ma anche di prendere consapevolezza del punto di vista dell’altro.

Il gioco sociale, che si pone tra il gioco solitario e quello collettivo, è stato affrontato da molti studiosi, tra questi si ricorda Mildred Parten degli anni Trenta del XX secolo, sociologa dell’Università del Minnesota. Nei suoi studi, ancora oggi ritenuti validi, la studiosa osservò piccoli gruppi di bambini in età pre-scolare e si accorse che giocavano prevalentemente da soli, divertendosi con giocattoli lasciati in giro, oppure osservavano il gioco degli altri loro pari senza però parteciparvi.

Le categorie di gioco infantile

Da questi studi, Mildred Parten stabilì alcune categorie relative allo sviluppo dei giochi infantili. Pertanto, lo sviluppo del gioco sociale passa attraverso sei livelli di gioco: il comportamento libero, il gioco solitario, il gioco da spettatore, il gioco parallelo, il gioco associato e il gioco cooperativo.

Secondo la sociologa americana, il comportamento libero è quello in cui il bambino, al di sotto dei due anni, impara a conoscere le proprie abilità in attività libere, ossia esplorando ciò che lo circonda.

Nel gioco solitario, il bambino è impegnato nella manipolazione degli oggetti.

Nel gioco da spettatore, il bambino osserva i suoi pari giocare, senza però interagire con loro per timidezza o per paura, limitandosi a guardarli.

Il gioco parallelo (2-3 anni) è, invece, una sorta di gioco egocentrico che si colloca tra il gioco solitario e quello collettivo. Pertanto, esso si svolge in presenza di altri bambini, ma non vi è interazione con gli altri bambini. Ciò significa che un bambino può smettere di giocare senza che ciò vada ad incidere sul gioco altrui.

Verso i 4 anni il bambino sperimenta quello che Mildred Parten definisce gioco associativo, ossia quando i bambini giocano separatamente ma condividono, comunicano con gli altri riguardo alla propria attività di gioco con la tendenza a giocare con gli stessi giocattoli usati dagli altri.

Il gioco cooperativo, che è quello che si sviluppa dai 4 anni in poi, si caratterizza per la collaborazione tra i bambini che condividono lo stesso obiettivo del gioco, giocando insieme per raggiungerlo.

È così che la presenza di un gruppo di coetanei e/o il costituirsi di rapporti amicali, implica l’esistenza di rapporti sociali.

Gioco e rapporti sociali

 Come si è visto, il gioco parallelo implica già un certo livello di coinvolgimento sociale, perché, seppure giochino in modo indipendente l’uno dall’altro, condividono lo stesso spazio di gioco e lo stesso tipo di giocattoli fino a quando il gioco diventa associativo, ossia quando i bambini conversano tra loro, si scambiano oggetti e prestano attenzione a ciò che fanno gli altri. La cooperazione nel gioco avviene quando si è di fronte a un gioco organizzato in cui i partecipanti rivestono ruoli diversi e svolgono azioni finalizzate al raggiungimento di un obiettivo comune. All’interno di questo tipo di gioco, spesso emergono i leader che stabiliscono il corso del gioco.

Ricerche successive di Howes e Matheson (1992) hanno dimostrato che il gioco sociale non sostituisce del tutto quello solitario e parallelo.

Secondo lo studioso George Herbert Mead, il gioco di finzione o role-taking, permette al bambino di impersonare più ruoli e quindi di identificarsi con persone per lui rilevanti e di conseguenza di sperimentare le azioni e reazioni che si verificano negli scambi interpersonali. La capacità che il bambino ha di rappresentarsi oggetti, situazioni e persone nella propria mente, l’imitare, il fare finta di sostenere una parte (ad esempio, fare finta di fare la mamma che si rapporta col proprio figlio), gli dà l’opportunità di mettersi nei panni degli altri, di anticipare il significato sociale delle proprie azioni e di cogliere le reazioni dell’altro come conseguenza dei propri comportamenti. La valenza sociale del gioco simbolico è già presente nella prima infanzia, prima come immagine o rappresentazione mentale di una situazione, in seguito come attività concreta condivisa con altri bambini e/o adulti. Pertanto, attraverso il gioco simbolico e lo sviluppo cognitivo il bambino apprende il modo di interrelazionarsi con i pari e acquisisce competenze sociali sempre più organizzate e complesse.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Anna E. Berti, Anna S. Bombi, “Corso di psicologia dello sviluppo”, Ed. Il Mulino, 2013.
  • Mead G.H. “Mente, sé e società, Ed. Giunti, Firenze, 1972 (Roberto Tettucci per la traduzione italiana).
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